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Donne di Israele. Donne di Palestina.

http://www.4strugglemag.org/images/palestine.jpg

I soldati israeliani del "Courage to refuse" tornano a chiedere agli altri soldati di rifiutarsi di massacrare vite umane nella striscia di Gaza. Francis Boyle denuncia, in un lungo e dettagliato articolo (en), che sono gli Stati Uniti a promuovere il genocidio dei palestinesi ad opera degli israeliani. Le prime pagine dei maggiori quotidiani italiani fanno diventare la notizia della recrudescenza dell’attacco israeliano una cosa senza importanza. Passato l’interesse per le strazianti foto dei bambini bruciati dal fosforo bianco e tornati alla nostra routine, il lettore ha bisogno di sangue nuovo. Siamo vampiri dell’informazione e non esseri umani. 

Noi continuiamo a pensare ai bambini e alle bambine di Gaza. Alla manifestazione nazionale che si farà il prossimo sabato (17 gennaio – Info). A Lama, che non copre la testa con un velo, che è impegnata nei movimenti femminili, prigioniera a Gaza come tutte le altre. Alle donne che si oppongono a questo massacro. Alle donne che muoiono a centinaia e che già vivono in una situazione non facile per via della cultura che le domina. 

A proposito di donne – dato che non tutte sono spietate come la Livni o fanno le veline per le operazioni di marketing dell’esercito israeliano – traduco un comunicato delle rappresentati delle maggiori women’s organizations di Israele, un altro di donne israeliane pacifiste (QUI gli originali in inglese) e poi vi passo un pezzo tratto da peacereporter sulle donne di Gaza e un altro tratto da Infopal (QUI tutti i loro pezzi sulla condizione femminile) sulla situazione delle donne palestinesi.

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Comunicato delle Organizzazioni di donne israeliane

Noi organizzazioni di donne dopo aver compiuto una analisi politica complessiva chiediamo la fine dei bombardamenti e dell’uso di ogni altro mezzo di morte, e chiediamo – ancora – l’immediato inizio di un dialogo di pace che sia alternativo alla guerra. La danza della morte e della distruzione devono avere fine. Noi chiediamo che nessuna guerra possa essere decisa come opzione, nessuna strategia di violenza, nessuna alternativa di assassinio. La società che noi vogliamo è quella nella quale ogni individuo può condurre una vita sicura, dal punto di vista personale, economico e sociale. 

E’ chiaro che l’altissimo prezzo sia pagato dalle donne e da altri soggetti di ogni possibile periferia (dai margini) – geografica, economica, etnica, sociale e culturale – che ora, come sempre, sono esclusi dal dibattito pubblico.

Il tempo delle donne è ora. Noi chiediamo che parole e azioni possano essere gestite con un altro linguaggio.

Ahoti- For Women in Israel // Anuar- Jewish and Arab Women Leadership // Artemis- Economic Society for Women // Aswat- Palestinian Gay Women // Bat Shalom // Coalition of Women for Peace // Economic Empowerment for Women // Feminancy: College for Women’s Empowerment // Feminist Activist Group – Jerusalem // Feminist Activist Group – Tel Aviv // International Women’s Commission: Israeli Branch // Isha L’Isha- Haifa Feminist Center // Itach: Women Lawyers for Social Justice // Kol Ha-Isha- Jerusalem Women’s Center // Machsom Watch // Mahut Center- Information, Training, and Employment for Women // Shin Movement- Equal Representation for Women // Supportive Community- Women’s Business Development Center //
TANDI – Movement of Democratic Women for Israel // Tmura: The Israeli Antidiscrimination Legal Center // University against Harassment – Tel Aviv // Women and their Bodies // Women’s Parliament // Women’s Spirit- Financial Independence for Women Victims of Violence

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Un secondo documento redatto in arabo, ebraico, inglese, è
firmato nominativamente anche da giovani israeliane che fanno parte del
pluriennale progetto europeo “Building Constituencies for Women’s
alternative ways for Peace” voluto dal Jerusalem Link e dall’associazione Orlando per
favorire l’incontro di palestinesi e israeliane che prendono iniziative
di pace. Una di tali iniziative è quella presentata dall’estratto video dell’incontro /Libertà di movimento e di incontro. Donne che si parlano da Israele-Palestina, pubblicato sul Server Donne.

Al popolo palestinese

Noi, un gruppo di donne israeliane, vorremmo mandarvi un messaggio di solidarietà, condividere la nostra rabbia verso un assassinio ingiustificabile e senza speranza  e verso i crimini di guerra perpetrati dall’esercito israeliano, esecutori degli ordini del governo israeliano e sostenuti da complicità internazionali. Non può esserci alcuna giustificazione, nessuna scusa per questi atti criminali.

La violenza non è e non è mai stata la nostra via. Noi ci opponiamo ad ogni uso della violenza e della forza e chiediamo l’immediato cessato il fuoco da entrambe le parti e un reale inizio dei negoziati che possano portare ad una soluzione del conflitto.

Le nostre parole rappresentano l’opinione di migliaia di Israeliani che sono venuti fuori per protestare sulle strade in tutti questi giorni, e promettiamo che non metteremo fine alla nostra battaglia fino alla fine del massacro e dell’occupazione israeliana in Palestina.

Roni Mundel // Maya Frankforter // Iris Stern-Levi // Noa Guez // Hannah Green // Yael Lalum // Neta Yakoel // Neta Rotem // Keren Assaf // Gali Agnon // Adi Livny // Oshry Amitai // Aya Port // Orly Marton 

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Nella crisi umanitaria della Striscia di Gaza le donne patiscono due volte

Le donne palestinesi, il sesso veramente debole in una società a dominanza maschile, sono costrette a portare un doppio fardello: l’occupazione israeliana della loro terra e la sottomissione e la violenza cui sono sottoposte in una società autoritaria e patriarcale. Se questo è vero in
generale per la Palestina, la donne risultano essere tanto più “vittime” nel territorio della Striscia, dove la violenza domestica assume aspetti di vera e propria piaga sociale. La ragione di ciò risiede nell’unicità della storia e dello sviluppo della società di questo territorio. La violenza sulle donne assume qui, infatti, forme particolari poiché combina aspetti economici, politici e culturali.

L’assoggettamento della donna all’interno della famiglia e la sua estensione nel pubblico, si esprime in varie forme di discriminazione: salari più bassi per le lavoratrici, inique opportunità di promozione, di educazione, limitate possibilità di partecipare ad attività politiche e culturali. Tra queste forme discriminatorie, sicuramente quella che assume aspetti veramente drammatici è il delitto d’onore, ancora largamente diffuso nella Striscia. Anche se un numero crescente di palestinesi trova
i delitti d’onore inaccettabili, la barbara pratica continua. "Nessuno conosce l’entità del fenomeno, perché nessuno ha condotto uno studio – dice Manal Awwad, presidente del Wep (Women’s Empowerment Project) – le organizzazioni delle donne come la nostra sono mobilitate contro le
uccisioni, ma purtroppo la pratica continua nonostante i divieti giuridici. La donna può essere uccisa anche solo perché sospettata di avere avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio, lo stesso dicasi per le vittime di stupri, il loro viene ritenuto un "crimine" che va punito, mentre l’uomo, che può aver violentato la sua vittima, è considerato un innocente e può passeggiare liberamente”.

http://www.presentepassato.it/Foto/Medioriente/Distruzione%20case.jpg

"L’onore di una famiglia è molto dipendente dalla donna, dalla sua verginità, una donna vergine è di proprietà degli uomini attorno a lei, prima di suo padre, dopo come dono per il marito, la verginità, quindi, come dote virtuale per il matrimonio. In questo contesto, la donna è una merce che deve essere protetta da una rete di membri della famiglia e della comunità. La donna è custodita esternamente dal suo codice di comportamento e di abbigliamento e internamente dal mantenimento della sua illibatezza”. “Naturalmente esistono anche i rapporti sessuali fuori del
matrimonio – precisa Awwad – tra i giovani palestinesi, soprattutto nella comunità degli studenti, dove le donne vivono lontano dall’occhio attento delle loro famiglie. Tuttavia, per la maggior parte delle donne, è considerato vergognoso essere viste solo con un maschio non membro della
famiglia”. La fondatrice, Shaida El Saray, organizzò il Wep (Women’s Empowerment Project) nel 1995, con l’aiuto di donors svizzeri, dall’esperienza del Centro di salute mentale di Gaza, inizialmente per le donne dei prigionieri che avevano problemi di disagio mentale e specializzandosi poi nell’aiuto alle donne che sono vittime di violenza domestica. Il Wep si fonda sull’idea che la terapia medica debba correre insieme alla riappropriazione, da parte delle donne, di spazi, tempi,
istruzione e formazione, con il loro inserimento in un contesto sociale ed economico più solido di quello che ha dato origine ai loro problemi e con tutta una serie di strategie di approccio alle fonti inconsapevoli di quei problemi: la famiglia, la comunità, la scuola… Le donne che si rivolgono
al Programma provengono per lo più dai campi profughi di Gaza, Khan Yunis e Rafah: molte di loro sono reduci da matrimoni precoci e maltrattamenti familiari; alcune sono state detenute o sono madri, mogli, sorelle, figlie di detenuti o hanno avuto mariti e figli uccisi.

Il Wep inserisce le giovani donne in contesti formativi e didattici per restituire loro il percorso educativo a volte mai iniziato, a volte bruscamente interrotto per ragioni diverse, quali il matrimonio in età scolare o la chiusura continuata delle scuole negli anni dell’Intifada. “Ora poi – prosegue la presidente – a tutti gli altri problemi si è aggiunto quello della gravissima crisi economica causata dall’assedio, quindi se per caso una donna decide di divorziare a causa della situazione familiare, fa fatica a trovare un lavoro, non può rientrare nella propria famiglia perché verrebbe considerata un peso e soprattutto rischia che non le sia consentito nemmeno vedere i suoi figli, quindi non le vengono lasciate molte via d’uscita”. “Rivolgersi al nostro centro, per la maggior parte delle donne è difficile perché lo devono fare di nascosto, in alcuni casi siamo noi andare da loro su segnalazione di altre persone. Vengono minacciate, devono sottostare al volere maschile, nostre stesse dipendenti ricevono regolarmente minacce telefoniche a causa del loro impegno per aiutare le donne vittime. Vengono accusate di ribellione nei confronti della tradizione e di corruzione della società”.

(Fonte: peacereporter)

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Donne palestinesi, tra oppressione maschile e ferocia israeliana

La situazione di violenza continua a cui il popolo palestinese è sottoposto da decenni, a causa di una feroce occupazione israeliana e
di un regime che ha tutte le caratteristiche, ormai, dell’apartheid, si
ripercuote negativamente nei rapporti all’interno della società
palestinese stessa. Donne e bambini sono le "categorie" più a rischio
di aggressioni e di attacchi da parte dei maschi adulti conviventi.

http://english.people.com.cn/200507/12/images/0711_D71.jpgDenunciare
violenze fisiche, psicologiche, stupri e incesti non è assolutamente
facile per donne e minori palestinesi: la struttura sociale, per molti
versi ancora tribale, patriarcale e maschilista, e la mancanza di una
giurisprudenza adeguata, rendono la persecuzione dei colpevoli quasi
impossibile.

Associazioni e gruppi per la difesa dei
diritti umani, dell’infanzia e della donna, da anni denunciano un
incremento preoccupante di violenze domestiche, sia tra le famiglie
musulmane sia tra quelle cristiane.

Per donne e bambini, dunque, all’oppressione soffocante e disperante
dell’Esercito israeliano, al carcere, alla mancanza di opportunità e di
futuro, sia aggiungono, in un rapporto spesso di causa-effetto, le
violenze familiari. Il focolare domestico, anzichè lenire, mitigare
l’inferno esterno, in molti casi è luogo di altri soprusi.

Gli aguzzini palestinesi

Molti analisti
mettono in relazione l’escalation di violenze familiari con il
peggiorare continuo della situazione politica ed economica palestinese.
Povertà, disoccupazione hanno tolto ai maschi, ai padri, ai mariti, ai
figli maggiori l’antico ruolo di "capifamiglia", di coloro, cioè, che
provvedevano al sostentamento dei membri della casa. L’uomo sperimenta
ormai da tempo l’umiliazione delle percosse, delle aggressioni dei
militari israeliani perpetrate davanti ai figli, alla moglie. La
mancanza di lavoro, poi, produce rabbia e frustrazione che vanno ad
aggiungersi a quelle prodotte dalla violenza subita quotidianamente per
la strada, ai check-point, in carcere. Tale accumulo di energia
negativa viene spesso rilasciato in famiglia, contro i più deboli e
indifesi.

Donna e lavoro

Le donne hanno meno diritti degli uomini e maggiori difficoltà a trovare un lavoro.

Nel
2005, solo il 14,1% delle donne al di sopra dei 15 anni era occupata,
contro il 67,8% dei maschi. La metà di esse riceveva salari bassi e
svolgeva mansioni modeste.

Certi settori professionali,
infatti, sono prevalentemente in mano agli uomini: la Giustizia, ad
esempio, può vantare solo il 9% di donne giudice e il 12,2% di donne
procuratore. Le donne avvocato raggiungono, invece, il 31,2%.

Tra
le nuove generazioni, tuttavia, sono più le ragazze a iscriversi alle
scuole superiori, mentre all’università sono quasi pari ai coetanei
maschi.

Anche al governo le donne sono scarsamente
rappresentate: nell’esecutivo Hamas, formatosi subito dopo le elezioni
del 25 gennaio 2006, l’unica ministra era Mariam Saleh; nel successivo
di unità nazionale sono state in due.

La condizione
marginale a livello politico, economico e sociale in cui le donne
palestinesi vivono si rispecchia anche in famiglia: in molti casi, i
mariti vengono ancora scelti dai genitori, e all’interno della cerchia
dei parenti o del clan familiare allargato.

 

http://www.flashpoints.net/archive/images/maggielanah2.jpgMovimenti per i diritti delle donne

Il
ruolo delle donne è stato molto importante nella lotta di liberazione
palestinese degli ultimi decenni. E’ sorto un movimento femminista, di
sinistra e laico, ostacolato, per motivi diversi, dai partiti
tradizionali palestinesi e dai movimenti islamici. Questi ultimi hanno
canalizzato le istanze femminili all’interno di strutture e gruppi
religiosi formati da donne. L’accusa più comune che i movimenti
femministi, in Palestina e nel resto dei paesi arabo-islamici, hanno
ricevuto è stata quella di essere "occidentalizzati" e di voler minare
le radici della famiglia e della società patriarcale.

Dopo la fine della prima Intifada – che ha visto fortemente
co-protagoniste le donne – e la firma dei fallimentari Accordi di Oslo,
nel 1993 , le femministe hanno iniziato a lavorare sull’uguaglianza tra
i sessi e le pari opportunità all’interno delle istituzioni politiche e
amministrative dell’appena nata Autorità Nazionale palestinese. E’ del
1994 il "Memorandum dei Diritti delle Donne": il documento sottoscritto
dall’Anp accoglieva la Convenzione internazionale sulla "Eliminazione
di tutte le forme di Discriminazione contro le Donne" e richiedeva "giustizia, democrazia e eguaglianza di genere" all’interno delle
strutture politiche "statali" palestinesi in formazione.

Le
attiviste delle organizzazioni non governative femminili sono riuscite
a far si che la Giustizia Suprema islamica accogliesse alcuni punti
fondamentali da inserire in un disegno di legge sulla famiglia da
presentare al ministero della Giustizia palestinese (che non l’ha mai
presentato in Parlamento): limite di età a 18 anni per il matrimonio
sia per i ragazzi sia per le ragazze; limitazione del diritto alla
poligamia; accesso facilitato al divorzio per le donne attraverso il khula (divorzio
non di colpa) e l’inserimento di ragioni per "insormontabili
differenze"; sterilità come motivo di divorzio per entrambi; equa
divisione delle ricchezze acquisite durante il matrimonio;
compensazione economica per la donna quando il marito divorzia
arbitrariamente; istituzione di un fondo pubblico per pagare il
mantenimento a donne e bambini dopo il divorzio.

Nel 2002 le attiviste dell’Ong femminili hanno creato un "Forum
contro la violenza alle donne", una rete di 13 organizzazioni che
collaborano contro la violenza domestica. Molte di queste
organizzazioni sono ancora attive e sostengono a vari livelli le donne
vittime di abusi e maltrattamenti.

Nel 2005, una rete di
cinque organizzazioni femminili in Libano, Egitto, Giordania e
Palestina hanno creato un gruppo, "Salma", per lanciare una campagna
per combattere le violenze domestiche e per educare le donne a
combattere e a difendersi da questa piaga.

La creazione di un ministero per gli Affari femminili, nel 2003, è un’altra conquista del movimento delle donne.

 

http://www.tribuneindia.com/2005/20050515/wd3.jpgViolenze domestiche

Le violenze
domestiche sono difficilmente denunciate alle autorità. L’Ufficio
Centrale di Statistica palestinese tra il 2005 e il 2006 ha condotto
un’inchiesta su 4.212 famiglie nei Territori occupati e ha rivelato che
soltanto una netta minoranza delle vittime di violenze si è rivolta
alle istituzioni: il 23% delle donne intervistate era stata oggetto di
maltrattamenti fisici; 61,7% di violenza psicologica e il 10,5%
sessuale. In tutti i casi, il colpevole era il marito. Tuttavia,
soltanto l’1,2% delle donne aveva denunciato il coniuge alla polizia o
alle istituzioni; meno dell’1% aveva cercato aiuto o sostegno.

Nella
maggior parte dei casi, le donne ritenevano inutile rivolgersi alla
polizia, o addirittura dannoso. Molte, inoltre, avevano paura del
giudizio della società; altre temevano addirittura per la propria vita.

Sondaggi
popolari, infatti, evidenziano come la società palestinese non sia
disposta a perseguire chi maltratta le donne e, nella maggior parte dei
casi, chiede loro di non denunciare le violenze. Molte madri vittime di
abusi non si ribellano perchè temono di perdere la custodia dei figli,
di essere buttate fuori di casa, di essere messe al margine e rifiutate
dalla famiglia. Il divorzio è considerato come una vergogna, una colpa,
anche se servirebbe per liberarsi dalla tirannia di un marito violento
e pericoloso. Anche presso alcune comunità palestinesi all’estero, una
donna che decide di lasciare un marito aggressivo viene giudicata
negativamente. La violenza stessa non viene creduta reale e la donna
viene accusata di cattivo comportamento.

Nel 2006, il Palestinian Central Bureau of Statistics ha pubblicato
una ricerca che rivela come il 23,3% delle donne sposate, sia in
Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza, è stata oggetto di violenze
fisiche, e il 61,7% di violenze psicologiche.

Sono
molte le associazioni per i diritti delle donne palestinesi ad aver
denunciato un aumento delle violenze domestiche dal 2000 in poi – data
di inizio della seconda Intifada -, probabilmente come conseguenza del
deteriorarsi delle già precarie condizioni economiche, politiche e
sociali.

Sono in crescita anche gli stupri perpetrati dal marito o da altri
familiari e le violenze durante i rapporti sessuali coniugali. La
denuncia per stupro deve essere suffragata da "prove", ma i codici
legislativi egiziani e giordani, ancora in vigore in Palestina, non
contemplano la violenza sessuale all’interno del matrimonio. Quindi,
non è facile, per la vittima, ottenere il divorzio o la condanna – se
mai decidesse di denunciarlo – del marito violentatore. L’art. 33 del
codice penale giordano mette in relazione l’eventuale pena per
l’aggressore con il numero di giorni che la vittima ha passato in
ospedale!

In una ricerca pubblicata nel 2005, Palestinian Central Bureau of
Statistics ha rivelato che il 51,4% delle mamme palestinesi temeva che
almeno una delle loro figlie poteva essere soggetta a violenza da parte
di membri della famiglia.

Ogni anno, numerose donne,
anche molto giovani, sono sottoposte a violenze sessuali, ma soltanto
poche le denunciano: la paura di essere emarginate, perseguitate dalla
famiglia e dall’ambiente sociale in cui esse vivono, impedisce loro di
chiedere giustizia. Nel caso di ragazze nubili, spesso lo stupro viene "risolto" con il matrimonio riparatore, come avveniva anche in Italia,
soprattutto nel Sud, fino a qualche anno fa. Sugli 85 casi di stupro
ufficialmente denunciati nel 2003, soltanto 2 hanno portato alla
carcerazione dei colpevoli, probabilmente, nella maggior parte degli
altri, il matrimonio ha coperto il crimine.

La società
palestinese, in particolare quella delle zone rurali, non è preparata a
riconoscere e a perseguire la violenza sessuale: le vittime sono
colpevolizzate, accusate di "essersela cercata" con comportamenti,
abbigliamento, e chissà che altro, "sbagliati", e spesso rischiano di
essere uccise perchè "l’onore sia lavato". La vittima è dunque
trasformata in colpevole, in capro espiatorio della violenza altrui.

Delitti d’onore

Gli omicidi per
ragioni di "onore" sono piuttosto diffusi in Palestina, e in crescita,
sia nella Striscia di Gaza sia nella West Bank: la cronaca nera
settimanale riporta notizie di giovani trovate morte – strangolate,
avvelenate, accoltellate, ecc. – dai propri familiari.

Per
essere giudicate "svergognate" basta poco, anche una semplice
conversazione in chat-line con persone del sesso opposto. Il "disonore"
passa attraverso le chiacchierate con uomini che non fanno parte della
famiglia, il matrimonio non approvato dai familiari, per arrivare fino
allo stupro e all’incesto subiti.

Molto
significativamente, alcune attiviste per i diritti umani, definiscono
tali crimini "femminicidi" piuttosto che delitti d’onore. Infatti, qui
gioca un grande ruolo la discriminazione sessuale, il tribalismo
patriarcale, misogino e antifemminile, che può coinvolgere sia
musulmani sia cristiani.

Le gravi restrizioni di movimento tra le varie città palestinesi,
causata dai check-point e dai coprifuoco israeliani, spesso impediscono
alla polizia o agli operatori sociali dei centri per i diritti umani di
intervenire in tempo quando vengono segnalate situazione di immediato
pericolo per la vita di una donna "disonorata".

(Fonte: Human Rights Watch, "A Question of Security.
Violence against Palestinian Women and Girls"; "Domestic Violence
against Palestinian Women Rises", Middle East Times, September
20, 2002; Kamel Al-Mansi, "Family Violence against Women in the Gaza
Strip: Prevalence, Causes and Interventions", Gaza, Women’s Affairs
Center, 2001).

http://www.theglobalreport.org/issues/169/PALESTINIAN-WOMEN-WITH-CHIL.GIFGli aguzzini israeliani

Negli ultimi due anni le forze di occupazione hanno arrestato circa
500 donne, di cui molte sono madri di famiglia. Alcune hanno partorito
in carcere.

Nel 2006, 20 ragazzine al di sotto dei 18 anni
si trovavano in prigione, in celle con adulti. L’occupazione israeliana
ha peggiorato enormemente la già precaria condizione femminile: oltre
all’incarcerazione di molte madri di famiglia, la politica di arresti
di massa di uomini palestinesi ha aggiunto ulteriori responsabilità
alle donne, che devono cercare di sostentare la famiglia mentre il
marito o i figli maschi sono in carcere.

Le prigioni in cui il governo israeliano fa rinchiudere le
palestinesi sono Ha’asharon-Tilmond e Ramle è Nafe Trista, all’interno
di Israele.

Le donne palestinesi hanno sperimentato il carcere già dai primi tempi
dell’occupazione israeliana della Palestina: sono state torturate,
picchiate, umiliate, violentate, condannate a lunghi periodi di
detenzione.

Tuttavia, il numero di prigioniere negli
ultimi anni sta crescendo molto: nel 2004, erano 81, nel 2006 erano
120. Tra di loro ci sono minorenni e tante mamme, alcune donne incinte
al momento dell’arresto. Ci sono stati casi di partorienti costrette a
dare alla luce il proprio bambino con i ceppi alle mani e ai piedi.

Durante
gli interrogatori, le donne, come gli uomini, sono soggette a torture,
percosse, umiliazioni, insulti, minacce, pressioni psicologiche, ecc.
Arresti e perquisizioni fisiche spesso sono effettuate da personale
maschile, che le rende ancora più mortificanti. Gli interrogatori
possono andare avanti per l’intera giornata e continuare per diversi
giorni.

Le celle sono piccolissime, affollate, in pessime condizioni
igienico-sanitarie e poco areate. L’alimentazione è carente e scarsa
(anche per le gravide e le puerpere, con le immaginabili conseguenze
per la salute fisica loro e dei loro bambini).

Inoltre,
donne e uomini palestinesi prigionieri devono pagare costose multe al
momento dell’arresto e il proprio "mantenimento" in carcere (centinaia
di dollari al mese!).

Cure mediche e psicologiche,
percorsi scolastici, libri e attività sportive o educative non sono
previste. Ai malati cronici o a quelli affetti da tumore non vengono
garantite ne’ diete ne’ cure adeguate. Per qualsiasi tipo di disturbo, il
prigioniero/la prigioniera deve aspettare il giorno in cui il medico è
presente in carcere.

La detenzione di cittadini
palestinesi in prigioni israeliane lede l’art. 49 della IV Convenzione
di Ginevra, ma non è che una delle innumerevoli violazioni dei diritti
umani e della legalità internazionale commesse da Israele.

http://lawrenceofcyberia.blogs.com/photos/uncategorized/checkpoint.jpgPartorire ai check-point

Un altro tragico, disumano, fenomeno, molto diffuso negli ultimi anni
nella Cisgiordania occupata, è il parto al check-point: donne in
travaglio cercano di raggiungere il più vicino ospedale per partorire,
ma il Muro di separazione, i posti di blocco e le varie barriere
impediscono loro di arrivare a destinazione. I soldati israeliani non
permettono il transito neanche in questi casi, estremi, e molte madri
sono costrette a dare alla luce la propria creatura per terra, davanti
alla gente, senza assistenza medica. E, spesso, donna e bambino muoiono
o riportano gravi problemi di salute con danni permanenti.

di Angela Lano

(Fonte: Infopal.it

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio.


6 Responses

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  1. fikasicula says

    grazie a te marzia e a server donne per il materiale che mettete a disposione
    un abbraccione

  2. Marzia says

    grazie grazie
    bel lavoro; denso delle informazioni che spesso non si trovano nemmeno a cercarle con il lumicino )1)1)1)1)1)
    diamo voce a questo silenzioso orrore!

  3. fikasicula says

    si vivian, ottimo :)*
    erano informazioni che servivano a me per capire e penso che il quadro vada illustrato bene a tutte altrimenti stiamo sempre a fare battaglie collettive senza avere una coscienza individuale e di genere.

  4. vivian says

    grazie per aver messo tutte queste informazioni insieme. mancano sempre dei pezzi quando si parla di questa situazione. naturalmente faccio girare.

  5. fikasicula says

    grazie a te cara 🙂
    un bacio

  6. lilli says

    fantastico, grazie FS. sempre molto informativo il sito.
    ora linko tutto.