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Bestiario Razzista (parte II°)

Dopo il primo Bestiario Razzista, nel quale in un certo senso si anticipava di tanto (fu condiviso a gennaio) l’interesse dei media per i provvedimenti razzisti dei singoli comuni, quelli che per capirci si giocano a suon di ordinanze la possibilità di espellere, rastrellare, misurare i centimetri di vita degli stranieri, eccone un secondo, ancora dedicato ai provvedimenti, che precederà l’altro bestiario sulle aggressioni fisiche/istituzionali/psicologiche… sempre a sfondo razzista.

Per Bestiario Razzista (prima parte) —>>>Leggi QUI

Per il Bestiario parte seconda, buona lettura!

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Provvedimenti contro i negozi dei/lle immigranti/e e ordinanze che ne limitano l’apertura

La deputata leghista Silvana Comaroli ha presentato una proposta, contenuta in un emendamento al decreto legge incentivi presentato nelle commissioni Attività produttive e Finanze della Camera, in cui vi è scritto: ”Le regioni, nell’esercizio della potestà normativa in materia di disciplina delle attività economiche possono stabilire che l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell’esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati”. In poche parole se un extracomunitario vuole aprire un negozio in Italia deve prima superare un esame che attesti la sua conoscenza della lingua. Ed un/a italian*? La domanda può sembrare provocatoria, ma diciamocelo che non tutt* conosciamo bene la nostra lingua. Avete mai sentito un comizio di Bossi? Il dialetto che usa è così stretto che sembra stia parlando una lingua a parte (con tutto il rispetto per i dialetti). Inoltre per poter parlare bene una lingua c’è bisogno almeno di un anno di lezioni, chi gliele pagherà? Nell’emendamento non c’è nessun punto che faccia riferimento al come e dove gli/le immigrat* possano acquisire una padronanza linguistica tale da superare un test di lingua, il che vuol dire che dovrebbero arrangiarsi alla meno peggio. Inoltre dalla stessa deputata è stato presentato un altro emendamento in cui si chiede invece lo stop delle insegne multietniche favoreggiando invece quelle in dialetto. ”Le regioni – si legge nel testo – possono stabilire che l’autorizzazione da parte dei comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale è condizionata all’uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all’Unione europea ovvero del dialetto locale”. Vi immaginate un/a immigrat* alle prese con un dialetto italiano? Sapete quante varianti ha un semplice dialetto? Moltissime, ed ognuna diversa dall’altra, tanto è vero che spesso persone che vivono in città adiacenti, parlano dialetti differenti e spesso incomprensibili tra loro. Inoltre, anche in questo caso, chi insegnerebbe ai/lle immigrat* il dialetto locale? Chi dovrebbe pagare per queste lezioni extra? Anche qui nessun accenno al come o dove poter imparare il dialetto. Quindi i/le leghist* vogliono che i/le immigrat* sappiano l’italiano ed il dialetto locale ma poi non gli/le mettono a disposizione nessun servizio per poterlo fare? E questa la chiamano integrazione.


A Milano invece si torna a parlare di via Padova dove, dopo l’esercito (che evidentemente non serve a molto) scatta il coprifuoco per le attività della zona, quelle considerare “sospette”, come kebabbari, take away e centri telefonici. Anche i centri benessere per massaggi dovranno chiudere per le ore 20 e le discoteche dovranno abbassare le serrande in anticipo. Questo a dimostrazione del fatto che c’è una vera e propria tendenza, da parte di questo governo, a voler far percepire gli/le stranier* come persone sospette, inaffidabili, che chissà cosa tramano nei loro negozi fino ad arrivare all’accusa di terrorismo. Ed è a nome della “sicurezza pubblica” che il sindaco Moratti compie tale manovra, che, in realtà, non ha nulla a che vedere con la sicurezza, ma bensì con i vari e svariati tentativi di liberarsi degli/lle stranier* colpendol* proprio su ciò che è più indispensabile per la sopravvivenza: il lavoro.

A Monza, precisamente a Ceriano Laghetto, l’amministrazione comunale con una delibera di giunta ha bloccato l’avvio delle attività commerciali legate agli stranieri. Limiti e divieti sono stati introdotti per "quelle attività considerate potenziali cause di disagio sociale, viabilistico e di quiete pubblica": nell’elenco figurano kebab, phone center e servizi di trasferimento di denaro. Per questo tipo di attività commerciali non solo c’è il divieto di insediamento nell’area indicata come nucleo storico, ma non sarà più sufficiente la normale procedura dell’istanza semplice: sarà necessario l’avvio di una procedura negoziale con l’amministrazione comunale. "Vogliamo tutelare il decoro del centro cittadino – ha spiegato il sindaco leghista Dante Cattaneo, a capo di una giunta di centrodestra – Attività come kebab, centri di telefonia e di trasferimento di denaro diventano spesso punti di incontro senza regole di immigrati clandestini se non veri e propri paraventi di attività illecite". Che vi dicevo? Il Terrorismo è un’ottima giustificazione per atti che altrimenti non si potrebbero definire che razzisti. Al centrodestra non piace la movida, la gente che cammina per strada, che in piazza si intrattiene con amici/che, che tra una chiacchiera e l’altra beve birra e mangiare kebab. A loro non piace che la gente si diverta, si conosca, a loro non và giù che interagiscano culture diverse, che ci si parli e si capisca che la differenza c’è ma anche no. Che si faccia amicizia e si creino relazioni tra persone di culture diverse. Eh sì, dobbiamo ammetterlo, tutto questo potrebbe mandare davvero in fumo interi mesi di propaganda razzista.

Provvedimenti che discriminano i/le bambini/e immigrati/e

A Padova i/le bambin* extracomunitari senza permesso di soggiorno sono esclus* dagli asili. A deciderlo è stato il sindaco Flavio Zanonato che spiega di essere obbligato ad applicare la legge, anche se non la condivide, e che finora comunque non si è verificato nessun caso del genere, anche se l’associazione antirazzista ha denunciato il caso di un lavoratore irregolare residente in città che non avrebbe potuto iscrivere il figlio. In Italia però i servizi legati all’obbligo scolastico e ai servizi sanitari sono gli unici casi in cui, per legge, non è richiesto il permesso di soggiorno. Quindi dov’è questo obbligo da dover a tutti i costi rispettare? Non c’è, ma si finge di non saperlo, forse perché cavalcare l’onda razzista del paese fa comodo anche ai sindaci del Pd. A Bologna infatti il comune, che aveva anch’esso emanato un provvedimento identico, fa dietro-front e dichiara che non serve il permesso di soggiorno per l’iscrizione agli asili nido per i genitori migranti.

A Goito, provincia di Mantova, il regolamento per gli asili nido, all’articolo 1, pone come condizione per iscrivere il figlio l’accettazione di una sorta di preambolo religioso: la provenienza da una famiglia cattolica o cristiana, escludendo di fatto molte famiglie di immigrati di diverso orientamento religioso. Il regolamento è nettamente anti-costituzionale e verrà cancellato, ma ciò non toglie che anche questo si inserisce nel progetto xenofobo messo in atto da questo governo, che si cerca di attuare a tentativi, dato che prima o poi l’odio xenofobo diventerà tale da poter permettere questo ed altro (come già possiamo notare).

A Palazzago, in provincia di Bergamo, c’è un regolamento che assegna un contributo di 258 euro per i nuovi nati e per i minori adottati, fatta eccezione per i figli di genitori che non hanno la cittadinanza italiana. I requisiti per ricevere l’assegno prevedono infatti la residenza del neonato nel Comune, la cittadinanza italiana di almeno un genitore [o la presentazione di formale richiesta di cittadinanza] e la residenza nel Comune da almeno un anno di almeno un genitore al momento della nascita. Quale stranier* può vantare tali requisiti? Ma soprattutto, perché, nel paese della difesa del feto, si fa discriminazione sulla cittadinanza dei/lle bambin* nat*? I/le neonat*, stranieri o italiani, non sono egualmente una vita da proteggere? Oppure, come credo vorrebbero i leghist*, si vuole arrivare a dare un’importanza diversa alla vita dei/lle nuov* nat* a seconda della nazionalità?

Provvedimenti che limitano/cancellano finanziamenti per servizi/sportelli per i/le immigrati/e

A Dalmine le casse comunali piangono e arrivano i primi tagli. Il primo è stato allo Sportello immigrati, servizio sospeso dopo circa cinque anni dalla sua attivazione. La motivazione? Una riorganizzazione del personale che ha portato il sindaco Claudia Terzi, a capo della coalizione Lega-Pdl, a chiudere lo sportello. Un servizio che si poneva come una sorta di intermediario tra immigrato, prefettura e questura, assistendo gli immigrati extracomunitari per le pratiche inerenti i permessi di soggiorno e i ricongiungimenti familiari: dalla gestione della prima accoglienza sul territorio alla fornitura di informazioni sulle opportunità di lavoro. Ma il primo cittadino ci tiene a ribadire che si tratta di un provvedimento necessario, vista la carenza di personale e l’impossibilità di assumerne di nuovo: «La scelta di sacrificare lo sportello immigrati deriva dalla volontà dell’amministrazione di attuare una riorganizzazione del personale – spiega Claudia Terzi –. Riorganizzazione che risulta essere indispensabile per ovviare al problema della carenza di personale. Le difficoltà di bilancio, inoltre, ci impediscono di assumere altri dipendenti ed è dunque necessario fare dei tagli». In effetti, in tempo di crisi, che cosa un comune può mai tagliare? Mica può tagliare le spese superflue, qualche mega stipendio e qualche servizio del tutto inutile? No, questo non sembra essere possibile. E’ più facile prendersela con quell* che hanno più bisogno di servizi, proprio per ricordargli/le che sono gli/le ultimi/e della società.

Ordinanze che discriminano i genitori degli/le studenti/esse immigrati/e

La ministra Gelmini se ne è inventata un’altra. Ha fatto indire nelle scuole una prova, detta Prova Invalsi, che serve ad accertare gli apprendimenti degli/lle studenti/tesse  per l’anno scolastico in corso. Fino a qui niente di eclatante, se non fosse che con largo anticipo rispetto alle prove Invalsi, le scuole su “ordine” del ministero stanno consegnando un questionario da compilare a cura dei genitori le cui domande non hanno nulla a che vedere con la didattica né con la valutazione delle conoscenze e dei saperi. La scheda in realtà serve per individuare la provenienza “socio-economico-culturale” dei singoli studenti. Indagine statistica che spetterebbe all’Istat e non all’Ivalsi. Pertanto, è una schedatura delle famiglie e, ancora più inquietante, si insiste con la “persecuzione” dello studente immigrato. Di lui si vuole conoscere tutto: se è nato in Italia e l’arrivo in Italia; se ha frequentato l’asilo nido e la materna. Ma l’obiettivo finale di tutto questo è anche un altro: attraverso il solo risultato degli alunni, il ministero intende valutare in modo indiretto ogni singola scuola pubblica e i loro docenti. Quindi questa manovra appare fatta apposta per continuare quella “caccia all’immigrat*” che questo governo sta mettendo in atto da due anni. Cambiano i metodi ma lo scopo, ahinoi, resta il medesimo.

Ordinanze che impediscono/limitano l’accesso all’istruzione per gli/le studenti/esse immigrati/e

Finanziare l’integrazione degli studenti stranieri "è discriminatorio, perché crea differenze di trattamento con i bambini italiani". Con questa motivazione, Lega e Pdl hanno votato in commissione Scuola-Educazione del consiglio di zona 7 la proposta di annullare i fondi per i corsi di italiano agli immigrati. Nel documento si prevede di destinare "a tutti i bambini del quartiere" (compresi quelli che frequentano scuole private) i circa 30mila euro che per anni sono stati spesi in ore di italiano agli stranieri. La scusa usata per motivare tale taglio è la solita: c’è crisi e vanno fatti dei tagli, chissà poi perché si parte sempre dai servizi per gli/le immigrat*. Inoltre dire che il corso di italiano per gli/le immigrat* è discriminatorio nei confronti degli/lle studenti/esse italian* è una cavolata madornale, non c’è bisogno neanche di commentarla. Mi chiedo se i/le leghist* abbiano problemi di schizofrenia, dato che prima dicono che gli/le immigrat* devono imparare l’italiano e poi gli/le tolgono i mezzi per farlo. E poi, dopo tutto questo, si permettono di dire che sono gli/le immigrat* a non voler imparare la nostra lingua.

A Chiari e Castel Mella si è deciso di indire dei bandi per le borse di studio, in cui, però, tra i requisiti minimi vi era «la cittadinanza italiana». Gli/Le studenti/esse stranier* sono dunque tagliate fuori. Sappiamo tutti/e che la cittadinanza italiana come requisito è discriminatorio, tanto che un’ordinanza del Tribunale di Brescia impone alle amministrazioni leghiste di Chiari e Castel Mella di eliminare appunto la clausola della nazionalità tra i requisiti per l’accesso ai bandi comunali destinati a studenti meritevoli. Così hanno deciso i magistrati accogliendo il ricorso presentato dalla Fondazione Piccini, dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dalla Cgil di Brescia.Se l’amministrazione guidata da Ettore Aliprandi (Castel Mella), dopo aver ricevuto notizia del ricorso, ha ritirato la delibera, riaprendo i termini per l’ottenimento delle borse di studio e togliendo la «postilla discriminatoria» (sobbarcandosi comunque 600 euro per il pagamento delle spese legali), a Chiari l’amministrazione non ha ritirato la delibera. Perché questo comune si permette di privare gli/le studenti/esse stranier* di un loro diritto? Le borse di studio nascono con l’intento di aiutare e sostenere negli studi i/le studenti/esse meritevol*, senza distinzione di cultura, proprio per permettere a tutt* di poter accedere all’istruzione. Coloro che si diplomano o si laureano nel nostro paese, chiunque essi/e siano, contribuiscono ad aumentare il nostro livello culturale e se sono stranier* ci aiutano a portare avanti quel magnifico progetto di integrazione culturale che forse ai/lle leghist* fa paura, ancorat* come sono alle italiche tradizioni, ma che è l’unica via possibile in questo mondo.

Provvedimenti che limitano/impediscono l’accesso ai servizi sanitari agli/lle stranieri/e

A Milano la notte del 3 marzo la piccola Rachel sta male, è preda di violenti attacchi di vomito. I genitori, spaventati, chiamano il 118. Arriva un’ambulanza che li trasporta al pronto soccorso dell’Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Il medico di turno, in sei minuti, visita la paziente e la dimette prescrivendole tre farmaci. Sul referto medico si leggono poche parole: «Buone condizioni generali». Sono riportati anche gli orari di ingresso (00.39) e di uscita (00.45). Il quartetto, con loro c’è anche la figlia più grande, di due anni e mezzo, gira in cerca della farmacia di turno. Ma le medicine sono inutili e alle 2 di notte l’uomo torna al pronto soccorso. Vuole che qualcuno si occupi della figlia, che sta sempre più male ma il personale gli risponde che la bambina ha la tessera sanitaria scaduta, e quindi non possono visitarla ancora o ricoverarla. Il nigeriano, Tommy Odiase, per ottenere il rinnovo della tessera sanitaria propria e delle figlie, doveva presentare una serie di documenti che ne attestassero la posizione, fra i quali la busta paga dell’ultimo mese, ma essendo stato licenziato solo sei settimane prima, la pratica si è trasformata in un incubo. Davanti al rifiuto dei medici, l’ex operaio diventa una furia. Urla, vuole attenzione. Qualcuno dall’ospedale chiama i carabinieri per farlo allontanare. Forse dall’altra parte della cornetta ricordano che pochi giorni prima all’ospedale di Melzo, stessa Asl, era morto un bimbo albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. L’intervento dell’Arma risolve momentaneamente la situazione: Rachel viene ricoverata in pediatria dove la sera del giorno dopo la sua situazione diventa critica, tanto che oltre alla flebo accanto al letto spunta un monitor per tenere sotto costante controllo il battito cardiaco. Alle cinque e mezza il cuore della bambina si ferma, dopo 30 minuti di manovre di rianimazione viene constatato il decesso. I carabinieri acquisiscono le cartelle cliniche, gli Odiase presentano una denuncia per omicidio colposo a carico dei medici e dell’ospedale, la Procura di Milano apre un’inchiesta con la stessa accusa contro ignoti. Ora si attendono i risultati dell’autopsia, pronti per il 12 maggio. Commentare questa notizia è impossibile, è così orribile che nessuna parola può descriverne la bestialità, mi viene in mente solo che tutto questo accade in un paese dove la Chiesa e la destra si battono per i diritti del feto e poi lasciano morire i/le bambin* nat* solo perché non italian*. E’ mai possibile che la dignità e i diritti fondamentali dei/lle bambine debbano essere diversi a seconda della nazionalità o colore della pelle? Che il diritto alla vita e alla salute venga negato per un stramaledetto foglio di carta? Quel foglio può mai valere una vita?

Intanto l’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia e dall’Asl Milano chiedono ai medici di famiglia e ai pediatri di restituire i compensi incassati per visite agli "extracomunitari" con permesso di soggiorno scaduto o in fase di rinnovo. E’ l’ennesima manovra che attentare alla salute degli/lle immigrat* spingendoli/e sempre più lontano dalla cure mediche. Per i non avvezzi alla materia, per rinnovare un permesso di soggiorno si deve andare in posta un mesetto prima della scadenza del permesso, compilare un paccone di documenti e spedirli. Un addetto delle poste, prima della chiusura della busta controlla che ci siano tutti i documenti, compreso il contratto di lavoro. Se si è fortunati dopo 7-8 mesi si viene avvisati che il proprio permesso è disponibile in questura. In tutto questo periodo fa fede la ricevuta rilasciata dalla posta. Chi è in attesa di rinnovo è una persona REGOLARMENTE in Italia, che lavora REGOLARMENTE, e paga le tasse REGOLARMENTE. Evidentemente però non può ammalarsi per 7-8 mesi, secondo la Regione Lombardia. Potrà farlo nei restanti 4-5 mesi prima di dover nuovamente rinnovare il permesso di soggiorno. E questo vale anche per i loro figli. Meno fortunati i figli degli immigrati irregolari, loro non possono ammalarsi mai, poichè i pediatri non sono rimborsati dalla Regione per il tempo che dedicano loro.
Provvedimenti che limitano/impediscono la richiesta di permesso di soggiorno da parte dei/lle stranieri/e

Gli stranieri irregolari con figli minori che studiano in Italia non possono chiedere di restare nel nostro paese. Secondo una sentenza della Corte di Cassazione, che così smentisce una recente sentenza della stessa suprema corte, la tutela della legalità alle frontiere prevale sul diritto allo studio dei minori. Con la sentenza n. 5856, la Cassazione ha respinto il ricorso di un immigrato albanese residente a Busto Arsizio, con moglie in attesa della cittadinanza italiana e due figli minori. Il cittadino albanese aveva richiesto di non essere espulso per non arrecare danni al "sano sviluppo psicofisico" dei figli. La suprema corte ha risposto che la permanenza ai clandestini in Italia è permessa solo in nome di "gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione d’emergenza", mentre la frequenza scolastica configurerebbe una "tendenziale stabilità" ed "essenziale normalità". Al contrario sarebbe legittimata la permanenza dei clandestini strumentalizzando l’infanzia. Secondo la sentenza, la salvaguardia delle esigenze del minore non può prescindere dall’impianto normativo della legge sull’immigrazione. Tutto questo però vale solo per i padri stranieri, perché per quelli italiani è tutta un’altra storia. Loro sì, che vengono tutelati anche quando violano la legge picchiando, minacciando, insultando, molestando, perseguitando moglie e figl*. Loro sì che sono meritevoli di entrare nelle vite di moglie e figl*, anche quando quest’ultime/i non vogliono nessun contatto. Il Pater Familias italiano va tutelato ad ogni costo, mentre quelli stranieri possono anche non vedere crescere i loro figli, poiché per loro, e solo per loro, la legge è legge.

Gli immigrati che hanno presentato richiesta di sanatoria, ma non hanno rispettato in passato un decreto di espulsione, saranno rimpatriati. E’ quanto sta accadendo in alcune province d’Italia, le cui prefetture applicano in maniera inflessibile l’obbligo di espulsione per chi ha violato la legge. L’unico reato contestato è però la mancata ottemperanza del decreto di espulsione, come previsto dalla legge Bossi-Fini. Nei primi mesi della sanatoria, non sono emersi problemi e anzi sono state presentate e accolte molte domande. Solo in un secondo momento, dopo i controlli delle questure sulla fedina penale degli stranieri, si sono registrati i respingimenti delle domande e contestualmente i decreti d’espulsione. L’attuale interpretazione di alcune prefetture, però, contraddice in parte il decreto ministeriale di settembre. Dal Viminale non giungono ancora chiarimenti univoci alle prefetture e alle questure, che invece ricevono in risposta appunti non firmati dal ministro. Tanto per ribadire che ognuno interpreta le leggi come vuole e poi chi se ne frega se qualcun altr* ci và di mezzo, viene espuls* dal paese in cui vive da tanto tempo, in cui ha famiglia e lavora o dove è appena arrivat* per scappare da una guerra, dalla fame e dalla miseria? Chissenefrega delle vite degli/lle immigrat*?

Provvedimenti che limitano/impediscono l’uso dei luoghi pubblici agli/lle immigrati/e

A San Giorgio in Bosco il sindaco leghista Renato Roberto Miatello vieta ad una squadra di romeni, iscritta al campionato amatori, di giocare nel campo da calcio comunale e affermando di non vedere « l’utilità di una formazione romena che non ha niente a che spartire con il territorio». Altre otto squadre giovanili – di italiani è chiaro – invece usano l’area sportiva. Cosa centri il territorio con lo sport non mi è chiaro. Lo sport non dovrebbe unire le persone? Non dovrebbe essere una specie di livella sociale, dove ognun* può cimentarsi e sentirsi gratificat* per i risultati ottenuti grazie all’allenamento? Inoltre le gare amatoriali non si fanno in nome del divertimento? Della spensieratezza? Il territorio non può spartire un momento di svago con i rumeni? Però poi vogliono che si integrino, paghino le tasse (e quindi rifocillino le casse dello stato), che lavorino sottopagat* , imparino le nostre tradizioni e la nostra lingua, che mangino i nostri cibi e che professino la religione cristiana… ma dulcis in fundo, non entrino mai e poi mai in contatto con noi. Questa sì che è integrazione.

Provvedimenti che discriminano i/le lavoratori/trici immigrati/e

Il Comune di Villa d’Ogna ha messo a disposizione un fondo di seimila euro, al quale potranno accedere coloro che risiedono in paese da almeno cinque anni, con famiglia monoreddito, due figli a carico e con un reddito non superiore ai settemila euro. Stranieri esclusi. Il sindaco di Villa d’Ogna, Angelo Bosatelli, non vuole però sentir parlare di discriminazioni razziali: "La cifra a disposizione non è altissima, siamo un piccolo Comune – ha dichiarato al quotidiano L’Eco di Bergamo -. Non escludo modifiche in futuro, ma per ora sì, abbiamo posto alcuni paletti. Indicare la cittadinanza italiana vuole essere semplicemente un modo per aiutare in modo più diretto le famiglie storiche di Villa d’Ogna".  La giustificazione è sempre quella, la crisi. Quante manovre hanno compiuto in nome della crisi? Se c’è crisi però la domanda resta sempre la stessa: se c’è, c’è per tutt*, non solo per gli/le italian*. I/le lavoratori/trici che perdono il posto di lavoro dovrebbero essere mess* sullo stesso piano, dato che sia il lavoratore/trice italian* che quell* stranier* contribuisce all’aumento del PIL dell’Italia. Gli/le immigrat* sono “buon*” solo quando possono essere usat* come risorse da sfruttare fino all’osso?  

Ordinanze per sgomberi

A Milano, in via Triboniano, sono stati sgomberati quattro ragazzi dall’età compresa tra i 20 e i 25 anni per “motivi di sicurezza”. Durante lo sgombero però hanno perso la vita. Si trattava di quattro rom di nazionalità romena che avevano trovato una sistemazione al secondo piano di uno stabile al civico 62 di via Dante, quartiere Nord della città, da non più di un paio di settimane. Il fratello di uno dei Rom deceduti si era recato nell’abitazione di via Dante ed ha suonato ripetutamente il campanello, lo ha cercato al telefonino, ma non ha ottenuto risposta. Lo ha cercato per strada, ha guardato dove di solito parcheggiava la sua Mercedes e l’ha vista in una strada adiacente a via Dante. “Vivevano nel campo Rom di via Triboniano a Milano – ha raccontato una donna – poi sono stati sgomberati per motivi di sicurezza. Volevano una vita normale e hanno trovato la morte”.

Intanto a via Vaiano Valle, sempre a Milano, 60 persone della polizia locale in tenuta anti-sommossa, hanno sgomberato un insediamento di cento persone, di cui 50 bambini, nonostante la neve, il freddo e le condizioni avverse. Nulla è servito a impedire questa ferocia. Neanche il fatto che ai nuclei familiari sgomberati non sia stata offerta nessuna alternativa credibile.
A Cagliari un’ordinanza del sindaco Emilio Floris impone agli abitanti dell’ex edificio industriale Emsa di Giorgino, che ci vivono da una decina d’anni, di lasciare il caseggiato, destinato a essere restituito al consorzio industriale Cacip per la successiva demolizione. Si tratta di un centinaio di senegalesi di cui soltanto una minima parte troverà posto in appartamenti in affitto trovati dai servizi sociali del comune attraverso la Caritas. “Per tutti gli altri l’alternativa e’ la strada”, sostiene la Rete antirazzista, giudicando lo sgombero “un’infamia motivata dalla speculazione edilizia e sostenuta con argomenti razzisti”.

A Roma invece dopo gli sgomberi del campo nomadi di Via degli Angeli a Roma (VI Municipio – Torpignattara) sotto la giunta di Politi (PdL) con tanto di esultanza da parte anche del PD, e la chiusura del Casilino 900, definita da Alemanno parlava una "Svolta epocale", ci prova anche Santori, del XV municipio, che vuole sgomberare un altro campo nomadi nei pressi di Muratella e Magliana Vecchia. Ma se a queste persone non si dà un’alternativa, a cosa serve sgomberarl*? Loro creeranno un campo nomadi altrove ed il problema continuerà ad esistere e ad essere affrontato in questo modo barbaro. Credono davvero che sgomberandol* si sbarazzeranno dei/lle stranier*? Ma non sarebbe più facile trovargli una sistemazione adeguata e dignitosa? Dirgli che i loro campi sono antiestetici/non sicuri e altre cavolate simili non risolve nulla e soprattutto non è colpa loro se non trovano o non possono permettersi un alloggio. Oppure crediamo ancora alla “favola” che a loro piace vivere in quelle condizioni?

Posted in Anticlero/Antifa, Fem/Activism, Omicidi sociali.


One Response

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  1. Chiara says

    Che tristezza…e pensare che nel secolo scorso anche gli immigrati del nor-est hanno subito lo stesso trattamento in Svizzera,Belgio,Germania!Ho spesso a che fare con gl studenti di vari ordini di scuole, in generale gli studenti di origine straniera sono gli unici a studiare la grammatica italiana! Non so quanti italiani(e leghisti) passerebbero un test di italiano!
    Chiara