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La memoria revisionista e le donne

Il fiabesco che conduce ad una conclusione storica in cui "entrambi" sarebbero vittime è lo stesso scelto in italia – con la fiction "il cuore nel pozzo" – nella quale l’uso dei bambini e di un bambino in particolare è determinante per fare passare una versione della storia addirittura totalmente inventata.

Sono due cose diverse, due misure revisioniste differenti. La prima, quella del film, non può comunque non partire dal riconoscere il ruolo di vittime all’unica categoria umana alla quale l’impero d’occidente ha offerto riscatto, ricchezza e appoggio per creare una stazione di controllo filoamericana in medioriente. La seconda non riconosce ai partigiani neppure il ruolo di vittime e ne fa addirittura dei carnefici.

Il film del bambino che pensa che i deportati siano tutti pigri individui che passano la giornata interamente con indosso uno sporco pigiama a righe offre anche uno spunto di condanna per la propaganda nazista in cui la ricostruzione fantasiosa della vita in un campo finiva per nascondere verità atroci. Sono piccoli elementi sapientemente usati per accreditare e legittimare una nuova versione della storia, mandando a quel paese tanti scritti di hannah arendt o i romanzi cinici di gunther grass in cui si spiega perfettamente che è la chiave favolistica, quell’estetica tipica dei fratelli grimm, che il nazismo ha sempre usato per rincoglionire la gente e che la gente, aldilà del fatto che subisse un rincoglionimento costante, era comunque egoista e complice di un razzismo crescente, di crimini dell’umanità che non hanno alcuna giustificazione e che nelle stesse condizioni si possono assolutamente riverificare.

La chiusa del film è retorica tanto quanto tutto il resto. Soddisfa il bisogno di giustizia delle vittime della shoah facendo vergognare il mondo di aver sperato che quella giustizia si compisse.

Avviene così che l’esecuzione, casuale, del bambino tedesco, diventa motivo di pietas umana che appiattisce, schiaccia la storia, di nuovo, ancora, dalla parte dei nazisti. In fondo erano esseri umani anche loro. In fondo stavano solo facendo il proprio lavoro ed erano in guerra. 

Non è forse questa la ragione che viene addotta all’equiparazione tra repubblichini di salò e partigiani in italia?

Che si umanizzi il cattivo è una operazione essenziale. In questo è la satira a rendere perfettamente alcune questioni. Che lo si faccia invece strumentalmente assegnando all’umanizzazione lo sguardo innocente di un bambino e quello rincoglionito di donne completamente prive di autonomia di giudizio e di capacità di reazione è speculare alla legittimazione di nuovi e più gravi – perchè travestiti di presunta democraticità – disegni autoritari. Disegni che ridefiniscono le donne in quanto parti passive della storia. Disegni che compiono una nuova misoginia che schematizza ancora il ruolo di moglie subalterna e madre senza che a lei venga assegnata alcuna responsabilità storica. Ne’ buone ne’ cattive? Solo mogli e madri?

Le donne hanno avuto una parte importante in quel periodo storico: si sono ribellate, hanno preso posizione, hanno lottato, combattuto e sono morte per questo. Ridurle ad essere appendice "irresponsabile" dei gerarchi nazisti crudeli non ci è utile perchè ci toglie il diritto di ricordare che le donne hanno avuto un ruolo attivo fondamentale e forte nella reazione contro gli autoritarismi. Concedere pietà a queste donne non ci consente di provare orgoglio per quelle altre che hanno compiuto una resistenza coraggiosa. Non ci consente di attraversare quel pezzo di storia senza dover essere ancora una volta subordinate all’eroismo tutto al maschile. Ci è utile invece pensarle per quello che erano, in molti casi complici, orgogliosi membri del partito, uteri patriottici. Non è così che fanno oggi le donne che non si occupano neppure delle altre donne rinchiuse nei nostri lager italiani?

Posted in Omicidi sociali, Pensatoio, Scritti critici, Vedere.


One Response

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  1. Mario says

    Non sono d’accordo con questa analisi. Pur con i limiti del film, che ci sono e in parte coincidono con quanto esposto qui sopra, io non credo che si tratti di un caso di revisionismo. Non mi sembra che i tedeschi ci facciano una buona figura e non credo che il bambino ebreo faccia la parte del rincitrullito. Certo, l’orrore fu più orrido di così. Certo, quello che commuove alla fine non è tanto la morte di milioni di persone, ma quella dell’unico bambino che – in teoria – non avrebbe dovuto trovarsi lì. Ma, forse, partendo dalla compassione per il bambino tedesco, uno potrebbe fare due più due e dirsi che neanche gli altri milioni di persone – in teoria – avrebbero dovuto trovarsi lì. E che, se ci si sono trovati, è stato a causa di un regime che ha ottenuto il consenso di milioni di cittadini tedeschi (nel film i militari, ma anche l’adolescente col poster di Hitler in camera) o ha permesso loro di “chiudere gli occhi”, come tant@ fanno oggi con gli stranieri in Italia, per fare un esempio a noi contemporaneo. Non so – in questo caso – se una lettura di genere è tanto adeguata: la moglie del comandante del campo non ha gli occhi chiusi in quanto donna, ma fa ciò che tanti tedeschi e tante tedesche facevano all’epoca: guardavano da un’altra parte. Credo che alcuni non conoscessero neppure esattamente il significato dell’espressione “soluzione finale”: nel film si vede un esempio di propaganda nazista sul “buon trattamento” riservato agli ebrei nei campi. Quei filmati esistevano davvero. Nulla di questo giustifica i cittadini tedeschi dell’epoca, la responsabilità di chi ha scelto di condividere l’orrore del razzismo e dell’omicidio è intatta. Ma non ho visto intenzioni cattive nel film. Forse il meccanismo che ho descritto all’inizio (che pena per il bambino tedesco che non doveva essere lì! Ah, già, ma neanche gli altri dovevano essere lì!) mette in evidenza meglio di tanti discorsi l’immane idiozia di tutto il sistema di pensiero che, a partire dal Mein Kampf di Hitler, passando per le violenze naziste, le leggi razziali e i campi, ha spinto nei forni crematori milioni di persone. Non tutti erano ebrei, è vero. Quesato è un altro dei limiti del film, ma è un limite comune a tanti altri film sull’argomento. Non è sbagliato raccontare la vicenda da questa prospetrtiva, purché si raccontino anche le altre vicende. A me l’umanizzazione dei personaggi (e concludo) è piaciuta, perché implica il fatto che le responsabilità di ciò che è successo sono vere responsabilità umane (le cose potrebbero al limite ripetersi e in tanti casi lo fanno già) e non dipendono da esseri che l’ideologfia o il regime hanno completamente de-umanizzato. Quest’ultima lettura sarebbe, per un verso, troppo rassicurante.