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Quei richiami maschilisti al decoro delle fanciulle (medioevo return): e copriti sdisonorata!

Come si possono annullare anni di lotta femminista? Semplice, riducendo le rivendicazioni delle donne ad un unico scopo… la MINIGONNA!!! Eh sì miei care, ammettiamolo! Le femministe si sono battute per anni per poter indossare una minigonna o una maglietta scollata. E adesso che lo sfizio ce lo siamo tolte, ci vogliamo dare una regolata? Ora che secondo questo articolo
(e menomale che sarebbero "cronache laiche"… altrimenti sai che roghi!) noi abbiamo "finalmente raggiunto il pieno controllo delle nostre libertà" ci vogliamo dare una calmata?

Un pò di contegno, signore! Questi “reggiseni in bella vista, bordi di mutande sempre più risicate che spuntano dai pantaloni, ombelichi impreziositi di lustrini e tacchi a spillo sotto minigonne inguinali in pieno giorno” sono proprio indecenti. Ci manca il pudore e il buongusto, parola dell’autore. E se le “estremiste più agguerrite si riterranno offese da queste osservazioni perché ogni donna deve sentirsi autorizzata a vestirsi come vuole, quando vuole e dove vuole. Sapete una cosa? Non è così. O, meglio, è così ma fino a un certo punto. Forse quello che si tende sempre più a dimenticare è che si vive in una società composta da altri, oltre che da noi stessi. E che ci sono delle regole non scritte che rendono la vita comunitaria più semplice.

Tutto chiaro? A me però sorge un dubbio. Ma queste regole non scritte sono state dettate da chi? Ah, già, dimenticavo, sono dettate dal BUONSENSO che è stato creato dai maschi(listi) per rinchiudere le donne e poterle insultare, picchiare e stuprare, e poi giustificarsi dicendo “se l’è cercata”. Il BUONSENSO è anche quello che permette ai maschi(listi) di considerarti una “mignotta” perché indossi un abito attillato, perché la tua gonna è troppo corta o lo scollo della maglietta fa intravedere il reggiseno e che consente, sempre ai maschi(listi), di farti apprezzamenti volgari e non desiderati in mezzo alla strada solo perchè sei vestita in un certo modo.

A questo punto si potrebbe obiettare che ognuna è libera di vestirsi come le pare, che questa è una censura bella e buona, ma l’autore, mie care, prosegue dicendoci che “la libertà non può prescindere dal rispetto verso gli altri altrimenti non si parla più di libertà ma di abuso. Usate pure le vostre conquiste contro la censura, usatele senza scrupolo alcuno ma usate anche la testa. Perché se siete pronte a sfidare il perbenismo, gli sguardi torvi delle vecchiette bacchettone, le indignazioni delle altre che indirettamente pagano le conseguenze di un cliché che contribuite a diffondere e le “mani morte” di qualche malato mentale, sarete certamente pronte a fare sentire la vostra rabbia anche quando c’è bisogno di dare voce a battaglie che riguardano tutte le libertà delle donne, non solo quella di mostrare l’ombelico”.

E basta con questo ombelico! Usiamo il cervello! Perché è noto che le femministe mica lo usano. Le loro lotte sono rivolte verso un unico obiettivo, cambiare le tendenze della moda. I nostri acerrimi nemici sono gli stilisti, soprattutto quelli un po’ bacchettoni. Questa ovviamente non è la verità ma è ciò che si evince da tale articolo, che analizza in modo superficiale l’abbigliamento giovanile e le sue cause, che per giunta attribuisce al femminismo, chiudendo poi con la ramanzina paternalistica del “usate il cervello per le libertà di tutte”.

Primo: le femministe non hanno bisogno che qualcuno gli ricordi di usare il cervello dato che lo fanno da sempre. Secondo: il tipo di abbigliamento che in tale articolo è descritto non deriva dalle femministe ma dalle mode che sono maschiliste e sessiste. Provateci a mettervi un tacco 10 e camminare sui san pietrini e poi ditemi se le donne possono mai aver deciso questo martirio per i loro piedi. La cultura in cui viviamo ci bombarda di pubblicità con top model sexy, provocanti, ammiccanti, e la televisione è piena di corpi seminudi che sculettano per il testosterone. Niente in contrario, non sono una bacchettona. Ma se questo è L’UNICO modello di donna che si propone allora spiegatemi come le ragazze possono non imitarle.

Ma davvero credete che delle ragazze di 15/16 anni decidano autonomamente come vestirsi? Ricordo che a quell’età i miei compagni di classe tutti i santi giorni rinfacciavano a me e alle mie compagne di essere dei “cessi” perché non ci vestivamo come le altre, non ci mettevamo i jeans attillati e le magliette corte. Il lavaggio del cervello è stato così forte che all’ultimo anno quasi ognuna di noi si era conformata al prototipo richiesto. Colpa nostra? Non credo.

Le ragazze non possono decidere da sole perché devono interagire con l’altro sesso, e se questo si presenta ostile solo perchè il tuo modo di vestire è riconosciuto come inadeguato, allora, a volte, si abbassa la testa e si accettano certi prototipi e non per vigliaccheria ma perché non è sempre facile sentirsi escluse, sentirsi dire di essere un “cesso” appunto.

Quindi invece di prendersela con il femminismo, che ha permesso alle donne di scegliere come essere donna e non solo cosa indossa, cosa che comunque non va sottovalutata (pensiamo alle nostre nonne che andavano a fare i bagni con le sottoveste e le calze nere), bisognerebbe ricercare le colpe nelle immagini che vengono veicolate da tutti i mass media e arrivare a capire che c’è bisogno di una seria comunicazione di genere, attraverso la quale far passare il messaggio che la minigonna (di cui fra l’altro sono fan accanita ^_^), la maglietta super scollata, il top, i tacchi vertiginosi vanno indossati solo perché ci fà piacere farlo, ci piacciono e non perché ce lo impone il primo stilista del cavolo. Nessuno deve dirci cosa metterci o cosa no, soprattutto non lo si può fare in nome di concetti patriarcali quali il BUONSENSO e il DECORO.

Posted in Omicidi sociali, Pensatoio.


7 Responses

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  1. rossella says

    Ho 20 anni meno di te, ma l’articolo che ho letto è tremendo.
    In tutti questi anni che seguo Femminismo a Sud mi rendo conto che nonostante stiamo facendo DI TUTTO (ovvero, CI STIAMO FACENDO IL CULO, detto proprio papale papale) per eliminare il sessismo, il giudicare le donne per come si vestono, nel 2010 ci sono ancora DONNE che si pongono il problema del “se la mignotta va in autobus vestita così poi non si lamentasse se qualcuno le da fastidio”.
    Non ho parole, ogni giorno che passa rimango basita dalle stesse donne.

  2. Lafra says

    Ho riletto l’articolo originale e il commento lasciato dall’autrice per spiegare ulteriormente il suo punto di vista. Sinceramente sono un po perplessa su alcuni punti:
    – ribadire che è l’abbigliamento a giustificare le molestie mi sembra una argomentazione per niente originale. Il concetto di “provocazione” è quello che viene addotto come giustificazione di ogni tipo di violenza: “se l’è cercata”, “se non faceva, diceva, si vestiva così non le succedeva nulla”. Utilizzare questo discorso minimizza ancor più le responsabilità individuali e la gravità di azioni che non dovrebbero avere mai giustificazioni. Non basta poi aggiungere con candore che naturalmente le violenze sono da condannare, perchè il messaggio finale è che sono le donne a doversi mettere nei panni dei poveri uomini. Mai che fosse il contrario! Perchè non si chiede mai l’uso dell’empatia agli uomini, che non sia rivolta verso altri uomini? Perchè è la donna che deve comprendere e assecondare?
    – un’ altra questione è che parlare di emancipazione “dai fornelli” in termini di centimetri di coscia esposta è offensivo per tutte quelle persone che, studiando, sbattendosi tra lavori precari, creando arte, cultura, pensiero critico, e costruendo rapporti maturi, profondi, non stereotipati ci mettono passione e grinta “senza limiti”. E queste persone sono tante, nonostante siano completamente censurate da giornali e televisione. Se quello che si vede sono solo cosce è perchè c’è una fitta rete di violenza strutturale che ne nasconde i cervelli. E questo nel web e in tutte le realtà di politica femminista, è analizzato e ribadito mille volte. Ma evidentemente non è mai abbastanza.
    -una breve parentesi anche sull’uso del termine “mignotta”. Da dove è saltato fuori? Perchè le sex worker dovrebbero essere il simbolo della donna “sbagliata” e quindi modello da stigmatizzare?

    Il punto non è dibattere solo sui nostri gusti in fatto di abbigliamento, se riteniamo un pizzo più o meno volgare, il punto è che, secondo me, affermazioni del genere hanno un peso politico in un contesto sociale e culturale pesante. Nutrire gli stereotipi per lanciare una accusa indiscriminata al femminismo dal mio punto di vista è oscurare, con consapevolezza o meno di farlo, il lavoro di lotta e riflessione fatto su tantissime questioni, compreso quello sulla pillola abortiva che non è per niente silenzioso.
    Commentare è voler capire, non è fare polemica. Commentare è aver osservato e analizzato quello che abbiamo di fronte. E’ creare spunti di riflessione e idee per lotte efficaci.
    Noi scendiamo in piazza, facciamo manifestazioni e presidi, volantinaggi, assemblee e iniziative pubbliche. E ne paghiamo le conseguenze ( http://femminismo-a-sud.noblogs.org/…ie-a-milano ). Dopo anni di militanza io mi sono data la spiegazione che chi queste persone non le vede è perchè non le vuole vedere o gli vengono nascoste proprio per bene. Resta il fatto che ci sono.

  3. Niky Rocks says

    Wow, mi state facendo la festa a sorpresa? Sono lusingata e vi ringrazio per la parafrasi di alcune mie frasi, manco fossi Omero. Glisserò sulla banalissima questione che le frasi estrapolate da un contesto perdono di senso. Partirò invece dalla questione che mi sta più a cuore: il fatto cioè che non sia passato per la testa di nessuno che un sito chiamato “cronache laiche” abbia deciso di pubblicare questo pezzo. Come si fa a dubitare di una redazione che passa al dettaglio ogni minima virgola (modera persino i commenti)? Non sarà forse che sia a voi sfuggito il senso? Immagino di no, immagino che l’errore sia sempre da parte di qualcun altro. Allora lasciate che vi spieghi, e prenderò pochissimo tempo per questo, il significato di “laico”: lontano da ogni sacralismo. E cosa c’è di più dissacrante, e dunque laico, di una critica/analisi di un argomento, evidentemente, considerato un tabù? Ovviamente è una domanda retorica. Detto ciò vengo al punto ultimo: vi rendete conto che si ha il terrore di confrontarsi su alcuni temi? Credete che questo pezzo sia maschilista e medioevale solo perché dico alle donne che le libertà che dobbiamo difendere non finiscono sull’orlo di un tanga? C’è scritto questo a chiare lettere e nero su bianco, ma è ovvio che non lo si vuole leggere e che si preferisce fare polemica piuttosto che stare a riflettere. Mi sorprende che nessuno si sia soffermato su quel “silenziosamente” all’inizio del pezzo (l’originale, non la parafrasi) legato al boicottaggio della pillola del giorno dopo. Perché ci indigniamo moltissimo quando crediamo di essere minacciate (crediamo, badate bene) sulla nostra libertà di vestirci come ci pare e invece ce ne stiamo zitte e mosca quando Cota e Zaia riempiono i magazzini di scatoloni indistribuibili, secondo loro, di pillole per abortire in modo fisicamente indolore? Ma sì, soffermiamoci sulle virgole e facciamoci spiegare da altri il senso di quello che leggiamo. Soffermiamoci sulle “regole non scritte che facilitano la vita sociale” e trasformiamole in dictat che ci piovono dall’alto. Come se non lo sapessimo davvero che se non sputo in testa alla gente che passa sotto il mio balcone è proprio perché sono dotata di buonsenso che mi spinge ad avere rispetto per gli altri. E come si lega questo col discorso dell’abbigliamento? La mia opinione è scritta nel pezzo, qualcuno ve l’ha spiegata a modo suo, e pochissimi hanno cercato di capire un punto di vista. La dico di nuovo. Il buonsenso legato all’abbigliamento sta in questo: se io me ne vado a prendere l’autobus vestita come una mignotta (per esempio con un bel paio di calze a rete di quelle con la riga nera dietro, coi tacchi a spillo rossi e una bella minigonna di pelle inguinale che mi fodera il fondoschiena), se io mi vesto così nessuno me lo vieta, e ci mancherebbe il contrario, ma sarò anche cosciente che posso essere guardata in modo torvo, che qualche deficiente mi farà la mano morta e che qualcuno mi riderà dietro. Questo è il buonsenso di cui parlavo e lungi da me vietare a ciascuna di noi di vestirsi come, dove e quando le pare nel modo che le pare. La cosa che mi sconforta di più è la sicurezza totale, e la avevo anche mentre scrivevo l’articolo, che si preferisca alzare un muro di polemiche e battibecchi piuttosto che cercare di capirsi. Vi posso anche dire il punto esatto in cui il vostro muro si è alzato: nel momento in cui descrivo l’abbigliamento che ha una mignotta, in quella cosa che ho scritto tra parentesi. E’ proprio lì che è scattata l’indignazione e la domanda: “chi sei tu per dire come si veste una mignotta?” Sono anche più che certa che moltissime delle persone che si sono fatte questa indignata domanda se qualcun altro, prima di leggere questo commento, avesse chiesto loro: “secondo te come si veste una mignotta?” l’avrebbe descritta più o meno come l’ho descritta io. Ma il fatto di trovarvi davanti a un cliché è un’offesa cui si deve reagire e non importa se si capisce o no il senso di tutto il resto: è quella virgola che conta. Parliamoci chiaro: è davvero fare il gioco dei maschilisti attaccarci a queste cose, sprecare energie per spiegarsi ancora e ancora, come se non bastasse il fatto che una cosa sia scritta nera su bianco, perdere tempo a commentare invece che a cercare di capire e intanto ce ne stiamo qui su un sito internet invece di stare in piazza davanti ai magazzini chiusi del nord perché due politici decidono di fare propaganda a nostre spese.
    Ah, la questione dell’abuso della propria libertà: sapete quella storia “la mia libertà finisce dove comincia quella di un altro”? Beh era questo il significato disonorevole del termine abuso. L’avreste capito anche voi se non ve lo foste fatto spiegare ma lo aveste letto nel suo contesto originario. E se non fosse successo, se non lo aveste capito, allora è evidente che o siete dietro un muro volontario o io mi fido troppo del fatto che in quasi 40anni di vita io abbia finalmente imparato la mia lingua.
    Credo di non aver più nulla da dire (sono state decisamente lunga, scusatemi per questo). In ogni caso la mia mail l’ho lasciata qui, sta sul sito dove scrivo e se volete parlare con me, dialogare o solo cercare di capire quello che ho detto, qualora non fosse chiaro, scrivetemi senza problemi. Ci prendiamo anche un caffè e magari si potrebbe anche decidere di andare in massa (o anche in tre) a protestare con chi davvero ci sta facendo la festa.

  4. Rosa says

    di più maschilista intendevo

  5. Rosa says

    non c’è nulla di maschilista di quest’articolo…ne parlerò anche nel mio blog!
    Brava!

  6. Federica says

    Ormai sempre più gente si riempie la bocca (o le dita) con la parola “femminismo” e la usa quasi sempre a sproposito, sono esterrefatta che un sito chiamato “cronache laiche” abbia fatto una gaffe del genere.
    Io commenterei tutto l’articolo passo per passo, visto che c’è parecchio su cui ridire; la cosa che più mi rende perplessa è che l’articolo è stato scritto da una donna. Bah!

  7. Mara D. says

    A me ha colpito soprattutto l’utilizzo, ad un certo punto, della parola “abuso”. Sono le donne che ABUSANO vestendosi in una data maniera.
    Da qui ad affermare senza indugi ed incertezze di chi sia la colpa nei casi di stupro si sta un lampo…