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Una Judith Butler di troppo

Il 27 marzo a roma ci sarà Judith Butler. Lei è quella alla quale si deve il termine "queer" [Qui trovate uno ottima descrizione della *teoria queer*].
Con lei si è sdoganata una riflessione ampia che a partire dal mondo
glbt è approdata nel femminismo fino ad allora legato a quella norma
eterosessuale che la Butler contesta. Lei ha anche approfondito lo
stato di precarietà legato al dopo 11 settembre e a roma definirà
assieme a Wendy Brown un’altra radicale riflessione sul concetto di "Stato Nazione".


Il pensiero della Butler
, così come altre che hanno espresso teorie femministe lontane dal mondo del "valore della differenza" della Luce Irigaray,
è stato digerito abbastanza male dalle differenzialiste. Dobbiamo ad
alcune donne lungimiranti la traduzione e la pubblicazione dei suoi testi in Italia.
Il conflitto è sempre stato basato su una presunzione di egemonia
culturale che non consentiva un dibattito tra vari femminismi ma ne
ammetteva uno solo.


Molto semplicemente
la questione era legata
al fatto che ad un certo punto, mentre le donne dibattevano sulla
bellezza dell’aver raggiunto un livello di consapevolezza circa la
ricchezza della propria differenza (a superamento del concetto che
ambiva ad una parità tout court priva di ammissioni di diversità:
"donne e uomini sono diverse e questa diversità va rivendicata"), la
Butler ha fatto notare che le donne del "valorizziamo le differenze"
comunque basavano tutto il loro ragionamento su una norma eterosessuale
(così come le femministe afroamericane hanno sollevato il problema che il femminismo riconosciuto veniva comunque pensato da donne bianche, integrate e borghesi, le femministe postcoloniali
hanno posto il serio problema della colonizzazione culturale praticata
su donne con ben altra e indipendente elaborazione intellettuale e le cyberfemministe
hanno auspicato la trasformazione in cyborg piuttosto che in madonne o
dee, per una definitiva rielaborazione postgender dei "ruoli sociali").


L’arrivo
della Butler
in italia non è cosa da poco perchè significa che la
pensatrice femminista e lesbica più scomunicata (dal papa) della storia più recente ha anche fatto finalmente breccia nel mondo femminista italiano che
anche per questo può dirsi dei "femminismi". Tuttavia la conferenza
della Butler viene moderata, presentata, coordinata (non saprei) da Ida
Dominijanni che della corrente differenzialista si è sempre fatta
grande scudiera. Questo ha suscitato delle perplessità che vengono così
espresse nel comunicato, che pubblico sotto, di Patrizia Colosio, della Lista Lesbica Italiana

A mio avviso il fatto che la Butler sia ammessa dalla corte delle
accademiche differenzialiste è una bella sfida e chi ha organizzato
questo incontro ha quindi fatto una gran cosa. Io sono sempre felice se un bel pensiero ha libero accesso ovunque perchè se riesce a contaminare e diventa patrimonio comune è sicuramente merito di chi si è sentito maggiormente rappresentat@ da esso ma allo stesso modo la interpretazione dello stesso pensiero, esattamente come per la Irigaray, deve essere lasciata a tutte, perplesse o straconvinte. I femminismi sono in costante evoluzione, le sue teorie scivolano fluide e complesse, si mischiano e vanno ben oltre la stessa intenzione di chi le ha elaborate. Rivendicare una sola – corretta e monotematica – interpretazione dogmatica delle teorie della Butler secondo me è come impedire che questa evoluzione possa avvenire (il comunicato spiega in ogni caso il rischio di "annessione" con finalità "normalizzatrici" e solleva il problema di una brutta omissione). QUI trovate la risposta della Dominijanni al comunicato.


In
ogni caso se potete
e se vi capita andate ad ascoltarla perchè ne vale
la pena: la trovate a Roma, giovedì 27 marzo 2008, ore 9.00 – 18.00,
Aula Magna Facoltà di Lettere e Filosofia – via Ostiense, 234 dove
Judith Butler (alle 14.00) e Wendy Brown (alle 9.30) terranno due seminari correlati sul tema
Sovranità, confini, vulnerabilità: Vulnerabilità e sopravvivenza: la politica "affettiva" della
guerra. Vi segnalo inoltre "Queer" di questa settimana – bell’inserto
di liberazione pubblicato ogni domenica – dedicato alla Butler: lo
trovate online QUI.

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La guerra di Judith Butler

In Italia per la prima volta la filosofa lesbica americana assurta a
fama mondiale con "Gender trouble" parlerà, a Roma, della politica
affettiva della guerra: il Vaticano è troppo vicino?

di Patrizia Colosio

Sono una grande ammiratrice del pensiero di Judith Butler; lo sono da
quando Feltrinelli pubblicò il suo secondo libro "Corpi che contano" nel
’96, tralasciando la sua prima opera-scandalo che fu poi tradotta in
Italia, con 14 anni di ritardo, da Sansoni ; il titolo era "Scambi di
genere".
Ed è appunto sul genere che Butler ha dato un contributo straordinario
tanto che chiunque si trova a scrivere su questo tema non può
prescindere dal Butler-pensiero.

Dopo di lei è quasi impossibile sostenere con un minimo di credibilità
che i generi sono quelli incastonati nel sistema binario
maschio/femmina e che sono "naturalmente" definiti; chi non ha almeno
orecchiato la sua teoria più celebre sulla performatività secondo cui
la norma – e di conseguenza la normalità – sta nella continua
ripetizione e citazione senza le quali non avrebbe alcun potere?

Una teoria rivoluzionaria partita dall’esperienza lesbica della
filosofa, testimone e vittima di una violenza che emargina e respinge
nell’abiezione tutti quei soggetti che nella norma non sono compresi.
La sua genialità sta proprio nell’aver visto il potere scardinante del
desiderio non conforme alla norma: ed è in questo contesto che avviene
il recupero, ad esempio, del drag e della figura della butch in quanto
"la replica di costruzioni eterosessuali in cornici non eterosessuali
mette in rilievo lo status totalmente costruito del cosiddetto
originale eterosessuale".

Teorie che se, da una parte, hanno spinto le maggiori associazioni
psicoanalitiche e psicologiche a rivedere le proprie posizioni
sull’omosessualità, dall’altra, hanno fatto di Judith Butler il
principale bersaglio della chiesa cattolica.
Fu l’allora prefetto Ratzinger nel 2003 a condannare le sue teorie –
esaltando al contempo il pensiero della differenza – nella
"Raccomandazione ai vescovi sulla collaborazione tra uomo e donna" ed è
stato l’ Avvenire a pubblicare per primo una recensione stroncante
dell’ultimo suo libro pubblicato in Italia "La disfatta del genere" del
2006.

Leggendo dell’arrivo di Judith Butler mi sarei aspettata un confronto
su quelle tematiche che più hanno caratterizzato il suo pensiero;
è infatti proprio a partire dalle sue elaborazioni sul genere, sulla
performatività che fa apparire come "naturale" ciò che è frutto di una
violenza normativa e che determina ciò che è intelligibile e che
rientra nella sfera dell’umano, che prende spunto per coinvolgere altre
realtà di esclusione, altre vite precarie in un progetto di cambiamento
radicale.

Attraverso la vulnerabilità di corpi e identità sempre in bilico tra
rivendicazione e violenza subita come quella di lesbiche, gay,
transgender, intersessuali lancia il messaggio di una vulnerabilità che
dopo l’11 settembre ha drammaticamente coinvolto tutte e tutti e
riproposto l’urgenza di un approccio completamente diverso a una realtà
che si è fatta molteplice e va letta in relazione e in chiave globale.

Moltiplicare la violenza e illudersi di poter conquistare in questo
modo sicurezza quando sempre più le nostre vite dipendono dal
riconoscimento dell’ "altro" appare infatti una pura follia.

Ci sarà posto per questo partire da sé nella conferenza di Roma o
ancora una volta si dovrà fare i conti con una presunta "neutralità"
che tutto annulla e cancella?
Provate a fare un giro su Google per le informazioni su questo
convegno: vi sfido a trovare la parola lesbica o almeno queer in
relazione a Butler

Leggo tra le organizzatrici Ida Dominijanni, con cui ebbi una querelle
sul Manifesto proprio a proposito di Butler e del documento di
Ratzinger; recentemente alla Casa internazionale delle donne durante la
presentazione dell’ultimo libro di Fiorella Cagnoni ha lamentato una
"crescente omosessualizzazione della società".

Forse Dominjanni dimentica che in Italia la parola lesbica è ancora una
bestemmia e i diritti civili una chimera. Dopo la figuraccia della
Sapienza vi immaginate l’impatto di un convegno all’università di Roma
con questo tema: Chi ha paura di Judith Butler?

Posted in Corpi, Fem/Activism, Pensatoio.


6 Responses

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  1. FikaSicula says

    ciao titti:
    leggi qui. alla lauretis si deve la riflessione sui “soggetti eccentrici” ma la theoria queer viene fuori con la butler…
    baci

  2. Titti says

    Solo una precisazione. Credo che il termine “queer”, o meglio “teoria queer” sia dovuto a Teresa de Lauretis e non alla Butler.

  3. FikaSicula says

    Doriana grazie a te, a voi 🙂
    sono felice di esservi stata di aiuto.
    buona butler
    e buon femminismo
    vi abbraccio

  4. doriana says

    Ora quì con mia figlia, cercavo di capire e spiegare a lei il termine queer, sono passata e ho trovato una chiara esposizione, per poi sapere meglio sull’appuntamento di oggi e perchè esserci.
    Abbiamo capito finalmente qualcosa, io non femminista ieri e mia figlia oggi, altro… in mobilità… Entrambi
    GRAZIE

  5. FikaSicula says

    claudio grazie moltissime a te che segui. anzi se hai idee di cose da dire commenta pure e noi recepiamo 🙂
    ciao

  6. claudio says

    da quando ho scoperto il tuo blog lo visito tutti i giorni, (lo messo nei preferiti, di konqueror /linux) e interessantissimo, ci sono tanti argomenti interessanti, e poi apre la mente, leggere, il vostro punto di vista, su i vari argomenti….descritto da voi donne, e non dai soliti giornalisti.

    grazie, di esserci.
    un saluto claudio.