Continuo come e quando posso la mia ricerca sull’aggressività e sul bullismo al femminile. Giuro che appena le emergenze laiche e femministe di questo paese finiscono troverò il tempo di scrivere tutto per bene e farvi un giusto report di quello che ho trovato fino ad ora – testi, filmati, racconti, storie, statistiche, manuali di autodifesa. Per ora accontentatevi di un buon pezzo scritto per D di Repubblica da Andrea De Benedetti che coraggiosamente ha deciso di intrufolarsi in questo terreno difficilissimo e scomodo oltrechè davvero poco battuto. L’articolo comincia con la descrizione della “piaga” sociale – e già qui parrebbe cadere nei soliti luoghi comuni – poi però l’autore si fa domande intelligenti e prova persino a dare delle risposte o quantomeno a porre indispensabili dubbi. E nella quasi totale assenza di riflessione su questo tema, dove tutto sembrerebbe scontato, un dubbio è già una gran bella cosa.
C’e’ di sicuro la stigmatizzazione di un comportamento negativo. Non perchè risiede nei corpi di belle femminucce che devono seguire un copione da educande dell’800, ma perchè è un atteggiamento che noi donne conosciamo bene per averlo praticato o subìto e sappiamo anche che dopo aver acquisito la consapevolezza che abbiamo pur diritto ad essere poco delicate, più maschiacce – come direbbero i benpensanti – finalmente più aggressive senza dover giustificare nulla a nessuno [ci siamo conquistate il diritto ad essere cattive perchè: le brave bambine, vanno in paradiso ma quelle cattive vanno dappertutto! :)]ci resta da affrontare come difenderci dalla cattiveria e dalla aggressività di quella che dovremmo considerare a forza nostra sorella. Le donne tra loro fanno fatica ad allearsi. Noi facciamo fatica a non ferirci a colpi di parole velenose e concetti iniettati di acidume dall’inizio alla fine. Le donne tra loro più spesso non sono affatto solidali.
Nei libri di storia le donne condannate al rogo dalla inquisizione spesso venivano denunciate da altre donne per motivi futili: la gelosia, l’invidia… Ancora oggi se una donna viene stuprata, e lo sappiamo bene, esistono molte altre donne che le danno della puttana e danno la colpa a lei. Infine succede spesso, anche in contesti per così dire militanti, che le donne si guardino in cagnesco perchè sono competitive, inevitabilmente prime donne, e perchè il politico è personale e il personale è politico e uno scambio di opinioni diventa motivo per tirare fuori una “atavica antipatia già esistente ammantata di confronto e scazzo sui massimi sistemi” [e rubo una frase di Imprecario che sa raccontare di militanza con l’ironia che serve per togliere sacralità persino ai nostri altarini]. Se si è consapevoli di questo e si affronta la questione in maniera diretta forse si risolve e forse no. Certo che ad esserne consapevoli è già più semplice che si riesca davvero, prima o poi, a costruire alleanze sincere tra donne…
Pensateci: ci sono donne, “amiche”, mamme, sorelle, figlie, colleghe di lavoro, cape, compagne di scuola o di università, compagne di militanza che per un motivo o per un altro vi hanno ferite, estromesse, hanno fatto ostracismo, vi hanno boicottate, isolate, calunniate, allo scopo di togliervi di mezzo, cacciarvi dal loro contesto, farvi malissimo, eliminarvi causandovi morte sociale (ed è successo qualche volta che si sia tradotta in morte fisica)?
Se rispetto ad un uomo è facile dire che vi ha fatto del male, vi risulta invece semplice trovare solidarietà rispetto alle azioni devastanti e subdole che altre donne mettono in atto contro di voi? Come fate ad esempio a difendervi dal pettegolezzo? Sapete che il pettegolezzo è l’arma più cruenta e ambigua e per questo anche la più difficile dalla quale difendersi? Sapete come ci si difende da questo tipo di violenza?
Ebbene, io continuo a raccogliere dati, suggerimenti, storie. Raccontatemele se volete. Nel frattempo leggetevi questo pezzo. E prima o poi scriveremo un buon manuale di autodifesa che si riferisca anche a questo tipo di violenze! Buona lettura!
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INCHIESTA
Sul vocabolario non esistono, ma nelle scuole sì. A differenza dei maschi, però, feriscono con parole e sguardi
di Andrea De Benedetti
Ci sono parole che nascono col pregiudizio incorporato. Che pretendono di descrivere la realtà escludendone un’ampia fetta già in partenza. Bullo, ad esempio. Un termine che evoca mondi e comportamenti prettamente maschili – il branco, l’esercizio del potere, la sopraffazione, la violenza fisica – e che in italiano non contempla neppure il genere femminile. Provate a digitare bulla sul vostro programma di videoscrittura e verrà marchiata all’istante dall’infamia ortografica di una sottolineatura rossa. Il vocabolario non la registra, dunque ufficialmente non esiste.
Ma i vocabolari sono macchine lente. Così lente che mentre i lessicografi organizzano ponderose riunioni per decidere se concedere o meno il permesso di soggiorno a una determinata voce, il concetto è già ampiamente penetrato nell’uso e ha messo su casa nella coscienza linguistica delle persone. Succede così che, mentre la parola bulla aspetta ancora di uscire dalla clandestinità ed essere regolarizzata, le bulle sono già da tempo diventate una piaga sociale non meno preoccupante di quanto lo siano i bulli maschi.
Basterebbe l’esperienza a dimostrarlo, ma per ogni evenienza lo confermano anche le statistiche. L’ultima, realizzata dalla Società Italiana di Pediatria su un campione di 1.200 studenti delle scuole medie, racconta che il 64% degli intervistati non ritiene il bullismo una prerogativa esclusivamente maschile, bensì un flagello unisex.
È, quello femminile, un bullismo sottile, subdolo, intellettualizzato. È un bullismo che non ha bisogno dell’abuso fisico per essere spietato, che non finisce su YouTube o sui telegiornali, che non provoca provvedimenti ministeriali né sanzioni disciplinari da parte delle scuole. È un bullismo che c’è ma non si vede, di cui si sa ma non si parla, che lascia intatto il corpo ma intossica l’animo. Rimangono, rispetto alla versione maschile, alcune costanti universali legate ai ruoli (una vittima e uno o più carnefici), all’età (soprattutto adolescenti e preadolescenti) e al contesto (in genere la scuola). Cambiano però armi, campo di battaglia e strategie.
La prima cosa a ferire, quando una donna o una ragazzetta decidono di fare del male, è la parola. Che non ha neppure bisogno di essere pronunciata per offendere e per umiliare. Basta nasconderla in un sussurro, in un pettegolezzo, in un foglietto ripiegato, in un mezzo sorriso: immaginarla, per la vittima, può essere più doloroso che ascoltarla o leggerla. Denunciarla, invece, sarebbe semplicemente impossibile.
Poi c’è lo sguardo. Una rasoiata insolente che fende il cuore di chi la riceve come un colpo d’accetta. Chi non è in grado di reggerlo, chi abbassa le palpebre, chi si volta dall’altra parte come quando viene colpito da un raggio di sole improvviso e abbagliante, ha già perduto un pezzo della guerra. Sui manuali di self help si dice di non cedere, di non far finta di niente, di provare a restituirlo, ma chiunque sia stato almeno una volta in minoranza all’interno di un gruppo sa quanto sia difficile affrontare un muro di occhi ostili senza sentirsi annodare la gola.
Infine c’è il sorriso. Che però non è mai un sorriso, ma una maschera. Guai a lasciarsi ammaliare da quel travestimento, a confonderlo con un’offerta di armistizio e a ricambiarlo con un altro sorriso, magari un po’ troppo docile e accogliente: la bulla in questione ti risponderà deformando la fila composta e cordiale di denti in un ghigno o una risata sguaiata, e a quel punto sarà la disfatta.
La vittima della bulla, in genere, è anche lei una ragazzina; una ragazzina che, da buona vittima, subisce, e più subisce più rimane inchiodata al suo ruolo, incapace di reagire, di ribellarsi, anche solo di raccontare. Tanto, anche se lo facesse, non potrebbe dimostrare nulla, ribattere nulla, risolvere nulla. Avventurarsi a chiedere spiegazioni significherebbe esporsi all’ulteriore schiaffo di una beffarda smentita, magari avvelenata dalla contraccusa di narcisismo per aver anche solo immaginato – inguaribile sfigata – che altri potessero perdere tempo a parlare di lei.
Nell’imbuto di frustrazione e isolamento in cui precipita, spesso la vittima riesce persino a sentirsi in colpa, scivolando ancor più sulla china dell’amor proprio e abbandonandosi a un destino che è quello di tutto il genere femminile. Perché le donne si saranno anche emancipate, saranno anche riuscite a emergere sul lavoro e nella vita sociale, avranno anche liberato quella carica aggressiva rimasta impigliata per millenni nella ragnatela delle convenzioni sociali, ma sovente continuano a portarsi appresso, mischiato al codice genetico, l’atavico gravame culturale di non sentirsi all’altezza.
Spesso non c’è un motivo preciso per cui la vittima diventa una vittima. L’insicurezza, certo. Ma anche l’improvviso e casuale innescarsi di una dinamica perversa all’interno del gruppo, dentro il quale si formano grumi di socialità che spesso sono fondati su un’emarginazione, sulla confortevole percezione di appartenere a qualcosa a cui gli altri non hanno accesso. È la logica del branco, ed è una logica che funziona solo se c’è qualcuno che, per una scelta del tutto arbitraria, non ne fa parte.
Di questi branchi, le ragazze non sono soltanto silenziose complici, ma spesso si convertono in leader a tutti gli effetti, trascinando con sé personalità più deboli, che magari hanno alle spalle un passato di vittime e a un certo punto trovano un ruolo e una legittimazione sociale nella sottomissione al capo.
Rispetto al paradigma di Dan Olweus (il primo a formalizzare negli anni Settanta caratteri e dinamiche del bullismo) e, soprattutto, rispetto alla lettura “patologica” che ne fanno sistematicamente politica e istituzioni, gli studi sul fenomeno al femminile rivelano una realtà più complessa, in cui convergono fattori sociali, etologici e di genere.
Da questo punto di vista, la bulla non è soltanto la scoria umana e sociale prodotta da una famiglia troppo permissiva o troppo difficile, ma è anche, e soprattutto, un indizio. Un indizio del fatto che le donne – tutte le donne, non solo le ragazzine – una volta completato il recupero della loro fase istintuale, possono scoprire un giorno di essere cattive, di voler fare del male, persino di saper uccidere.
E’, in fondo, l’esito ineluttabile di ogni processo di conoscenza, al termine del quale, da Edipo in avanti, si trova sempre il pozzo profondo dell’essere. Quella ragazzina che umilia, calunnia e annichilisce la compagna di banco non lo ha ancora scoperto. Ma presto ci arriverà anche lei.
self help
A lungo ignorato, dimenticato e rimosso, il problema del bullismo e, in generale, dell’aggressività al femminile trova oggi asilo in un’ampia bibliografia e in una ancora più ampia rete di blog e forum a tema.
Tra i libri da consigliare, Donna contro donna di Phyllis Chesler (Saggi Mondadori), una spietata fenomenologia della violenza declinata al femminile; L’aggressività femminile di Marina Valcarenghi (Bruno Mondadori), analisi della questione tra mito e antropologia in cui si propone l’idea di una mutazione istintiva della donna legata a uno stato di necessità e a esigenze conservative della specie; e ancora il classico Donne che corrono coi lupi, di Clarissa Pinkola Estés (Feltrinelli), un’indagine, a partire dalla fiaba, di quel lato del femminino la cui naturalità è stata repressa al punto da farla divenire timorosa e non autosufficiente, priva di iniziative e ingabbiata nell’assenza dell’auto-stima.
La rete, ovviamente, è il solito oceano di informazioni da filtrare. Tra guide di self help (www.girlpower.it), pagine di associazioni impegnate nel settore (www.aquiloneblu.it), video in cui si raccontano storie di malavita al femminile (http://www.youtube.com/results?search_query=Gangstresses), e interventi di studiosi/e a carattere accademico (da raccomandare quelli di Ada Fonzi e Silvia Vegetti Finzi), vale la pena di segnalare il blog di Enza Panebianco (http://femminismo-a-sud.noblogs.org), che raccoglie dati, storie e suggerimenti per affrontare il problema. Che un giorno, dice l’autrice, vorrebbero diventare un vero e proprio manuale di autodifesa per le vittime: “Non serve il karate, ci vuole forza interiore. La più difficile da trovare”.
Francia, cinque ragazze struprano
una donna per rivalità in amore
PARIGI (30 agosto) – Cinque giovani donne francesi, quattro delle quali minorenni, sono state incriminate per violenza carnale su una ventinovenne di Lille, nel nord del Paese, durante un’azione punitiva motivata da una rivalità in amore. La più anziana delle aggreditrici, 27 anni, accusava la vittima di averle rubato il fidanzato. Per questo, nella notte tra il 19 e il 20 agosto, ha convinto le compagne a seguirla in una spedizione punitiva contro l’abitazione della ventinovenne, che è stata aggredita e seviziata per diverse ore, e poi stuprata con un oggetto, mentre la casa era sottoposta a un «vero e proprio saccheggio».
Il solo a essere risparmiato è stato il figlio della vittima, di appena due anni, che si trovava nell’appartamento al momento dei fatti. Due delle accusate, tra cui l’unica maggiorenne, si trovano in detenzione provvisoria in attesa del processo, mentre le altre tre sono in libertà condizionata. Sono sotto accusa per stupro collettivo, furto e violenza aggravata, secondo quanto riferiscono fonti giudiziarie.
http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=116769&sez=MONDO
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Latina, belle e cattive: le baby-bulle
terrorizzavano le rivali in amore
di Aldo Cepparulo
LATINA (21 marzo) – Belle, cattive e giovanissime. Così aggressive da soggiogare i loro coetanei maschi e terrorizzare le compagne. Una vera e propria gang in rosa quella scoperta a Latina, in pieno centro, dalla polizia che bloccato le scorribande di un gruppo di minorenni agguerritissime diventate il terrore delle altre ragazzine del capoluogo pontino.
Il gruppo di baby bulle è salito alla ribalta della cronaca dopo una raffica di segnalazioni arrivate alla polizia. Il capo della gang, in particolare, una quindicenne biondina agiva in maniera sfrontata: bastava anche solo uno sguardo di troppo rivolto a un maschio del gruppo per scatenare la collera. Un litigio, uno spintone, qualche parolaccia, fino alla rissa, alle minacce, ai soprusi e alle intimidazioni “trasportate” anche sotto la casa della malcapitata, affrontando addirittura i genitori delle vittime allo scopo di dissuaderli dallo sporgere denuncia.
E tutto per difendere il loro cosiddetto territorio, ovvero piazza San Marco e la sua cattedrale, nel pieno centro a Latina, abituale luogo di ritrovo e “struscio” del sabato sera per molti adolescenti.
A capeggiare la baby gang era una ragazzina di 15 anni, che frequenta la terza media: è stata denunciata al tribunale dei minori, insieme a una 14enne, per ingiurie, lesioni e minacce. Segnalate invece all’autorità giudiziaria altre due ragazzine di appena 13 anni.
Le prepotenze del gruppo di ragazze erano diventate nelle ultime settimane più pesanti e frequenti del solito, come avevano denunciato alcuni ragazzi. Le giovanissime del gruppo, tutte di estrazione sociale diversa ma non in situazioni di disagio, grazie al loro aspetto piacevole avevano conquistato il consenso dei maschi. Le segnalazioni, tutte rigorosamente anonime sono state vagliate dallo stesso questore di Latina, Nicolò D’Angelo e hanno fatto scattare immediati controlli da parte delle “volanti” che si sono intensificati proprio allo scopo rompere il muro di omertà delle vittime e convincerle a compiere il dovere civico di sporgere una denuncia ufficiale.
Ma le minacce sono “volate” anche in Internet. E l’ultimo messaggio lasciato su Facebook dalla gang in rosa, dopo l’ennesima zuffa di sabato scorso, è un addio: «Ci mancheranno i nostri sabati passati a risse». C’era stata una denuncia sporta dalla madre di una delle vittime e poi ritrattata. «Ma alla fine analizza il capo di gabinetto della Questura, Nicolino Pepe il fenomeno è stato debellato».
da http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=95443
da http://roma.repubblica.it/…gang-di-bulle/1648996
Sfregiavano le compagne di classe
Presa una gang di bulle
di Maria Elena Vincenzi
L’INTERVISTA La mamma di una delle vittime: “Due anni da incubo”
Minacce di ogni tipo, pugni, calci, prese in giro, offese, accendini accesi vicino ai capelli. Ma anche furti e appostamenti sotto casa. E una studentessa che finisce all´ospedale con 40 giorni di prognosi e una cicatrice sul viso. Come se la decisione di lasciare la scuola e la paura non fossero già abbastanza. Una storia di bullismo tutta al femminile quella che si è consumata allo Ial, istituto professionale per estetiste di Colli Aniene che conta circa 250 iscritte.
E che è andata avanti per quasi due anni con un accanimento particolare su tre ragazze. Fino a che, una delle vittime, Chiara (il nome è di fantasia), trovandosi con il labbro spaccato dopo una zuffa, non ha deciso di sporgere denuncia al commissariato di San Basilio e vuotare un sacco chiuso ormai da troppo tempo e pieno di ritorsioni. Dagli insulti via “messanger” alle botte, passando per offese di ogni tipo e falsi appuntamenti intimidatori. È stata lei, questa ragazza di appena 18 anni, a spiegare agli inquirenti che qualcosa non andava nella scuola di via Baldanzellu. Che un gruppo di studentesse, sette quelle denunciate e ora indagate, erano delle vere e proprie bulle in rosa.
Una confessione disperata che è stata resa agli agenti del commissariato San Basilio il 13 gennaio scorso. Dopo che, in seguito ad uno screzio verbale, la giovane studentessa era stata mandata all´ospedale. Ultimo episodio di una lunga serie: Chiara ha raccontato ai poliziotti che le cose andavano avanti da parecchio tempo. Tanto che, all´inizio di questo anno scolastico, la ragazza aveva chiesto il trasferimento in un´altra sezione, ma le cose non erano cambiate. Questa gang continuava a prenderla in giro per l´accento del sud, per i modi garbati. Le bulle continuavano a mandarle minacce via Internet, a darle finti appuntamenti d´amore, a rubarle soldi, cellulari, ad alzare le mani. Fino all´epilogo del 13 gennaio con relativa sospensione di entrambe le ragazze. Da quel momento Chiara a scuola non è più voluta tornare.
Un vaso di Pandora che si è svuotato e che ha portato con sé altre due denunce. Quella di un´altra studentessa della stessa classe, Eleonora (anche in questo caso il nome è di fantasia), 17 anni, che, anche lei, era stata presa di mira dalla banda. Le modalità esattamente le stesse. Eccezione fatta per il tentativo di bruciarle i capelli. Nel marzo del 2008 la mamma di Eleonora aveva scritto una rabbiosa lettera al direttore della scuola per lamentarsi dei comportamenti che alcune compagne avevano nei confronti della figlia.
Parole che, secondo la madre, la scuola ha sottovalutato. E così, pochi mesi dopo, una mattina la ragazzina ha chiamato a casa piangendo pregando la madre di andarla a prendere perché in classe le volevano bruciare i capelli. E quando la donna si è presentata a scuola, le bulle non hanno risparmiato gli insulti nemmeno al genitore. Una situazione invivibile che l´ha costretta a cambiare scuola qualche mese fa.
Infine una terza ragazza che, circa un mese fa, ha fornito la sua versione, molto simile, alla polizia. E, anche in questo caso, le “bulle” erano le stesse. E, stando alla ricostruzione degli inquirenti, la banda non risparmiava nemmeno gli insegnanti: alcuni di loro, sentiti dalla polizia, avrebbero detto di essere stati derubati da quelle stesse ragazze.
Versione assolutamente non confermata dalla scuola che, invece, getta acqua sul fuoco. E parla di una “manata” a Chiara, arrivata dopo un litigio in cui le due ragazze si erano reciprocamente offese. Il direttore dello Ial, Francesco Lucchi, ha parlato di «normali dinamiche tra adolescenti in un istituto che, da anni brilla per risultati e dove, nonostante questi screzi uguali a quelli che ci sono in tutti gli istituti professionali, il clima è tranquillo. Non vorrei che questa apparisse come una scuola pericolosa perché non credo davvero lo sia».
(11 giugno 2009)
È LA PRIMA CONDANNA PER QUESTO REATO
Cyber-bullismo, teenager inglese in cella
Keeley Houghton ha pubblicato su Facebook minacce di morte contro Emily Moore, sua ex compagna di scuola
MILANO – Una teenager inglese è finita in cella per bullismo via internet. La diciottenne Keeley Houghton aveva, infatti, postato sulla sua pagina personale di Facebook delle minacce di morte all’indirizzo della coetanea Emily Moore, tiranneggiata e umiliata nei quattro anni precedenti, quando le due ragazze erano compagne di scuola. Nell’udienza di venerdì, il pubblico ministero Sara Stock ha ricostruito l’escalation di intimidazioni e insulti che la Houghton avrebbe destinato alla sua vittima e alla fine i giudici di Worcester l’hanno condannata a tre mesi di carcere minorile. Non solo. La giuria le ha anche proibito di avvicinare in alcun modo la Moore per i prossimi cinque anni. Alla lettura della sentenza, l’imputata (che si era dichiarata colpevole di persecuzione) è scoppiata in lacrime.
ESPULSA DA SCUOLA – Si tratta della prima persona a finire in galera per bullismo via web: in precedenza, infatti, c’erano state condanne per reati di persecuzione e stalking sui social network, mai per bullismo. In passato, per ben due volte la Houghton si era resa colpevole di azioni intimidatorie nei confronti della Moore: nel 2005 venne giudicata colpevole di aver aggredito la vittima all’uscita da scuola (e per questo venne espulsa dall’istituto), due anni più tardi fu accusata di aver preso a calci la porta di casa di Emily. Al momento dell’arresto, l’imputata (originaria di Malvern, nel Wocestershire) avrebbe detto alla polizia di aver scritto le minacce di morte contro la Moore su Facebook di notte, mentre era ubriaca, ma un successivo controllo ha dimostrato che i commenti oltraggiosi vennero postati alle 4 del pomeriggio del 12 luglio e rimasero sulla sua pagina per 24 ore.
NOVITÀ ASSOLUTA – «Una sentenza del genere nei confronti di una diciottenne per cyber bullismo rappresenta una novità assoluta per l’Inghilterra ed è un importante precedente – ha spiegato al «Daily Mail» Emma Jane Cross, leader del gruppo «Beatbullying» – perché l’intimidazione via internet è in continua e preoccupante ascesa e può diventare ancora più dannosa del bullismo a scuola».
Simona Marchetti
22 agosto 2009
dal corriere
da repubblica.it
Sarebbe accaduto venerdì a Varese. La studentessa aveva avuto un diverbio
con una coetanea italiana che pretendeva il sedile. Più tardi, il pestaggio
Ragazza marocchina picchiata e insultata
Non aveva lasciato il posto sull’autobus
VARESE – L’avrebbero picchiata a sangue e umiliata con pesanti frasi razziste come “brutta marocchina di m…”.
L’episodio, del quale si è avuta notizia solo ieri sera, sarebbe avvenuto nel primo pomeriggio di venerdì, attorno alle 14.30, nella zona del mercato, in centro Varese. Vittima dell’aggressione ad opera di alcune coetanee una ragazzina di 15 anni, residente nell’Hinterland varesino, trovata sanguinante da un volontario dei City Angels che ha subito chiamato il 118.
Sulla scorta della descrizione fornita dall’adolescente, i carabinieri hanno già denunciato a piede libero una delle ragazzine che avrebbero dato vita al pestaggio. Si tratta di una compagna di scuola. Anna, questo il nome di battesimo dell’extracomunitaria, ha riportato la frattura del setto nasale. Pare che alla base dell’episodio di violenza vi siano degli alterchi maturati il giorno precedente all’uscita dalla Scuola professionale di via Montegeneroso, a Varese, dove la vittima frequenta un corso per parrucchiera.
Subito dopo essere salita sul bus, sarebbe stata insultata da un ragazzo che reclamava il diritto a quel posto. Poi si sarebbe intromessa un’amica del giovane e le due ragazze si sarebbero insultate, strattonate, graffiate. Al momento di scendere Anna si sarebbe sentita promettere ulteriori rappresaglie.
Venerdì pomeriggio, stando al suo racconto, mentre si trovava nel piazzale dove si svolge il mercato cittadino, sarebbe stata avvicinata da una trentina di persone che l’avevano seguita sin dall’uscita da scuola. Quindi il violento pestaggio che sarebbe avvenuto in mezzo all’indifferenza generale dei passanti.
(13 ottobre 2008)
da repubblica
Roma, sei studentesse 15enni durante il lancio di gavettoni per la fine d’anno scolastico
hanno malmenato e insultato una coetanea. Due identificate e denunciate dai carabinieri
Presa a schiaffi perché troppo bella
Ragazze aggrediscono studentessa
La giovane vittima medicata al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Eugenio
Presa a schiaffi perché troppo bella
Ragazze aggrediscono studentessa
Studenti romani festeggiano l’ultimo giorno di scuola
ROMA – Sei studentesse hanno approfittato della festa di fine anno per aggredire la più bella della scuola. E’ avvenuto questa mattina davanti al liceo artistico Mario Mafai di via dell’Oceano Indiano nel quartiere Eur di Roma.
Sei ragazze hanno insultato e picchiato una loro compagna di 16 anni, perché “gelosa e troppo carina”, mentre gli altri studenti festeggiavano la fine delle lezioni con i consueti lanci di gavettoni e di uova. La giovane vittima è stata medicata successivamente al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Eugenio, i medici le hanno riscontrato delle escoriazioni a una spalla giudicate guaribile in 4 giorni.
I carabinieri della compagnia Eur, per ora hanno identificato e denunciato due delle responsabili dell’aggressione, si tratta di due quindicenni, denunciandole per lesioni personali. Sono in corso le indagini per identificare le altre quattro del gruppo.
(7 giugno 2008)
dall’ansa, 7 giugno 2008
Troppo bella, picchiata da compagne
L’episodio di bullismo in un liceo della Capitale
(ANSA) – ROMA, 7 GIU – Un episodio di bullismo femminile e’ stato segnalato a Roma:denunciate 2 ragazze per lesioni personali ad una compagna perche’ troppo carina. L’episodio avvenuto nel liceo artistico Mario Mafai, del quartiere Torrino, ha visto protagonista una studentessa di 16 anni di Pomezia (Roma) aggredita con schiaffi, graffi e lancio di uova da altre 6: due di loro, di soli 15 anni, sono state identificate e denunciate per lesioni personali (FOTO ARCHIVIO).
da repubblica
Pestaggi e rapine la carica delle gang femminili, fenomeno diffuso anche in Italia
Il giudice: poche vicende finora hanno rilievo penale, ma le denunce aumentano
Ecco le ragazze cattive
quasi sempre per amore
di DAVIDE CARLUCCI
Ecco le ragazze cattive
quasi sempre per amore
Spengono le sigarette sul braccio delle loro nemiche. Oppure le schiaffeggiano inventandosi delle storie, com’è successo a Novara un mese fa: “Perché continui a telefonare al mio ragazzo?”. Poi le portano in un vicolo e le derubano di tutto: telefonini, soldi e lettori Mp3. Modi un po’ maschili, vestono da “truzze”, volutamente volgari e vistose, oppure con piercing e teste rasate. Le piccole teppiste imperversano anche in Italia: sono decine i casi registrati dalle cronache, mentre aumentano, nelle scuole, le segnalazioni sul bullismo al femminile.
Persino nei rapporti di coppia, hanno smesso di incassare: ora alzano le mani anche loro. Uno studio italo-spagnolo condotto su 672 adolescenti e curato, in Italia, dalle università di Roma e Firenze rivela: le ragazze che ammettono di aver avuto comportamenti di aggressività fisica nei confronti dei loro fidanzatini sono il 22 per cento, la stessa percentuale dei maschi, ed è pressoché identica la quota di maschietti e femminucce che dicono di averle prese. “La mia ragazza mena”, hit degli Articolo 31, suonerebbe oggi, cinque anni dopo, già meno stravagante.
Per Ersilia Menesini, professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione a Firenze, “la violenza all’interno delle giovani coppie non è più asimmetrica come per decenni si è osservato. E in tutti i Paesi in cui si registra, il fenomeno sembra legato alla crescita dell’enpowerment femminile nella società”. Gli studi sull’aggressività nei primi rapporti di coppia arrivano, per Menesini, dopo anni di ricerche sul bullismo. L’idea sua e di docenti come Ada Fonzi (tra le prime, in Italia, a occuparsene) è che il fenomeno sia connesso allo sviluppo della sessualità.
“I bulli – scrive Menesini in un articolo in via di pubblicazione su “Minori e giustizia” che riporta i risultati di uno studio condotto su 1300 studenti – sono particolarmente attivi nelle esperienze sentimentali, dichiarando con più frequenza rispetto ai compagni di averne in corso (99,3% contro l’84,1%). Gli studenti vittime hanno meno probabilità di aver avuto rapporti sentimentali”. I bulli, invece, sono più precoci sessualmente, ma tendono ad avere rapporti conflittuali: trasferiscono all’interno dei rapporti di coppia la loro carica violenta.
Le prime relazioni sentimentali, a loro volta, stimolano i comportamenti aggressivi. Come nel caso della quattordicenne mantovana che il 18 aprile ha picchiato, a Mirandola, nel Modenese, una sua coetanea che aveva fatto avance via Internet nei confronti del suo ragazzo. “Mia figlia – racconta il padre, caporeparto in una fabbrica – è una ragazza tranquilla, non fa arti marziali, non ha mai fatto a botte prima d’ora. E le cose sono andate diversamente da come sono state descritte, probabilmente ha solo reagito a un’aggressione organizzata dalle sue coetanee. Ma al di là dell’episodio, il fatto è che rispetto a quando andavamo a scuola noi le cose sono cambiate. Le ragazze hanno cominciato a menare. Sarà a causa dell’uguaglianza o dei film violenti che vedono, ma anche loro si sentono in potere di attaccare o reagire”.
E fanno di più: i casi di baby gang al femminile, frequenti in nazioni come la Francia o la Gran Bretagna, si stanno moltiplicando anche in Italia. Pochi giorni prima dell’episodio di Mirandola a Milano, a due passi dal Duomo, un gruppo di ragazze è stata affrontato da alcune coetanee: “Avevano il piercing e sembravano slave – hanno detto ai poliziotti le vittime – ci hanno minacciate e ci hanno portato via i telefonini. Poi sono scappate ridendo e non le abbiamo viste più”.
Non c’è ancora un’invasione di bande organizzate, come nelle banlieues parigine, non siamo all'”Arancia meccanica al femminile” prefigurata da Fonzi. Ma qualche allarme c’è. “È un fenomeno che iniziamo a registrare da un anno in qua – spiega Monica Frediani, presidente del tribunale dei minorenni – e le segnalazioni arrivano soprattutto dalle scuole. Poche, finora, hanno avuto rilievo penale. Sembrerebbe un’emulazione del fenomeno maschile: ragazze che pensano che imitando il comportamento dei ragazzi riescono a diventare punto di riferimento dei loro coetanei”.
Una di queste bande ha spadroneggiato per qualche mese a Quarto Oggiaro, periferia turbolenta della città. A marzo del 2007 hanno mandato in ospedale una diciassettenne scaraventandola per terra e prendendola a calci dopo averla inseguita per rubarle il cellulare. A Mortara, invece, una ragazza di quindici anni ha denunciato quattro sue coetanee, iscritte come lei al liceo artistico di Novara, che per quattro mesi la perseguitavano, arrivando a bruciarle il giubbotto: “Forse l’hanno fatto perché sono timida”, ha concluso la vittima. Altri casi si sono registrati a Pesaro, a Roma, a Lecco, a Como, a Salerno, a Prato, a Nuoro, a Venezia, a Trento e a Casteggio, in provincia di Pavia. E a Bari, dove a marzo un branco di ragazzine ha circondato delle ragazze minacciandole e colpendole con calci e pugni per rapinarle dei cellulari. “Le ho conosciute – racconta una poliziotta – sono ragazze che di femminile non hanno nulla. Quando gli agenti le hanno fermate si sono scagliate contro di loro con tutta la violenza che avevano e con un linguaggio degno dei peggiori malavitosi”. Anche lei racconta che non è il primo caso, in città: “Qualche settimana prima di quest’episodio, girando con le nostre volanti abbiamo incrociato un autobus. Sembrava quasi fosse stato dirottato. I passeggeri erano stati per un bel po’ in balia di un gruppo di ragazzine che tiravano schiaffi e calci a tutti, compreso l’autista”.
Le baby gang femminili del centrosud, dice Ada Fonzi sono diverse da quelle del Nord. Respirano violenza in casa e vengono da famiglie povere e disagiate, spesso hanno fratelli o padri con precedenti penali. Sono le figlie delle donne della mala, in prima fila nelle rivolte contro gli agenti che tentano di arrestare i piccoli boss dello spaccio o delle estorsioni. E se a scuola i professori cercano di frenarle, i genitori sono dalla loro parte, com’è successo a Civitavecchia dove una madre ha malmenato una dirigente scolastica rea di aver preso provvedimenti contro la figlia, bulla al punto da rendere necessario un incontro con docenti e genitori tutto dedicato a lei. Nel Sud le ragazze terribili sembrano covare odio sociale nei confronti delle loro coetanee acqua e sapone: “Sono tutte infantili e figlie di papà” dice una bulla barese intervistata da una giovane psicologa, Beatrice Macchia.
I dati della Società italiana di pediatria dicono che sempre più ragazze, a scuola, si descrivono come violente e prepotenti, pronte ad azzuffarsi come i loro coetanei maschi. Il loro bullismo, si continua a dire, rimane prevalentemente “psicologico”, fondato sul sistematico isolamento della vittima attraverso la calunnia e la diceria. “Sembrano anche molto attive sul fronte del cyberbullismo – assicura Michela Rossi, responsabile del Telefono Azzurro di un progetto su duemila alunni delle scuole elementari del Nordest – perché mandare un sms anonimo o intervenire su un blog o su un forum si addice meglio alla natura relazionale di questa forma di aggressività”. Ma il mito delle bad girl più subdole che manesche potrebbe avere i giorni contati. Alla domanda “Ti capita di fare a botte?”, il 22,4 per cento delle bambine intervistate dalla Società italiana di pediatria risponde di sì. Le parti tra bulle e pupi, presto, si potrebbero invertire.
(29 aprile 2008)
da repubblica
Nelle periferie crescono le bande femminili
La polizia di Parigi: sono peggio dei maschi
Le ragazze delle banlieues
dure, violente e arrabbiate
Fra i 13 e i 16 anni, sono soprattutto nere e figlie di immigrati di prima generazione
dal nostro corrispondente GIAMPIERO MARTINOTTI
PARIGI – “Mettetevi nei nostri panni: quando due bande di ragazzotti si affrontano, è abbastanza facile dividerli, basta picchiarli di santa ragione e alla fine si calmano. Ma quando a battersi sono delle ragazzine? Dobbiamo pestarle come i maschi? É impossibile, ma al tempo stesso diventa più difficile mettere fine a una rissa”. L’ufficiale di polizia manifesta i dubbi e lo sconcerto di fronte a un fenomeno nuovo, ancora marginale, eppure in crescita costante: la formazione di bande femminili nelle banlieues. Che come quelle maschili non esitano al confronto fisico, non solo con le mani, ma anche con cacciaviti, coltelli, mazze. Le statistiche, per quanto possano prestarsi a letture diverse, danno una consistenza a questa realtà. Certo, solo una ragazza per sei maschi è stata responsabile di violenze fisiche “gratuite” (cioè non legate a furti o altro) nel 2007, ma in cinque anni il loro numero è aumentato del 140 per cento.
Il fenomeno è preoccupante. Finora, infatti, nelle banlieues esistevano due profili radicalmente diversi a seconda del sesso. Da un lato, i maschi, più violenti, più inclini ad agire in branco, a organizzarsi in bande che controllano “il proprio territorio”, abituati fin da piccoli alla baby delinquenza, allo spaccio di droga, alle bagarre. Dall’altro, le ragazze, che frequentano assiduamente le scuole (a differenza dei maschi), che studiano per crearsi una posizione, come si diceva un tempo, sfuggire alle periferie in cui sono cresciute e soprattutto a una cultura familiare che le opprime. Adesso, le cose sono un po’ cambiate, non tutte le ragazze credono di poter sfuggire alla loro condizione attraverso la scuola e il lavoro.
Malgrado i francesi siano reticenti (per non dire ambigui), le ragazzine violente appartengono a un gruppo etnico ben definito: sono nere e figlie di immigrati di prima generazione. Alla base, insomma, ci sarebbe un fenomeno di sradicamento. Hanno fra i 13 e i 16 anni, cercano di avere comportamenti da maschiaccio, si vestono in maniera vistosa, pensano che mostrarsi come una “dura” sia indispensabile per imporsi nel quartiere e farsi rispettare. Ripetono insomma i cliché maschilisti. E la loro violenza, spesso, si riversa contro le ragazzine femminili, che si vestono scollate, le “puttanelle” che cercherebbero di rimorchiare i ragazzi del loro quartiere.
L’unica grande rissa femminile finora conosciuta, svoltasi in febbraio a Chelles, nella periferia parigina, aveva infatti questo motivo: una battaglia tra una ventina di ragazzine (armate di cacciaviti e perfino di un coltello da carne proveniente dalla mensa scolastica) a causa di una banale storia di flirt tra giovani che vivono in quartieri diversi. Niente a che fare con una moderna versione dei Capuleti e Montecchi, ma piuttosto una vicenda di “branco”, di delimitazione del proprio potere all’interno di un territorio.
Potere seduttivo, fisico, violento. Come fanno i maschi. Secondo lo psicanalista Didier Lauru, le ragazze “s’identificano alla violenza dei maschi sia per difendersi sia per avere un’identità positiva, che non sia quella della vittima, poiché questa posizione violenta dei maschi è quella valorizzata fra gli adolescenti delle borgate”. In pratica, la violenza è l’altra risposta a una cultura maschilista, propagata dal rap, in cui le ragazze sono sottomesse e spesso trattate da prostitute. E per sottrarsi a questo cliché adottano i comportamenti maschili, come dimostra il linguaggio di una delle ragazze protagoniste della rissa di Chelles: “Mi capita spesso di picchiarmi. Se una ragazza mi guarda male, se viene dal mio settore, la sfondo, la inc…”. Parole che rivelano come le femmine abbiano letteralmente ripreso il comportamento dei maschi.
Di fronte a questa violenza, i genitori sono disarmati. Quasi sempre si tratta di famiglie arrivate da poco, che già si battono per integrarsi, per far propri i valori educativi e culturali europei e che non sanno cosa fare di fronte a ragazze che sfuggono sia ai vecchi canoni africani sia ai nuovi canoni europei. E sono le madri ad affrontare da soli la situazione, visto che i mariti pensano che l’educazione dei figli, in particolare delle ragazze, riguardi esclusivamente le madri.
Del resto, alcuni membri di associazioni che lavorano nelle banlieues tendono a relativizzare il fenomeno: il problema non sarebbe tanto una crescita della violenza femminile, ma piuttosto l’età in cui le ragazzine cominciano ad avere comportamenti delinquenziali. Un problema non molto diverso da quello dei maschi. Ma c’è soprattutto un elemento che sembra differenziare i due sessi: i ragazzi continuano sulla strada della violenza e della piccola criminalità anche una volta diventati adulti. Le ragazze, invece, sarebbero violente durante l’adolescenza e poi rientrerebbero nei ranghi: verso i 18-20 anni vogliono sposarsi, avere un lavoro, fare figli. Ma il fenomeno è troppo recente per trarre conclusione perentorie sui suoi sviluppi.
(18 aprile 2008)
da Repubblica
Roma, religiosa di origini filippine scappa dal convento
La madre superiora sotto accusa nega e parla di una vendetta
Confessione choc di una suora
“Io, trattata come una schiava”
Confessione choc di una suora
“Io, trattata come una schiava”
Il convento albergo delle suore dello Spirito Santo
di MARINO BISSO e CARLO PICOZZA
ROMA – Scappa dal convento e si rifugia in un centro contro la violenza alle donne. È la storia di una suora trattata come schiava. Vittima di ricatti psicologici, si sottopone a visita ginecologica per far certificare la sua verginità. Angherie e vessazioni: cure mediche negate, mortificazioni e punizioni come “il bacio al pavimento”. Le accuse sono finite ora al centro di un’inchiesta della procura di Roma che ha iscritto la madre superiora nel registro degli indagati contestandole il reato di maltrattamenti.
Il racconto choc della suora è stato confermato da due consorelle sentite ieri a palazzo di giustizia a Roma. L’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Nicola Maiorano che ha affidato le indagini alla polizia giudiziaria diretta dal vicequestore Orlando Parrella.
Scenario dei presunti maltrattamenti è un convento, vicino all’ospedale Gemelli, della Congregazione dello Spirito Santo, che funziona da “albergo a una stella”. Vittima, suor Maria (chiamiamola così), nata 48 anni fa nelle Filippine e sbarcata a Roma nel giugno del ’97. Un anno fa, l’otto marzo giorno dedicato alle donne, la religiosa lo ricorda così: “Sono stata costretta ad allontanarmi dal convento perché gravemente ammalata e vittima di maltrattamenti da parte delle mie superiore”. “Ora”, continua, “ho trovato rifugio in un centro antiviolenza”. Le sue sofferenze sono condensate in una denuncia presentata dall’avvocato Teresa Manente, dell’ufficio legale di “Differenza donna”.
Al centro antiviolenza era stata accompagnata da due connazionali dell’associazione “Donne filippine”. Una ventina di giorni dopo, “colpita da una grave emorragia”, era stata costretta a lasciare il centro alla volta dell’ospedale San Camillo per essere operata. “Nonostante fossi gravemente malata da tempo”, racconta, “la madre superiora mi privava di qualsiasi cura e assistenza medica, delle medicine e mi ordinava di continuare a lavorare”. Già, i lavori: “Quando sono arrivata a Roma con altre consorelle”, ricorda suor Maria, “mi era stato detto che avrei dovuto imparare l’italiano e dedicarmi all’apostolato con periodi di formazione e meditazione”. “Ma – continua – ho sempre e solo lavorato nel convento che, in realtà, è una pensione a una stella, “Albergo suore dello Spirito Santo”, con oltre 50 stanze”. All’inizio, “da sola, dovevo preparare ogni giorno colazione, pranzo e cena per almeno 15 persone: al lavoro alle 6 per far mangiare le consorelle; alle 6.30 preghiera e messa e alle 8.30 servivo le colazioni in refettorio. Poi di nuovo ai fornelli per il pranzo delle 12.30. Quindi rassettavo la cucina per tornarvi alle 17 a preparare la cena”. “Tre giorni a settimana, tra le 15 e le 17, pulizie in chiesa”.
Cinque mesi e, “nel dicembre 1997, mi comparvero spaccature della pelle sulle mani: “Dermatite grave”, diagnosticò il dermatologo”, invitandola a tenere al riparo le mani. Ma la superiora minimizza e prescrive un’altra terapia: “Crema e guanti di gomma”. “Le ferite facevano molto male ma non avevo il coraggio di chiedere di cambiare mansioni per paura che la superiora si arrabbiasse e mi accusasse di non aver voglia di lavorare”. Ma le piaghe si infettano. Arriva la febbre. “Allora mi accompagnò in ospedale: il dermatologo avvertì che l’infezione metteva a rischio le dita”. A suor Maria viene assegnato un altro lavoro: “Lavare e stirare biancheria di consorelle e ospiti”. Tra le mura della Congregazione, suor Maria viene “sottoposta a continue aggressioni e umiliazioni”. “Mi venivano consegnati 20 euro al mese”, racconta, “e di ogni acquisto dovevo mostrare alla superiora gli scontrini”. Quest’ultima, alcune settimane fa, è stata interrogata. Assistita dall’avvocato Stefano Merlini ha negato gli addebiti dicendo di essere vittima di una vendetta e di accuse inventate dalle tre suore.
(11 aprile 2008)
Servizio a rai due dove si dice che la vicenda delle ragazze di prato è finita con una denuncia di due ragazze di diciassette anni. l’ufficiale della polizia intervistato ci tiene a precisare che non si tratta di una situazione endemica. vale a dire che secondo lui il fenomeno del bullismo al femminile è relegato a poche individue.
nota bene: questa cosa riguarda soltanto una situazione di violenza effettiva. nulla si sa o viene detto a proposito di situazioni di violenza psicologica.
21 marzo 2008
da Il Tirreno
Bad girls, un mese di scorribande
Parla un testimone dei pestaggi
«Le ho viste, hanno preso a calci una ragazza» Cori fascisti e saluti romani alle Carceri
di Paolo Nencioni
PRATO. Vanno avanti da almeno un mese le scorribande delle “bad girls”, il gruppetto di ragazze violente che terrorizzano le coetanee durante lo “struscio” del fine settimana nelle vie del centro. Lo si apprende da altre testimonianze su zuffe e pestaggi avvenuti nelle scorse settimane. «Io le ho viste – racconta Gino Melani, un uomo residente a Galciana – Tre sabati fa in via Pugliesi (vale a dire lo scorso 12 gennaio). Stavo camminando con mia moglie e mia figlia quando ho notato queste tre ragazze, avranno avuto al massimo 15 anni, che si divertivano a tirare spallate alle altre ragazzine di passaggio. Qualcuna si è impaurita, altre hanno tirato dritto, una invece l’hanno presa e si sono accanite contro di lei». «Non avevo mai visto nulla di simile – continua Melani – L’hanno buttata a terra e hanno cominciato a prenderla a calci. Se non fossi intervenuto io, chissà come sarebbe finita. Una delle tre sono riuscito a bloccarla, ma lei si è divincolata ed è andata via come se nulla fosse. Intorno c’erano anche altre persone, c’era anche qualche ragazzo, ma nessuno ha mosso un dito».
Italiane, ben vestite, forse un po’ bevute, ma soprattutto con una gran voglia di attaccare briga senza motivo: questo l’identikit delle ragazze violente, molto probabilmente le stesse che sabato scorso hanno rotto il naso a una coetanea in piazzetta Buonamici e che nella stessa serata hanno fatto danni in via Garibaldi e in piazza delle Carceri. Qualcosa di simile è successo il 12 gennaio anche in piazza San Francesco, dove un gruppo di ragazze, secondo un’altra testimonianza, è stato affrontato dalle “bad girls” e a una di loro è stata sbattuta la testa più volte contro un palo. La denuncia della quindicenne cui hanno rotto il naso è da domenica in Questura ma ancora non sono stati presi provvedimenti contro le ragazze violente, che non dovrebbe essere difficile individuare. Ma non c’è solo questo. «La stessa sera dell’aggressione – racconta Gino Melani – siamo arrivati in piazza delle Carceri e abbiamo trovato un gruppo di ragazzi sui vent’anni che intonavano cori fascisti e facevano il saluto romano (scene già viste in piazza San Francesco, ndr). Bisognerebbe che la polizia facesse qualche giro in centro, a piedi, anche di sera».
(06 febbraio 2008)
da Il Tirreno:
«Mia figlia è stata minacciata di morte»
Parla la mamma della ragazzina pestata da alcune coetanee
di Giovanni Ciattini
PRATO. «Sono la mamma della ragazza aggredita sabato scorso in piazza Buonamici. Fino a qualche giorno fa ero felice di accompagnare il sabato sera mia figlia in centro adesso per tutta la mia famiglia è diventato un incubo. Ho 44 anni e sono nata e cresciuta in questa città, adesso non la riconosco più». Comincia così la lettera inviata alla redazione del Tirreno dalla signora A., madre della quindicenne aggredita da un gruppo di coetanee. Un pestaggio dal quale la ragazzina (15 anni compiuti ieri) è uscita col naso fratturato, una denuncia alla polizia e una paura che si porta addosso giorno e notte. «Mia figlia ora è sotto sorveglianza continua, non fa un passo se non è con qualcuno – ci spiega al telefono la signora A. – le stanno vicini i nonni, gli amici e noi genitori, compatibilmente col lavoro. Mia figlia ha paura a uscire: l’altro giorno è stata avvicinata da una ragazzina presente all’aggressione. Insieme a lei c’era anche la madre. L’ha voluta intimidire perché ritirasse la denuncia: “Se a casa mi arriva un foglio considerati morta. Sappiamo tutto di te, che bar frequenti e con chi ti ritrovi”.
E rivolgendosi a me ha detto: “signora se un giorno di questi sua figlia muore non si lamenti”. Parole pronunciate sotto gli occhi della madre che non ha aperto bocca». Signora, ma che cosa le ha raccontato sua figlia di quanto è accaduto lo scorso sabato sera in piazza Buonamici? «Mia figlia era a passeggio in centro insieme al suo ragazzino. Il sabato sera in genere si ritrovano insieme ad altri amici per il classico struscio: piazza del Comune, piazza S. Francesco, piazza delle Carceri, piazza Buonamici. E’ un modo per stare insieme, per fare quattro chiacchiere. L’altra sera però gli amici erano andati a ballare e loro sono rimasti da soli. In piazza Buonamici mia figlia si è imbattuta in una sua ex amica che era lì insieme ad altre sei coetanee. Un tempo uscivano insieme poi c’è stato un litigio ed hanno interrotto i rapporti. L’altra sera fra le due è nato un alterco verbale. A darle man forte ci si sono messe altre due ragazzine che erano con lei che hanno cominciato ad offendere e a menare le mani». La figlia è stata colpita al volto con pugni e borsettate.
Il suo ragazzino le ha fatto scudo ma non è stato sufficiente ad impedire che fosse colpita al naso. La piazza era stracolma di gente ma nessuno è intervenuto. Un’altra ferita per la signora A. Accompagnata al pronto soccorso la quindicenne ha avuto 22 giorni di prognosi per una frattura al setto nasale. «La denuncia penale è partita d’ufficio – spiega la mamma – anche se non volessi, ma non voglio, non potrei più fermarla». No, le ragazzine che l’hanno pestata non avevano bevuto. Questo ha detto la quindicenne alla mamma. E la sua impressione, attraverso quanto riportato da altri amici, è che lo stesso gruppetto si sia reso protagonista di altre provocazioni e litigi nella stessa serata. In via Garibaldi e in piazza delle Carceri. Ma perché tanta aggressività? «Qualche risposta ho provato a darmela – risponde la signora A. – intanto è bene dire che questa ragazzina appartiene a una buona famiglia pratese. Non siamo di fronte a casi di emarginazione. Lei personalmente non ha alzato le mani ma aizzava le altre ed ha rivolto minacce gravissime a mia figlia.
La mia idea è che questi adolescenti non abbiano punti di riferimento: i genitori ci sono ma sono assenti. Si accontentano di sapere se il figlio ha preso un sei o un sette e basta. Ma li conosciamo davvero i nostri figli? Spesso sono ragazzi incapaci di comunicare in maniera normale tra di loro. Sono afflitti da un malessere che li porta a voler dominare, a parole o con le azioni, qualcun altro. Quella dell’altra sera è stata una bravata: volevano sentirsi forti. Ciò che più mi sconvolge è che probabilmente i genitori di queste ragazzine picchiatrici non sono al corrente di nulla proprio perché manca il dialogo. La madre dell’ex amica di mia figlia mi ha stupito per la certezza che ha mostrato sulla non colpevolezza di sua figlia. E invece è stata proprio lei a fomentare le altre…». A sua figlia che cosa ha detto? «Che la stimo moltissimo. Le ho sempre insegnato che è importante confrontarsi con gli altri. Ha avuto il coraggio di dire a questa ragazzina che cosa pensava». Sabato prossimo sua figlia tornerà in centro? «Sì, ma ci sarò anch’io insieme a mio marito e alla figlia più grande. Vorrei però anche vedere più pattuglie della polizia e carabinieri a presidiare le piazze».
E’ stata tentata di farsi giustizia da sola? «Non sono una persona aggressiva di carattere ma qualche anno fa forse ci avrei fatto un pensierino, ma oggi no. Ho fiducia nelle forze dell’ordine e mi aspetto che identifichino e denuncino le ragazze che hanno picchiato mia figlia. Vanno fermate perché possono far del male ad altri. Anche ai suoi amici ho chiesto apertamente di non farsi tentare da vendette personali ma di chiamare subito il 113».
(07 febbraio 2008)
da Il Tirreno:
BULLISMO A PRATO
“Ragazze cattive” scatenate a Prato si divertono a picchiare le coetanee
di Giovanni Ciattini
PRATO. L’espressione “bullismo femminile” è sociologicamente corretta ma non dà l’idea. Una figlia quindicenne accompagnata al pronto soccorso col naso fratturato da un pugno sferrato da una coetanea, un po’ di più. E’ quanto accaduto lo scorso sabato notte ad una mamma corsa in aiuto della figlia aggredita da un gruppo di ragazzine violente mentre passeggiava nel centro storico di Prato. Un episodio, lo si è scoperto in seguito, tutt’altro che isolato. Sempre la stessa sera altre due ragazzine sono rimaste vittime probabilmente delle stesse “bad girls”. E altri episodi, via via che i figli adolescenti rimuovono la polvere dalla memoria e i genitori gettano il velo dell’indifferenza, affiorano uno dietro l’altro. «Due settimane fa è successo qualcosa di analogo anche a me», racconta Matilde. «Sono stato testimone diretto di un pestaggio», rivela Gino Melani. Difficile al momento dire se il menar le mani e i piedi (c’è chi è stata presa anche a calci) si tratti di un fenomeno diffuso fra le adolescenti o se invece a Prato circoli un gruppo di ragazzine che si esaltano nel picchiare le coetanee.
Di certo c’è che la madre della quindicenne che si è ritrovata col naso fratturato si è rivolta alla polizia fornendo l’unico nome di cui disponeva: quello di una ragazzina con cui la sua figlia aveva avuto un litigio verbale. A passare alle maniere forti ci hanno pensato altre due ragazzine dai modi stile “buttafuori”. «Mia figlia ora ha paura ad uscire da sola – confessa la mamma – e anche noi non ci sentiamo tranquilli. Tanto più che questa ragazzina si è rifatta viva minacciando di morte mia figlia se non avesse ritirato la denuncia. A parte il fatto che io non la posso ritirare perché è stata avviata d’ufficio dalla polizia, ma nemmeno del resto ci penserei. Voglio che sia fatta luce su quanto è accaduto e che queste ragazzine siano individuate. Per quel che ne so potrebbero aver combinato altri guai e devono essere fermate prima che si perda definitivamente il controllo della situazione». Ecco quindi che da qualche giorno la quindicenne viaggia scortata dagli amici e dai nonni. E sabato sera ad accompagnarla in centro ci saranno entrambi i genitori insieme alla sorella maggiore.
«Mi aspetto che il centro storico sia sorvegliato con più attenzione dalle forze dell’ordine – auspica la mamma – dopo cena nelle strade si riversano centinaia di adolescenti e scintille fra i ragazzi, spesso tentati dall’idea di qualche bravata, possono sempre accendersi». Colpa dell’alcol? «Non credo, almeno l’altra sera l’alcol non c’entrava nulla. Molto però dipende dal fatto che questi ragazzi non sanno comunicare in un modo normale e l’idea di sopraffare gli altri li fa sentire più forti e sicuri di sè. Ciò che mi sgomenta, come genitore, è che a quanto pare non conosciamo i nostri figli. Probabilmente i genitori delle due ragazzine che hanno picchiato mia figlia sono ancora all’oscuro di tutto. E mi fa rabbrividire anche il comportamento di chi si vuole tappare gli occhi per non vedere che i figli possono essere molto diversi da come ce li immaginiamo».
(07 febbraio 2008)
Rimini, quindicenne picchiata dalle fidanzate dei suoi stupratori
da
Il Giornale
Felice Manti
da Milano
Picchiata dalle fidanzatine (gelose) dei suoi stupratori alle quali aveva raccontato la violenza sessuale. C’è un mondo di paradossi dietro una brutta storia di cronaca che arriva da Rimini e che ha come protagonista involontaria una ragazza di 15 anni. La scorsa estate è stata violentata da un branco di dieci ragazzi, suoi compagni di scuola. Tutti italiani, minorenni e di buona famiglia.
La ragazza non ha avuto paura a denunciarli, né a rivelare qualche mese dopo ad alcune coetanee le brutalità subite dai suoi aggressori. Non si aspettava certo che le «fidanzatine» di alcuni di loro si sarebbero vendicate. Violenze psicologiche e minacce prima, schiaffoni e percosse poi. Come conferma al Giornale il suo avvocato Massimo Cerbari, raggiunto telefonicamente a tarda sera, anche se al momento dai primi interrogatori di alcune ragazze chiamate in Procura non sarebbero emersi riscontri sufficienti.
«I suoi violentatori non erano suoi amici – dice l’avvocato Cerbari – e nessuno di loro era il suo ragazzo», come riportano invece alcuni giornali locali. Secondo una prima ricostruzione, la ragazzina si sarebbe appartata con un coetaneo e poco dopo, tra le 21.30 e le 23, i due sarebbero stati raggiunti da altri ragazzi, che l’avrebbero costretta a praticare del sesso orale. Il gruppo, secondo le prime indiscrezioni, sarebbe composto da adolescenti di età compresa tra 14 e i 18 anni, mentre uno di loro all’epoca dei fatti tredicenne, non è imputabile. Una violenza di gruppo, forse ripresa anche dal telefonino di uno degli aggressori.
Le indagini però sono ancora alle prime battute, sottolinea l’avvocato, e dunque è preso per capire fino in fondo i contorni di una vicenda che offre uno spaccato inquietante. Nei giorni scorsi, davanti a uno psicologo del tribunale minorile di Bologna, la ragazzina ha rivelato di essere stata aggredita da alcune coetanee dopo aver raccontato loro quei terribili momenti, «gelose» per quegli scampoli di violenza ai quali è stata costretta. «Non c’è
stato alcun incidente probatorio – sottolinea Cerbari – la ragazzina è stata ascoltata due volte, la prima quando ha reso la denuncia, la seconda circa una settimana fa».
Il riserbo sulla ragazza «è altissimo per tutelare la ragazza che ha subìto la violenza», conclude il legale, «i genitori della vittima temono che fornire altri particolari possa contribuire a svelare la sua identità».
L’avvocato Piergiorgio Tiraferri, che assiste informalmente due delle ragazzine che avrebbero aggredito la quindicenne, ha spiegato a un’agenzia di stampa che secondo il racconto della vittima tra le adolescenti sarebbe volato qualche schiaffone: «Ma il colloquio che hanno avuto le due ragazze con gli inquirenti – sottolinea Tiraferri – si è svolto solo per valutare la situazione dal punto di vista sociologico, ciò per riuscire a circoscrivere l’ambiente in cui il fatto è avvenuto. Tant’è che le domande poste alle ragazze erano del tipo: che scuola fai?, cosa fai di solito? Se litigano o no con compagni o genitori. Tutto qui». Nessun accenno alla lite né alle minacce, dunque. Solo l’inchiesta della magistratura chiarirà i contorni dell’ennesima storia di adolescenza violata nella provincia italiana.
da questo LINK
Violenta colluttazione, in classe, fra due insegnanti di una scuola materna
all’origine, la gelosia: la più giovane aveva il posto fisso, la più anziana era part time
Mantova, rissa fra due maestre
i bambini fuggono in lacrime
MANTOVA – Panico fra i piccoli alunni di una scuola materna: due maestre si sono picchiate a sangue per poi finire una all’ospedale e l’altra dai carabinieri. E’ successo venerdì (ma se ne è avuta notizia solo oggi) in provincia di Mantova, a San Benedetto Po, nella scuola statale “Garibaldi”. Le due donne, M.G. di 42 anni e A.V. di 32, insegnano nella stessa sezione: la prima è part time, la seconda è di ruolo da quest’anno. Tra le due insegnanti c’erano, da tempo, tensioni manifeste. Provocate, forse, dalla gelosia della più anziana nei confronti della collega, più giovane e già con il posto fisso.
M.G. è stata assente per un anno intero, ed è rientrata a scuola solo di recente. E subito si è scontrata con la collega. Venerdì, intorno alle 11.30, le due si sono incontrate faccia a faccia in classe, e dopo qualche battuta è scoppiata la lite, davanti ai bambini. M.G. ha afferrato la collega per i capelli, le ha dato una testata al volto causandole un’emorragia dal naso. Nella collutazione, entrambe le donne sono finite a terra, mentre intorno a loro i bambini scappavano in lacrime.
Alcune colleghe sono intervenute per dividerle, mentre altre chiamavano i carabinieri. Insieme ai militari è giunta sul posto anche un’ambulanza che ha condotto la maestra ferita all’ospedale. Immediata la reazione dei genitori, informati dell’accaduto: infuriati, hanno chiesto l’allontanamento della maestra manesca. La dirigente della scuola ha annunciato che sarà sospesa.
(9 febbraio 2008)
Farti soffrire di più? ma noooooo!!! magari inviandotene un pezzetto per volta!!!! mica sono così sadico !!!
dunque il riferimento per il pettegolezzo è
Ostrom, Elinor (1990). Governing the Commons
opera che viene citata e sintetizzata da Howard Rheingold in Smart Mobs edito da Raffaele Cortina… qui mi sono dovuto fermare perchè non ho il libro a disposizione in questo momento … ricordo solo che il pettegolezzo (non nel senso di calunnia) era fondamentale per la razionalizzazione dell’acqua in un contesto rurale spagnolo. Se non ricordo male su questa base si è ideato il sistema della reputazione su internet che è una modalità di controllo dal basso per esempio sull’attendibilità di una fonte o di un acquirente o venditore per esempio su Ebay….vabbè il discorso è lungo e articolato e soprattutto fuori tema 🙂
oki 🙂
ma tipo copiarlo un paragrafo alla volta? così mi fai soffrire di più? 🙂
comunque ora devo scappare appena torno ti leggi e ti ririspondo.
bacio
fikasicula cara, intanto ti ringrazio per la professione di fede sul mio aspetto 🙂
purtroppo non sono dotato di scanner…. per farti arrovellare un po’ di più ti metto il titolo
…. ultimamente internazionale si diverte a pubblicare maschietti che scrivono di femminismo ….
il titolo dell’articolo è il seguente
Maschio padrone
Il femminismo radicale non è solo una critica al dominio sociale degli uomini. È anche un modo per capire gli altri sistemi autoritari
tutto un programma no? curiosa? 😛
per intanto che trovi un’edicola fornita o un* blogger scannerdotat* fatti un giro pure qui
http://www.internazionale.it/…icolo.php?id=18079
bella quest’idea sulle guerre sono d’accordo riabilitiamole 😛
Non tutti i pettegolezzi sono calunnie…. vado a cercare i riferimenti e torno
imprecario bello,
il pettegolezzo cui mi riferisco io è la calunnia, l’infamata, è una chiacchiera passata di bocca in bocca per eliminare socialmente qualcuno. dubito che sia utile in termini di autoregolazione di sfruttamento delle risorse comuni. a meno che non si dica anche che le guerre siano utili perchè consentono fanno fuori un bel po’ di gente e cos’ le risorse della terra che loro non useranno e che ci avanzano possiamo spartircele meglio… 🙂
se comunque ho capito male e becchi un link da farmi leggere approfondisco più che volentieri questo aspetto.
per la cosa sul femminismo dell’internazionale sei stato il primo 🙂
ero verginissima e ora ti tocca però copiarlo e passarmelo che io non sono riuscita a comprarlo e all’edicola non ce l’hanno più :(((
scherzi a parte ce la fai a fare una scannerizzazione? te ne sarei gratissima :)***
per andrea: il tuo commento davvero non l’ho capito. se è silenzio assenso allora vuol dire che ti è piaciuto il post. insomma che volevi dire? :)))
baci
ahem….tanto lo so che arrivo tardi … hai visto internazionale di questa settimana (pag.48)
Ti ringrazio per la citazione e link … un appunto su un aspetto marginale. attenzione alla non demonizzazione del “pettegolezzo” come modalità comunicativa … è stato studiato in relazione ai “commons” e pare che abbia un ruolo positivo nella autoregolazione dello sfruttamento delle risorse comuni… ora non ho i riferimenti bibliografici …ma se ti interessa l’argomento posso essere più preciso