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Brunella e la vipera

[Foto di Claudia Pajewski, tratta dalla serie di immagini che immortalano la bella performance nella street parade contro la violenza sulle donne Take back the night]

Brunella aveva cercato quel lavoro per anni e finalmente lo aveva trovato. Avrebbe fatto quello che la appassionava di più e avrebbe lavorato con altre donne. Sarebbe stato bellissimo.

La persona con cui avrebbe lavorato aveva più o meno lo stesso incarico. Entrambe si sarebbero occupate di questioni importanti. Si dissero che avrebbero dovuto collaborare.

Il primo giorno la sua collega fu tutto un cinguettare di complimenti e belle parole. Grandi sorrisi e complicità. Brunella le disse tante cose, parlò di se’, delle sue passioni e pensò di aver trovato un’amica. Ancora non sapeva che la collega stava tessendo la sua tela.

Il secondo giorno Brunella ricevette una chiamata dal capo che le fece grandi complimenti perchè lei non era una donna comune. Di grande intelligenza e spirito di iniziativa, disponibile con il mondo, metteva tutti di buon umore. La collega fece una smorfia e il viso rinsecchito quasi si spense in una espressione opaca.

Il terzo giorno Brunella scrisse un capolavoro di relazione e il capo la invitò a prendere un caffè. La collega si intrufolò nel gruppo con una scusa e intrattenne il capo con una imbarazzante teoria sulla differenza tra espressioni giuste ed espressioni sbagliate.

Il quarto giorno Brunella dovette sorbirsi lo sfogo della collega che le diceva quanto si sentisse inutile e imbarazzata per la brutta figura del giorno prima. Brunella è una persona buona e lo fu anche in quella occasione. Le disse che avrebbe organizzato qualcosa per darle occasione di mostrare le sue capacità.

Il quinto giorno Brunella disse al suo capo che per il lavoro da fare avrebbe immaginato di poter collaborare con la collega che sicuramente le avrebbe dato un grande contributo. Il capo acconsentì senza problemi.

Qualche giorno dopo Brunella si ritrovò a subire un’altra scenata da parte della collega che solo dopo un po’ di tempo le chiese scusa.

Passò un’altra settimana e Brunella scoprì per caso che la sua collega aveva detto al capo delle brutte cose sul suo conto. Bugie per lo più e frasi decontestualizzate che lei le aveva confidato circa la sua vita. Il capo disse che non era niente di importante (si era fatta una canna!) ma bisognava che stesse più attenta a fare circolare quelle notizie perchè avrebbero potuto danneggiare l’immagine dell’azienda.

Il giorno dopo Brunella affrontò la sua collega e le chiese perchè mai avesse fatto una cosa del genere. La collega si mostrò sorpresa, disse che era una calunnia, che per fortuna aveva preso nota di tutto e che all’occorrenza avrebbe potuto difendersi e affrontare la questione in tribunale.

Nei giorni successivi Brunella fu bombardata da insinuazioni di ogni tipo, ancora bugie, minacce, intimidazioni. La collega chiamava a raccolta le altre colleghe per parlare della sua verità. Chiamava Brunella ad una sfida aperta, la provocava e non perdeva nessuna occasione per aggredirla.

Se rispondeva al telefono e cercavano Brunella lei sproloquiava dicendo una serie di cose acide prima di passarle la chiamata. Se per caso Brunella diventava oggetto di attenzione lei non perdeva occasione per avvelenarle la vita.

Arrivò il momento in cui Brunella non ce la fece più e andò dal suo capo per chiedergli consiglio e per spiegare la situazione. Il capo espresse tutto il suo imbarazzo e disse che in una situazione del genere c’era poco da fare: o lei o Brunella. 

Brunella disse che non voleva questo. Solo sperava ci fosse un’altra soluzione, un trasferimento ad altra mansione, ad altra stanza, ad altro ufficio. Il capo le disse che non era possibile perchè lei gli serviva proprio nel posto che occupava e non c’erano scrivanie, piani o stanze diverse che avrebbe potuto occupare. D’altro canto non poteva licenziare nessuno perchè la collega faceva il suo lavoro. Intriso di veleno ma lo faceva. Dovevano risolvere questa cosa da sole, così le disse, che in altre parole significava che se non riusciva a sopportare quella vipera poteva scegliere di mollare ma doveva farlo lei. Una "libera scelta" per nulla libera.

Nei giorni che seguirono la situazione non migliorò, anzi la collega diventò sempre più cattiva tanto che Brunella in una occasione le disse con chiarezza che non avevano più nulla da dirsi e che dunque poteva risparmiarsi l’ipocrisia del saluto.

Una delle caratteristiche delle vipere è abbastanza nota a tutti. Se le impedisci di pungerti si incazza di più. Diventa più dannosa di un amante respinto, ti perseguita per farti sapere in tutti i modi, direttamente o per conto terzi, che sta parlando di te, che ti odia, che ti disprezza, che preferirebbe un mondo senza di te e che lei vivrebbe meglio se tu non ci fossi.

Il mobbing divenne stalking altamente lesivo della serenità personale di Brunella a tal punto che lei decise di andare dal medico e chiedere qualche giorno di malattia che visto il suo stato di ansia, agitazione, tensione le fu concesso rapidamente.

La distanza dall’ufficio le permise di recuperare un po’ di serenità senonchè proprio il giorno che stava rientrando il suo capo la chiamò per dirle che volendo poteva restare un altro pochino a casa. Il motivo era semplice: stavano facendo un lavoro complicato e c’era bisogno di tranquillità. La collega stava lavorando bene e senza Brunella in giro squittiva di gioia ed efficienza. Il capo temeva che Brunella avrebbe rovinato quell’atmosfera "gioiosa".

Brunella seguì il consiglio. Non voleva mettere il suo capo in difficoltà e lui fu davvero persuasivo. I giorni passarono e Brunella fu convocata dal capo. In una mano un pugno di mosche e nell’altra una lettera di licenziamento per ridimensionamento del personale. Questo fu tutto quello che Brunella ebbe in cambio del suo buon senso.

Uscì senza farsi vedere dalle colleghe. Non aveva nessuna voglia di incontrare Lei, quella vipera che le aveva rovinato la vita. Si maledì mille volte per essere stata tanto fragile, per non essere riuscita a tenerle testa, per non essere riuscita a tenere salda la sua posizione per difendere il suo posto di lavoro. Si sentì sconfitta perchè è così che ti fanno sentire le stronze: profondamente sconfitta nell’anima. Perciò da quel momento in poi Brunella decise che mai e poi mai avrebbe permesso che le accadesse la stessa cosa.

Al lavoro successivo c’era una collega che fingeva gentilezza per estorcerle confidenze, si complimentava e chiedeva di poter accedere alle sue risorse, la allisciava, si arruffianava, sperava di entrare nelle sue grazie e fu allora che Brunella scoprì che era davvero molto semplice mandare a fare in culo qualcun@ per legittima difesa. Glielo disse senza pensarci due volte perchè certe volte la questione è proprio questa: bisogna sopravvivere e non sarà una stronza qualunque a farti smettere di respirare.

Ps: la storia ci è stata raccontata da una donna eccezionale che ci ha fatto ridere e piangere con ben tre mail consecutive. Abbiamo sintetizzato il suo racconto in questo racconto. E diteci che non è successo anche a voi perchè non vi crediamo! 😀

Un abbraccio a "Brunella"! 

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Posted in Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Storie violente.


6 Responses

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  1. mancina says

    ho avuto questo problema anch’io, non sono stata licenziata, perchè è un lavoro pubblico, ma praticamente obbligata a trasferirmi in un altro ufficio, ma anche qui, rincorsa dalle chiacchiere della vipera, non ho avuto vita facile, ha pagato la mia franchezza, l’entusiasmo e la voglia di fare, io ero molto giovane e carina e la vipera un acida zitella, senza molta voglia di lavorare, con uno stato di ansia e di panico costante, che mi è costato un bel pò di anni tanta sofferenza, ed anche la “riabilitazione lavorativa” non è stata semplice ho dovuto farmi un “mazzo incredibile, e tutto perchè avevo più meriti di un’anziana, oltre che essere giovane. ci sono tante di queste storie nell’ambito di dove lavoro io, inutile dire che non ho trovato solidarietà da nessuno, perchè nell’ambito dove lavoro, o sei figlia o parente di qualcuno importante o puoi anche morire, non parliamo del sindacato poi, fatto esclusivamente da uomini quando successe questa storia, ora giusto qualche donna, e completamente asservito ai vari “padroni” di turno.grazie per “l’ascolto” e solidarietà a tutte le “brunelle”.

  2. fikasicula says

    cara “pandora”

    romanzo/ricerca/ saperi condivisi
    nel frattempo s’ha da lavura’ per campare!, tu capirai immagino
    oltretutto abbiamo un sacco di breakballs che ci intrattengono volentieri per farci perdere tempo 🙂

    ma il tuo contributo sarebbe moooolto utile.
    scrivici all’indirizzo mail indicato in alto a destra. e noi inoltriamo a chi si occupa della ricerca.

    grazie in anticipo
    e se hai altre notizie del genere
    anche di amiche
    sorelle
    chi vuoi
    l’archivio non è mai abbastanza pieno di conoscenza su queste esperienze.

    ciao

  3. Pandora says

    Certo che mi è capitato.
    E per tutto il tempo sono stata fermamente convinta che fosse in qualche modo colpa mia.
    Prima di capire che si trattava di mobbing (nel mio caso ambientale, e cioè perpetrato da una collega nei miei confronti) ho impiegato parecchio. Forse perchè la direzione era curiosa: dalla segretaria alla praticante avvocato (cioè io).
    Anche adesso, dopo due anni, fatico a comprenderne la causa. Quel che importa, comunque, è che ho capito che la causa non ero io.
    Se ti interessano ancora le esperienze di chi ha vissuto questo fenomeno in vista del romanzo su cui stai lavorando (il post era del 2007), ecco… io te ne parlerei volentieri. 🙂

  4. Titti says

    Sta capitando anche a me, da parte di un uomo (coordinatore). Per fortuna non è il capoufficio. Ma gliela sto facendo pagare… Intanto è da un mese che sto in malattia, posso permettermelo perchè lavoro in un ufficio pubblico e non ho il ricatto del licenziamento.
    E’ un fallito e il suo metodo sta portando l’ufficio in malora. Così ora vuole dare a me la colpa della sua incapacità. Pazzesco che esistano uomini così!
    Mi dispiace solo che alla fine quello che si dice è che nel pubblico ci sono impiegati assenteisti che non vogliono lavorare.

  5. Natla says

    Sinceramente no. Lavoro in un ambiente maschile per cui i problemi sono di altro tipo. E siccome sono irrimediabilmente solitaria (e irredimibilmente stronza) non sono il genere che viene preso di mira dalle vipere.
    Buono a sapersi comunque. Queste storie sono guide preziose.
    Un po’ come quelle sull’uso dei contraccettivi…
    un calo di attenzione può capitare a tutti 😉

  6. rosy says

    Si, è successo anche a me in ambito universitario. Ma lì è ben diverso. Molto più facile da risolvere. La cosa peggiore è che leggendo le considerazioni finali ho pensato che sconfitta nell’anima mi ci sono sentita per colpa di un uomo. E la cosa non mi piace per niente!