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Bestiario razzista (Parte III°)

Dopo il primo Bestiario Razzista,
nel quale in un certo senso si anticipava di tanto (fu condiviso a
gennaio) l’interesse dei media per i provvedimenti razzisti dei singoli
comuni, quelli che per capirci si giocano a suon di ordinanze la
possibilità di espellere, rastrellare, misurare i centimetri di vita
degli stranieri, e dopo il secondo, ancora dedicato ai provvedimenti, ecco l’altro bestiario sulle aggressioni
fisiche/istituzionali/psicologiche… sempre a sfondo razzista.

Per Bestiario Razzista (prima parte) —>>>Leggi QUI

Per il Bestiario parte seconda —>>>Leggi QUI

Bestiario sulle aggressioni fisiche/istituzionali/psicologiche


Insulti/cori razzisti

A Vicenza durante la manifestazione podistica “Stravicenza” un ragazzo di colore ha subito insulti a sfondo razziali. I responsabili sono un gruppetto di giovani e meno giovani vicentini che lo avrebbero insultato in maniera molto pesante, soprattutto per il colore della sua pelle, dopo che era intervenuto in difesa di un amico (italiano) che stava discutendo con un altro concorrente. Il giovane F. O., non ancora 18 anni, ha formalizzato una articolata denuncia in procura (che ha aperto un’inchiesta) sostenendo di essere stato vittima di ingiurie e minacce a sfondo razziale. In base a quanto è stato ricostruito, l’episodio è avvenuto lungo viale Mazzini, fra il teatro e la questura. Il ragazzo ha spiegato che stava camminando con alcuni amici, in mezzo alla gente, e di fianco a lui due persone sono entrate in contatto. Uno ha subito un pestone, o una ginocchiata, e l’altro gli ha risposto per le rime dando vita ad una breve discussione. Uno dei contendenti era amico di F.O., che è corso in sua difesa. A quel punto gli amici dell’altro, una mezza dozzina di persone, lo hanno allontanato a spintoni, facendolo cadere a terra, e offendendolo in maniera assai pesante. Come? Le solite frasi idiote: «Negro di m… senti quanto puzza, sai di m…, tornatene a casa fra i tuoi negri… rimetti piede qui quando sarai bianco… Quelli come te bisognerebbe bruciarli da piccoli», e via discorrendo. Gli insulti sono sempre i medesimo perché il razzismo è involuzione, è ignoranza e brutalità… come da tutto questo può nascere qualcosa di nuovo?

A Treviso sono in corso da parte della questura accertamenti su un caso di razzismo contro una giovane nera all’interno di un locale. La ragazza si trovava nel locale in compagnia di amici. Verso mezzanotte, secondo le testimonianze, era entrato un folto gruppo di giovani dell’estrema destra i quali, dopo aver dileggiato la giovane, hanno intonato un coro dicendo ‘Candeggiamo’ seguito dal nome della ragazza. Gli stessi molestatori avrebbero poi vergato svastiche e scritte sui muri delle case vicine. Altri avventori hanno lasciato il locale, dove, secondo il titolare, era in programma la festa di un gruppo di estrema destra. Lo stesso ha detto di non ricordare cori razzisti né di ricordare la presenza nel locale "di una ragazza di colore. C’é stata più confusione del solito ma nulla di male, altrimenti sarei intervenuto". Come per gli stupri anche per il razzismo si attua una logica di branco, dove tutti coprono tutti e tutto, ad ogni costo.

Sempre a Treviso, due sorelline di origine senegalese residenti a Villorba di nove e tredici anni hanno chiesto ai genitori di poter andare in centro a Treviso per comperare qualcosa per le amichette. Mamma e papà hanno dato loro qualche euro e il permesso di prendere il bus per recarsi verso il capoluogo di Marca. Dopo qual che ora, le due sorelline hanno deciso di tornare a casa. Erano circa le ore 18 quando sono salite sulla linea 1 del l’Actt in Piazza San Leonardo. La tredicenne si è subito comperato il biglietto a bordo. La bambina di nove anni, invece, non aveva denaro a sufficienza. Ne sarebbe nato un litigio furioso con l’autista, che ad un certo punto si sarebbe fermato di fronte all’Ippodromo di Sant’Artemio e avrebbe detto alle ragazzine che «voi zingare siete così, fate sempre le furbe», invitandole quindi a scendere in strada. Faceva buio e freddo, le due bambine erano disperate. La più grande gli avrebbe chiesto di multarla, ma di non lasciarla lì, nel nulla di smog e cemento che divide Treviso a Villorba. Ma era inutile. A quel punto si sarebbe messo in mezzo un adulto, di professione insegnante nella stessa scuola frequentata dalla 13enne. Il docente avrebbe tirato fuori quelle monetine per pagare il ticket a bordo (del valore di un euro e mezzo). Dopo due giorni di riflessione, i genitori hanno deciso di presentarsi in questura per denunciare l’episodio con una querela formale. Se le bambine fossero state italiane? Le avrebbe fatte scendere? Credo proprio di no, se non voleva trovarsi l’intero bus contro, perché i/le bambin* italian* sono intoccabil*, quell* degli/lle altr* invece gli/le si può insultare e terrorizzare (perché anche a me, che non sono più una bambina, farebbe paura restare sola su una strada che non conosco) nell’indifferenza più o meno di tutt*, fatte le dovute eccezioni, che fortunatamente esistono.

A Piano di Sorrento nella domenica di Pasqua intorno alle 18, sul Corso Italia a pochi metri da piazza Cota, in pieno centro cittadino,  un uomo di mezza età che teneva per mano un bambino, rivolgendosi verso un altro bambino, forse un adolescente, di colore pronuncia tali parole: “Sei un negro, uno sporco negro”. Agli insulti poi sono seguiti degli sputi nei confronti del ragazzo di colore e il tentativo di prenderlo a calci. Alla base di tutto pare ci sia stato un litigio tra bambini e il papà del ragazzino bianco ha pensato di farsi giustizia così. Tanto per dare il buon esempio alla prole: speriamo che il detto “tale padre, tale figlio” non sia vero.

A Terni in un campetto di periferia, di un campionato di seconda categoria e di giocatori dilettanti vengono lanciati insulti, e il solito, tristissimo, "sporco negro" nei confronti di un ragazzo di diciannove anni, italianissimo, ma di colore. Girone E. Si affrontano il Bosico e il Casteltodino. Nel Casteltodino giocano due fratelli di colore di 25 e 19 anni, Emeka e Narciso Egwu. Due ragazzi che vivono da sempre a Casteltodino, che sono amati e rispettati dai 1300 abitanti del paesino in provincia di Terni. Due ragazzi sensibili che hanno perso anche il padre che dalla Nigeria era emigrato in Italia. Partita tranquillissima sino a quando, dopo un normale contrasto di gioco, un giocatore del Bosico di 37 anni si rivolge al diciannovenne del Casteltodino chiamandolo sporco negro. L’episodio avviene nell’indifferenza di tutti. Del pubblico, dei dirigenti avversari, degli altri giocatori, dello stesso arbitro che dice di non aver sentito nulla. Indifferenza alla quale dicono no i diligenti del Casteltodino che a quel punto decidono di ritirare la squadra e abbandonare il campo. "E’ l’unico modo per farci sentire e per denunciare quanto accaduto – dice Maurizio Venturi presidente del Casteltodino – Siamo stanchi. Danno tutti addosso a questi ragazzi che sono più italiani di quelli che li insultano. Siamo stanchi. Su dieci partite sono già quattro volte che capitano di queste cose". L’omertà per il razzismo, come per la mafia, è  un’alleata fondamentale. Se nessun* sente o vede nulla, tutto quello che accade sembra non esistere, appare non reale, frutto forse della fantasia di quell* che invece il razzismo lo vedono e lo sentono. Fingere di non vedere le discriminazioni razziste equivale al commetterle e legittimarle come “cose normali”.

A Padova una tredicenne di Solesino, emarginata dai compagni di classe perché “puzza di romena”, ha cercato di uccidersi gettandosi dalla finestra di casa. A divulgare i motivi che hanno spinto la ragazzina a tentare il suicidio è Adrian Teodorescu, presidente dell’associazione “Alleanza romena”. Teodorescu ha raccolto la testimonianza dei genitori della giovane, che è stata ricoverata nell’ospedale di Monselice. Le sue condizioni non sono preoccupanti, ma dovrà fare i conti con una frattura ad una gamba. La ragazza ha ricevuto la visita degli amici di scuola, ma non quella dei suoi compagni di classe. A finire nella bufera è adesso l’istituto comprensivo di Solesino, dove la protagonista dell’odioso episodio – che chiameremo Maria – frequentava la seconda media. Frequentava, appunto, perché ora non ne vuol più sapere di tornare a scuola. «Da qualche tempo la ragazza – spiega Teodorescu – subiva un trattamento riservato e personalizzato dai propri compagni di classe, nella quale è l’unica immigrata». Ed ora che la ministra Gelmini ha abbassato al 30% la soglia dei/lle studenti/tesse  nelle classi italiane, situazioni del genere potrebbero essere più frequenti, proprio perché l’essere l’unic* stranier* all’interno di una classe è di per sè già un elemento discriminatorio, che impedisce o comunque non favorisce l’integrazione, quella stessa integrazione nel cui nome è stata decisa tale soglia.

Discriminazioni a sfondo razzista

A San Giuliano c’è una pediatra ostracizzata dai condomini perché cura gli/le immigrat*, tanto che per poter far salire i suoi pazienti al suo ambulatorio, che tra l’altro si trova al primo piano, deve pagare una persona che li accompagni. Perché? Perché i vicini di casa della dottoressa temono il contagio di chissà quali malattie portate soprattutto dai/lle figl* dei/lle migrant* che sono da lei in cura. La discriminazione è ancora più palese se aggiungiamo che lo studio della pediatra si trova in un complesso di tre palazzi, dotato di una postazione fissa per il custode, dove sono ubicati anche un commercialista e un consulente del lavoro, anche queste attività che contemplano tutte un via vai di clienti. Quindi il problema non può essere il continuo via vai costante di gente, dato che al commercialista e al consulente del lavoro non è richiesto di avere una figura "professionale" che accompagna i clienti dal portone di ingresso all’ufficio. Il problema dunque è di altra natura, ovvero razzista, dato che nessun immigrat* si reca in nessuno degli altri due uffici e quindi non ci sono "problemi per i condomini". La cosa va avanti almeno dall’ottobre 2009 e la rivolta dei condomini è capitanata da un esponente locale del Pdl, che sta promuovendo per tutta San Giuliano l’eliminazione degli ambulatori medici dai palazzi. Per ora per la nostra dottoressa ci sono già di mezzo avvocati e querele, quindi per fortuna qualcuno si sta muovendo per impedire a quest* razzist* di negare il diritto alla salute, e aggiungerei, alla dignità agli/lle immigrat*.

A Empoli è comparso un cartello razzista contro i/le cinesi in un negozio in zona stazione. Si tratta di un cartello, scritto a mano nero su bianco, che vieta l’ingresso nel negozio ai/lle cinesi che non conoscono l’italiano. La cosa che colpisce, poi, è che il messaggio è indirizzato, secondo logica, al gruppo dei/lle "cinesi che non sanno parlare italiano": ora, la domanda che sorge spontanea è: come è possibile che i/le tali "cinesi che non sanno parlare italiano" leggano ed intendano il contenuto del cartello stesso? Il messaggio dunque può essere indirizzato solamente ad un altro tipo di destinatar*, ad esempio quegli/lle italian* che considerano migliore o maggiormente degno di visita un negozio che rifiuta apertamente gli/le stranier*. In poche parole il razzismo diventa business.

A Milano degli esponenti di Lotta studentesca, organizzazione vicina al partito di estrema destra, hanno diffuso davanti al liceo scientifico Volta un volantino su cui si legge: il giusto numero di stranieri in classe è "zero". Un segno palese del loro razzismo. Non può che essere definito tale. A questo punto proporrei un contro volantino con su scritto: il giusto numero dei/lle fascist* in classe e fuori dalla classe è ZERO. In un mondo meravigliosamente multietnico (perché lo è già, anche se molt* non vogliono accettarlo) non c’è proprio posto per i/le razzist*.

A Roma, tra Tiburtina e Collatina, c’è un bar dove il prezzo del caffè per gli/le italian* è di 75 centesimi, mentre per gli/le immigrat* è di 2 euro e viene servito in un bicchierino di plastica. Tutto ciò avviene nel silenzio di tutt*. La spiegazione di tale discriminazione? Semplice. Se il prezzo del caffè continua ad aumentare gli/le immigrat* prima o poi saranno costrett* a prenderlo altrove. Data la palese ingiustizia sono state fatte anche segnalazioni alle forze dell’ordine ma i controlli si sarebbero arenati di fronte al fatto che ogni esercente fa quello che vuole. Ma siamo sicuri che tutto ciò sia legale? Che un negoziante può discriminare un/a cliente per la sua origine? Se il prezzo del caffè sale, sale per tutt*, mica solo per gli/le stranier*? Quindi questi poliziotti di cosa parlano?

Aggressioni/pestaggi a sfondo razzista

Ad Alghero due fratelli congolesi, Eric e Patrick Mwarabu, di 28 e 23 anni, sono stati picchiati davanti alla loro abitazione in via Carducci da un gruppo di giovani che li ha aggrediti urlando insulti razzisti: due dei membri del branco sono stati identificati e denunciati all’autorità giudiziaria dagli agenti del Commissariato di Polizia. La ricostruzione dell’episodio, che ha destato una vasta eco di disapprovazione e altrettanta solidarietà per i due giovani aggrediti, riferisce che gli aggressori erano sei, tutti a bordo di motorini, che hanno dato vita al pestaggio urlando «sporchi negri, tornate a casa vostra». Il pestaggio è cominciato con il lancio di pietre, mattoni raccolti dalla pavimentazione stradale, poi con calci e pugni fino a quando qualcuno non ha dato l’allarme e i sei si sono allontanati lasciando i due giovani doloranti a terra. Accompagnati nel pronto soccorso dell’ospedale civile, a entrambi sono stati assegnati dieci giorni di cure per contusioni, sospette fratture, abrasioni al volto e lividi ovunque. Le telecamere di una postazione di una vicina tabaccheria avrebbero ripreso tutta la scena. Nei giorni scorsi il giudice di pace di Alghero, Barbara Cossu, ha condannato una ristoratrice algherese, Antonia Salis, titolare del Santa Cruz, a 500 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali per aver ingiuriato e malmenato un proprio dipendente, un cittadino della Repubblica Dominicana. Si ha quindi la sensazione che nella «civilissima» città di Alghero fermenti razzisti stiano prendendo piede.

A Milano due forse tre uomini hanno rubare il passaporto a un senzatetto, un profugo somalo di 40 anni, in Italia con regolare permesso di soggiorno, che successivamente è stato svegliato con un calcio nel giaciglio in cui si trovava, in via Vittor Pisani, e poi ripetutamente colpito al corpo e al volto. A Milano è il terzo caso di aggressione a clochard.
Il 6 marzo scorso era stato aggredito un cittadino svizzero di 45 anni in corso di Porta Ticinese.  L’uomo è stato aggredito con un manganello e ferito a un gluteo con un cacciavite. I carabinieri, avvisati da un cittadino, sono arrivati sul posto quando la banda, attorno alle 3, era ancora in azione. La vittima, che non aveva documenti e che ha detto di essere di nazionalità svizzera e di avere 45 anni, è stata trasportata al Policlinico. I medici si sono riservati la prognosi anche se l’uomo non sarebbe in pericolo di vita. Per i tre, due di 20 anni e uno di 24, tutti italiani e incensurati, l’accusa è di tentato omicidio a scopo di rapina anche se, secondo quanto riferito, la vittima in tasca non aveva nè soldi nè oggetti di e tre giovani erano poi stati arrestati dai carabinieri.
Il 9 febbraio un clochard di 65 anni di origine colombiana è stato colpito a sprangate nella cabina telefonica dove dormiva. L’uomo, Alfonso R.M., incensurato è stato trovato esanime e con una profonda ferita alla testa intorno alle 4.15 in una cabina telefonica di piazzale Cantore, angolo corso Genova, da un dipendente dell’Ansa che ha chiamato il 112. Il clochard è stato trasportato in codice rosso da un mezzo del 118 al Policlinico, dove l’è stato operato d’urgenza per una frattura scomposta del cranio con conseguente emorragia cerebrale.

Inoltre a Cologno Sud resta avvolto nel più fitto mistero il pestaggio di un immigrato dell’Est avvenuto davanti all’entrata della stazione metropolitana. L’uomo è stato picchiato selvaggiamente da almeno tre persone e poi lasciato moribondo a terra. Qualcuno ha poi avvisato il 118 e i soccorritori hanno trasportato l’uomo al San Raffaele.

Da queste notizie capiamo quanto feroce sia l’odio razzista in alcune zone, dove “il pestaggio allo straniero” sembra essere il nuovo sport in voga.

Ad Avellino un bambino di nazionalità ucraina sarebbe stato picchiato nei corridoi della scuola media di San Martino Valle Caudina da un suo coetaneo probabilmente perché «straniero». Una motivazione che, se verificata, peggiorerebbe l’atto di violenza già grave di per sé. Il compagno lo avrebbe malmenato con violenza a suon di calci e pugni, tanto che inizialmente la vittima era stata ricoverata per precauzione presso l’ospedale Rummo di Benevento e poi per fortuna dimesso dopo esser stato adeguatamente medicato. Il bambino aggredito vive ormai da molti anni qui in Italia, insieme alla madre e alla nonna, ma per molt* questo sembra irrilevante.

A Napoli un gruppo di balordi avrebbe gettato nelle acque gelide della fontana di Piazza Cavour un marocchino che, a causa del freddo pungente, sarebbe poi morto assiderato. Yussuf Errahali, 37 anni, non avrebbe avuto modo di cambiarsi gli abiti e il freddo lo avrebbe alla fine ucciso. Quando il 118 è giunto sul luogo avvisato da alcuni passanti Errahali aveva ancora i vestiti inzuppati. Inutili i tentativi di rianimazione. Non è la prima volta che gruppetti di questo tipo si presentano in zona per insultare o aggredire. E’ successo anche a settembre quando un altro senza tetto è stato dato alle fiamme. Non è morto ma il suo calvario medico ancora non è finito. Episodi come questi ci dimostrano come, in un clima xenofobo, quell* che rischiano maggiormente sono i/le più pover*, ovvero quell* di cui la società spesso si dimentica tant’è che le aggressioni da loro subite passano più o meno nell’indifferenza generale.

A Firenze , di fronte all’albergo popolare, un trentottenne italiano al termine di una lite ha versato una tanica di benzina addosso a un cittadino marocchino ma per fortuna e’ stato bloccato dai dipendenti della struttura prima che potesse appiccare il fuoco. Un fatto grave ed inaccettabile che avviene in una città che si definisce “civile”. Tanto per ribadire che il razzismo non ha confini precisi, se si continua a fomentarlo le gravi conseguenze si vedranno in ogni dove.

A Rosarno alcuni ragazzi africani sono stati raggiunti da colpi sparati da un fucile ad aria compressa, e tutta la rabbia della comunità degli immigrati africani per la raccolta di clementine e olive è venuta fuori. Gli africani non conoscono la Calabria e non potevano immaginare che potesse essere più dura del continente dal quale sono scappati, lasciandosi alle spalle guerre e pallottole. Tanto è vero che durante le proteste la folla di migranti è inferocita per l’ennesimo trattamento disumano, per l’ennesimo assalto ai danni di chi attraversa i continenti per venire qui a lavorare come bestie per 20 euro al giorno, deprivati di ogni conforto materiale e psicologico. Come poi è andata a finire è noto a tutt* ma volevo ricordarlo perché è stato un momento di forte rivendicazione di dignità e di diritti fondamentali (come quello alla vita o alla salute e al lavoro) da parte dei/lle migrant* che difficilmente dimenticheremo. 

A Roma un gruppo di giovani, muniti di bastoni, ha preso d’assalto un Internet Point bengalese della Magliana, nel corso del quale sono rimaste ferite quattro persone, tra clienti e dipendenti del locale. Il raid è stato compiuto da una quindicina di italiani che, alcuni con i volti coperti da sciarpe, sono entrati ed hanno colpito tavolini, vetrine e i pochi clienti che si trovavano nel locale che è anche una sorta di fast-food. Clienti anche italiani, tutti feriti lievemente e medicati al pronto soccorso dell’ospedale San Camillo. Tale episodio ha riaperto vecchie ferite ancora non completamente rimarginate nella memoria della città, riportando i ricordi ad un assalto, quello di natura chiaramente razzista e xenofoba avvenuto nel maggio del 2008 nella zona del Pigneto, uno dei quartieri più multietnici della città. Quel giorno un gruppo di giovani incappucciati, armato di bastoni, al grido di «Sporchi stranieri» e «Bastardi», ha assaltato e devastato tre negozi di immigrati asiatici nel quartiere. Fu un assalto improvviso, di pochi minuti, con un bengalese colpito da una bastonata, vetrine e interni di un bar, di un phon center-lavanderia e di un negozio di alimentari devastati. Un anno dopo, nel maggio 2009, un analogo assalto a matrice razzista fu compiuto da giovani romani ai danni di alcuni bengalesi a Villa Gordiani.

Omicidi a sfondo razzista

A Frosinone Ivan Misu, un romeno di 42 anni, è stato ucciso e sciolto nell’acido perché sospettato dal titolare di aver rubato qualche litro di gasolio dai camion dell’azienda nella quale lavorava in nero. L’omicidio è stato scoperto dopo due anni di indagini da parte della squadra mobile di Fronsinone e dei carabinieri del reparto operativo provinciale. Il dipendente dell’autorimessa, nella notte fra il 12 e il 13 maggio del 2007, venne accusato dal datore di lavoro di aver rubato qualche litro di gasolio da uno dei camion parcheggiati nella sua azienda di Piedimonte San Germano, in provincia di Frosinone. Il titolare lo fece sequestrare da suoi complici che, dopo averlo seviziato tagliandogli un orecchio, lo portarono nelle campagne di Avellino per poi ucciderlo e scioglierlo nell’acido. Un’operazione particolarmente complessa tanto che gli inquirenti non escludono che l’imprenditore si sia rivolto ai clan che controllano il Vallo di Lauro. Inoltre si è scoperto che l’imprenditore, trasferitosi anni fa in provincia di Frosinone, in passato era stato già indagato per aver minacciato e sparato alcuni colpi di pistola contro un altro suo dipendente rumeno, ugualmente sospettato di aver rubato gasolio. Ma perché si permette a queste persone di restare in circolazione? Se fosse stato un immigrato sarebbe stato subito sbattuto in galera anche senza uno straccio di prova. Mentre qui, anche se già vi era una denuncia, si è attesi ben due anni di indagine per arrestare l’assassino. Dov’è in tutto questo la giustizia?

A Ferrara sono stati il freddo e l’indifferenza a uccidere Sahid Belamel. Non c’è bisogno di un perito per capire che il magrebino 25enne uscito sabato per «una seratona» in discoteca sia stato di fatto abbandonato a se stesso. Quella sera nessuno ha aiutato Sahid, nè hanno avuto scrupoli gli automobilisti che, alle cinque del mattino in via Cristoforo Colombo, lo hanno visto già nudo e barcollante chiedere aiuto, come si vede nelle immagini filmate dalle telecamere a circuito chiuso di una delle aziende della zona. Sahid aveva cominciato a sentirsi male già all’interno di una vicina discoteca, dove era arrivato da solo per incontrare alcuni amici e divertirsi, e dove a quanto sembra aveva esagerato con gli alcolici. Lo testimonia la chiamata al servizio taxi partita alle 3.40 dal suo cellulare. A farla, su richiesta di un amico di Sahid, è stato uno dei buttafuori del locale. Il giovane si tiene a malapena in piedi, e il taxista suggerisce di chiamare il 118. Una telefonata che però nessuno fa. E quando, poco dopo, Sahid si alza e fa qualche passo barcollando, gli amici lo lasciano lì a “smaltire” e tornano dentro a ballare, senza preoccuparsi oltre. Il giovane percorre a piedi un centinaio di metri, perde l’equilibrio e finisce nelle acque gelide del Canalbianco. Esce e si toglie i vestiti zuppi, resta in slip esposto a una temperatura proibitiva, chiede aiuto, cade, si trascina 70 metri e rimane per altre tre ore al gelo sul ciglio della strada. La sua morte non è un incidente, o almeno per me non può essere definito tale, dato che si è consumata con la complicità dell’indifferenza altrui. Il razzismo, come già abbiamo ampliamente visto, è alimentato anche dall’indifferenza. Quanti Sahid dovranno ancora morire, prima che ci si accorga che l’Italia non è il paese solidale che si vuol far credere?

A Milano una lite per qualche banale parola di troppo, sfocia in un omicidio e in oltre quattro ore di totale follia, di rivolta, devastazione e caccia all’uomo in via Padova, periferia Nord-est di Milano ad altissimo tasso di immigrazione. Ed è proprio uno scontro razziale causa e conseguenza della morte di Ahmed Abdel Aziz el Sayed Abdou, un ragazzo di quasi vent’anni arrivato in Italia dall’Egitto. Ahmed, che aveva ottenuto da pochissimo il permesso di soggiorno e lavorava come pizzaiolo da due anni, era a bordo di un autobus con altri amici: per motivi ancora da chiarire avrebbe iniziato a litigare con alcuni peruviani. I due gruppi sono scesi dal mezzo in via Padova e lì sono spuntati i coltelli. Ahmed è stato ferito al torace: una ferita profonda, che ne ha causato la morte quasi immediata. Altri due giovani sono stati feriti in modo più lieve dalla banda che è riuscita a scappare, mentre la strada iniziava a capire quello che era successo. Successivamente in pochi minuti la via si è riempita di centinaia di egiziani e marocchini. Il corpo di Ahmed era lì, la polizia e i carabinieri stavano isolando la zona. I vigili, in un momento di gestione della piazza tumultuante, avrebbero bloccato il traffico agitando i manganelli contro i nordafricani che volevano riavere il corpo del loro connazionale (secondo la tradizione islamica, infatti, dovrebbe essere sepolto entro un giorno dalla morte) e chiedevano garanzie su dove sarebbero stati portati i due feriti. Per riprendere il suo cadavere, per rabbia, per insofferenza ai vigili e alla polizia i connazionali di Ahmed hanno messo a ferro e fuoco il quartiere, rovesciando auto, spaccando vetrine, gridando in arabo frasi minacciose anche nei confronti degli italiani. Italiani che a loro volta, dalle finestre dei palazzi, hanno lanciato oggetti e insulti al passaggio della massa di giovani, giovanissimi nordafricani. Situazioni come queste e quelle di Rosarno ci chiariscono come siano stati violanti i diritti degli/lle immigrat*, che ormai vengono privati di tutto, anche della propria vita, per un non nulla. Tutto questo non può essere accettato.

Razzismi istituzionali

A Gallarate nella notte fra venerdì 2 e sabato 3 aprile quattro pattuglie hanno effettuato più di trenta controlli, in particolare di fronte a negozi “etnici”. Sono state così multate sei persone, due cittadini di origine pachistana e quattro di origine marocchina. La multa è scattata in quanto i sei hanno violato l’ordinanza che vieta di consumare alcool per strada fra le 19 e le 8. Ma da quando è considerato reato il semplice “bivaccare”? E poi, guarda caso, i multati sono tutti stranieri. Come si può immagina questo è l’ennesimo caso di “lotta all’immigrato” che usa qualunque mezzo pur di ricordargli che qui, nel bel paese, non sono i benvenuti.

A Firenze il corpo di un ragazzo boliviano, Oscar Javier Soliz Marques, deceduto il 10.12.2009, a seguito di una lunga e dolorosa malattia, non riesce ad essere restituito al suo paese, e quindi ai suoi cari. Lo denuncia Rosa, la sua compagna, anch’essa boliviana. I due si sono conosciuti a Firenze e innamorati l’uno dell’altro. Eravamo felici, lavoravamo entrambi per costruirsi un futuro e per aiutare i loro familiari in Bolivia, fino al momento in cui Oscar si è ammalato e la diagnosi è stata purtroppo infausta: leucemia, morbo di No Hodkin. Oscar è stato curato, in un reparto per malati terminali presso l’Ospedale delle Oblate, fino alla sua morte. Da allora si trova in una cella frigorifera, all’interno delle Cappelle del Commiato, a Firenze, in attesa di tornare in Bolivia, ma i suoi parenti non riescono a portarlo via, nonostante la documentazione presso l’Ambasciata Boliviana a Roma sia pronta ormai dal 31 dicembre scorso. Oscar non può tornare a Cochabamba, sua città d’origine, e nessuno spiega il perché.

«Con la legge Bossi-Fini si è incentivati ad diventare clandestini, altrimenti è quasi impossibile entrare». Queste sono le parole di un ingegnere meccanico materano, Stefano Pastore, che ha vissuto un vero e proprio travaglio per poter portare sua moglie Ying, di origine cinese, in Italia. Pastore spiega che «per un misero visto turistico servono, ad esempio: fidejussione bancaria dell’ospitante italiano fino a 3500 euro circa, lettera d’invito e vari documenti attestanti un impiego stabile in Cina per chi deve muoversi in Italia. Ma sono graditi anche un certificato di proprietà di un’abitazione e un’auto. Dicono graditi, ma alla fine sono determinanti. Mia moglie, allora come oggi, è un’onesta lavoratrice ed essendo giovane non era in possesso di auto o abitazioni. Nemmeno io, in Italia, ero proprietario della casa in cui vivevo. Comunque, spendendo tantissimi soldi, in un modo o nell’altro, siamo riusciti ad ottenere il visto. Non nascondo che, se fossi stato un cinese con legami in Italia avrei scelto la via della clandestinità». Insomma, dopo varie traversie Ying ha avuto finalmente la possibilità di conoscere la famiglia di Pastore. «Prima di partire per la terza volta e forse definitivamente – racconta – ho inviato il mio curriculum a circa 300 aziende italiane operanti in Cina, delle quali solo due hanno risposto e chiesto di incontrarmi a Shanghai. Una ha offerto 200 euro per un part time, l’altra 350, da tassare. Nessuna delle due voleva regolarizzare la mia posizione lavorativa. Ho lasciato perdere. Racconto questo per evidenziare che anche gli imprenditori italiani non sono poi tanto diversi da alcuni imprenditori cinesi in Italia». C’è inoltre un altro aspetto che vuol sottolineare Pastore. «Quando siamo andati a richiedere il visto turistico per la mia attuale moglie, ho sbirciato anche gli uffici consolari delle altre nazioni, sia europee che extraeuropee, situati tutti nello stesso edificio. In quello italiano, però, c’erano solo i "disperati" che avevano necessità di raggiungere l’Italia per potersi congiungere a qualcuno che è entrato qualche anno fa, mentre negli altri ho notato soprattutto cinesi in giacca, cravatta e valigetta 24 ore. Imprenditori che non fanno business con aziende italiane, ma con aziende estere, cioè, tutte occasioni perse. La Cina è un paese in forte crescita. Qui tutto è ancora possibile. L’Italia, invece, mi sembra un paese che invecchia sempre più rapidamente. Tramite gli immigrati abbiamo avuto la possibilità di innestare forze fresche, di relazionarci a gente giovane e dinamica, di confrontarci con altre culture. Ma quando dall’Italia sento certe notizie di pura intolleranza mi sento davvero male, ci siamo dimenticati che siamo un popolo di migranti. È in corso una campagna d’odio che sta addirittura portando fortuna ad alcuni gruppi politici. C’è razzismo, inutile negarlo, è un fenomeno che conosco bene. Allora, vorrei dire agli stranieri di lasciar perdere l’Italia, non vale la pena».

A Lonato S.H., una studentessa del Golgi che preferisce non dire il nome «perché già a scuola mi trovo male, figuriamoci se qualcuno legge queste parole», di origine senegalese, da 7 anni in Italia afferma che la cosa più difficile a scuola è il velo, dato che è costretta a toglierlo. «È ancor peggio che del colore della pelle: portare il velo mi è impossibile e questo mi addolora perché ci tengo ai valori della mia religione che però riesco a onorare solo in famiglia». S.H racconta che «i compagni di scuola non sanno nulla delle mie tradizioni religiose ma si permettono di giudicare e i professori arrivano a dire che l’Islam è sbagliato e che sarebbe da eliminare dalla faccia della terra. Ora mi sono abituata e a scuola tolgo il velo, ma è una sofferenza». Questo è l’esempio di integrazione a cui puntano i/le leghist*? A questo puntano i/le razzist*? A privare una persona della sua identità, del suo culto e delle sue tradizione per imporgli/le le nostre senza però riconoscergli/le mai la nazionalità italiana? Sembra proprio di sì.

A Vasto una ragazza russa è uscita di casa per andare dai carabinieri. Il giorno precedente era stata trovata senza il talloncino dell’assicurazione esposto: voleva capire come risolvere il problema, ma il problema si è improvvisamente aggravato. Nell’ufficio si sono accorti che il suo permesso di soggiorno era scaduto, ed in quel momento si è accorta che per lo Stato italiano lei era considerata una criminale, e come una criminale è stata trattata. Non è importato a nessuno che lavorasse regolarmente in Italia da dodici anni, non è importato a nessuno che fosse regolarmente assunta, non è importato a nessuno dei suoi dodici anni di contributi generosamente donati allo Stato italiano, non è importato a nessuno che in Italia avesse degli affetti, degli amici, che in Italia fosse la sua vita. E’ stata trattenuta dalle 10 del mattino alle sette di sera, è stata accompagnata a casa per "consentirle" di fare una veloce valigia, è stata trasportata in uno di quei posti che lo Stato italiano chiama centri di identificazione ed espulsione, ma che in realtà sono carceri sovraffollati, dove le persone vengono trattate ai limiti della umana decenza. Dopo neanche dieci giorni, e prima ancora che il suo ricorso fosse discusso è stata presa e rispedita nel suo Paese. Che reato aveva commesso? Di quale grave crimine è colpevole questa ragazza? Voler risolvere un problema riguardante l’assicurazione auto è un reato? E’ mai possibile che una ragazza, da anni residente in Italia, lavoratrice, venga rispedita nel suo paese d’origine solo perché ha il permesso di soggiorno scaduto? Il fatto che sia a tutti gli effetti una cittadina italiana, perché vive qui da tanto tempo, ha creato la sua vita nel nostro paese, debba essere trattata alla stregua di una criminale? Siamo ai paradossi più eclatanti, tutti giustificati dal razzismo che questo governo ha e continua a fomentare.

A Rho, provincia di Milano, un rom italiano si vede confiscare e abbattere la casa dopo aver ricevuto il condono. Lo sgombero in via Magenta , effettuato da quattro pattuglie della Polizia Locale con la collaborazione di quaranta agenti delle forze dell’ordine statali, è un’ulteriore passo dell’ormai lungo percorso intrapreso dall’amministrazione comunale in materia di sgomberi. Il più recente è quello riguardante il campo abusivo di via San Bernardo, dove ancora permane un insediamento abusivo. Alcuni esponenti del centro sociale Fornace, però,  denunciano  il fatto che dopo aver loro confiscato i terreni che avevano acquistato regolarmente da italiani, dopo avere incassato diverse rate del condono per alcune migliaia di euro per poi dichiararlo illegittimo, ora il Sindaco, gli ha fatto abbattere la casa, interrompendo così di fatto l’iter scolastico dei bambini e mettendo a rischio la posizione lavorativa dell’unico uomo della famiglia, tra l’altro cittadino italiano. Tutti gli sgomberi di Rom che stanno avvenendo a Rho negli ultimi mesi sono finalizzati anche a liberare terreni che con il Pgt cambieranno destinazione d’uso, essendo inseriti in aree di trasformazione che da agricole diventeranno edificabili. Così nella città vetrina di Expo i razzisti e gli speculatori viaggiano a braccetto, compiendo l’ennesimo atto disumano.    

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