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Donne del sud e donne del nord: Dinamiche relazionali. Vecchie e nuove colonizzazioni.

Il sud e il nord. Perenne conflitto. Io sono del sud. A scuola mi hanno insegnato a forza una lingua nazionale che poi è un’altra lingua. Mi hanno costretto a dimenticare le mie radici arabe, greche, normanne. Anche spagnole, latine, certo. La mia è la patria dei mille dialetti, delle mille influenze culturali.

La civiltà è arrivata con una sintassi sottobraccio che sapeva di chiesa e colonizzazione. Come in una qualunque isola dell’america latina. Così mi hanno insegnato a pregare, a vestirmi da donna, a comportarmi bene. Mi dicevano di disegnare casette delle bambole con camini e cocuzzoli e villaggi dominati da un enorme campanile a punta, tutto tra le montagne innevate.

Solo che in Sicilia la neve non c’e’ quasi mai e le rare montagne sono diverse.

Così le case e le chiese, tutte con le cupole barocche o alla romana, o in stile arabo. A scuola mi facevano disegnare un qualunque paesino della Svizzera tedesca e io di sicuro non ero Heidi. L’unica storia che aveva una qualche corrispondenza con la mia terra, le case, le strade, i colori, era quella di Giuseppe e Maria. Più tardi ho capito il perché.

La Sicilia è araba, africana. E’ roba del sud. L’Italia è un’altra cosa. Sono cresciuta in un costante stato di dissociazione mentale. A scuola il mondo era a punta e fuori, dove trascorrevo le mie giornate, era rotondo. Quelle curve le avevo addosso, le aveva mia madre, mia sorella, mia zia, mia nonna. Un culo da africana e una faccia da normanna.

Parlare la lingua italiana poi non basta a capirsi con i connazionali. Dove c’e’ più sole (mai stare senza) si parla volentieri a voce alta, i toni vanno in crescendo e le cose si dicono forte. Anche i pensieri filtrano con più chiarezza. Al buio, tra la nebbia, al freddo, invece, quasi si sibila. Non si fa rumore, si parla in confidenza. Le frasi restano tronche. E quando si parla un po’ più forte comunque si sibilano i pensieri. 

Così quando quelli del nord ci hanno detto di abbassare la voce, di essere più civili, di diventare più diplomatici: ci hanno insegnato l’ipocrisia, la maniera di tramare come dentro il Vaticano. E’ una banale generalizzazione? In parte.1 E’ una visione soggettiva non supportata da pareri accademici? Chi se ne frega.

A me interessa stabilire una diversità nella maniera di sperimentare e vivere le relazioni. Prendo in considerazione le donne. Non è vero che tutte si amano. No. Spesso ci odiamo. Siamo perfide, cattive, invidiose, nefaste, competitive. I nostri livelli di aggressività e rabbia possono raggiungere livelli esagerati.

Io trovo che una delle ragioni degli eccessivi livelli di esasperazione sia la frustrazione, il contenimento forzato delle emozioni, il conformismo indotto da un certo schema guida su come bisogna essere femmine e su quanta aggressività è giusto tirare fuori se si appartiene a quel genere. Ci hanno insegnato ad essere compiacenti, ad allisciare, a fare pompini per ogni cosa che vogliamo ottenere.

Ci hanno detto che le femmine non dicono le parolacce, non ridono sguaiatamente, non sono mai volgari (che significa volgarità? Per chi? Come?), non dicono mai parole come: culo, cazzo, fica, minchia (non dovrebbero dirle perchè per una donna pare non stia bene dire certe cose e non perchè frutto di una violenza epistemica – culturale, linguistica – al maschile). Ci hanno insegnato come bisogna essere per piacere, godere, vibrare, essere mangiate e mangiare. Grasse, magre, belle, brutte, di fronte, di lato, gonne lunghe, gonne corte, più scoperte, più coperte, anzi velate per lasciare immaginare…

Se pretendiamo qualcosa, se alziamo la voce, se diciamo con chiarezza quello che pensiamo (o almeno quello di cui siamo convinte in quel momento) allora siamo aggressive, cattive, troppo dirette, invadenti. Le donne che alzano la voce o che semplicemente alzano il capo per guardare più lontano vengono invitate a stare con la gobba al pari delle altre altezze. Nessuna deve emergere.

L’unico ruolo consentito è quello delle donne ombra, delle donne del branco, quelle cui i machi permettono di guardare in alto. Delle donne parassite che agiscono solo in reazione a qualcosa che altre fanno. Talvolta, anzi spesso, sono le stesse donne – altre donne – a diventare le boia della situazione. Un po’ lo fanno per invidia e un po’ per approfittarne e fare un passo avanti con la gratitudine dei machi e sulla pelle della nemica del momento. La rabbia contenuta può esplodere. Molte donne sono bombe ad orologeria. Prima o poi fanno Bum.

Così avviene che c’e’ una differenza tra chi dice e pensa da donna del sud (quella non “civilizzata” e dai toni non sibilanti) e tra chi complotta e allude da donna del nord.

Vi faccio un esempio. Qualche donna del sud nel caso in cui istintivamente prova un odio sviscerato, una antipatia feroce (senza razionalizzazioni, inutili intellettualizzazioni o giustificazioni pseudo socio-politiche) nei confronti di un’altra femmina più o meno dirà (pensando/usando termini sessisti, presi in prestito da machi, da culture patriarcali varie, farà di tutto per farsi sentire senza nascondersi dietro un comodo anonimato): 

 “Che troia! Che gran puttanazza! Guarda come fa la smorfiosa. Ma guardala. Guarda come parla, come cammina, come respira. Mi fa venire una cosa dentro lo stomaco che la prenderei a boffe pure ora, davanti a tutti. Vipera, vipera. Cancro velenoso. Merda umana. Mi fa perdere la concentrazione. Basta che lei si aggira da queste parti, io non riesco più a pensare ad altro che a come seppellirla, darle fuoco, eliminarla. E non è cattiveria, no. Mi fa schifo, ecco che mi fa. Mi fa venire la bile nel pensiero. Muori troia. Perché non muori? Ora, subito, anche domani. E soffri, cazzo. Tu non devi esistere, non devi vivere, non ci devi essere. Se non ci sei, io faccio le mie cose. Tutte buone, tutte giuste. Mi stanno a sentire, merda. Se ci sei tu penso solo a come farti a pezzi, a come ti posso fare morire, a come ti posso fare male. Ma male, proprio male. Devi ululare di dolore, e poi te ne devi andare. Hai capito? Fuori dalle palle. Merda. Troia.” 

*** 

Qualche donna del nord o dai toni civilizzati e sibilanti non toglierà il sassolino dalla scarpa come normalmente dovrebbe avvenire ma continuerà a conversare con la persona odiata. Prima farà finta di essere d’accordo con lei, di apprezzarla, di avere interesse ad avere uno scambio con lei. Poi lancerà provocazioni e irritanti allusioni che possono produrre molteplici risultati. Eccovi un esempio di dialogo: 

 “Allora si fa così? Pensi si possa fare?”

“Certo cara, penso proprio che hai ragione, in tutto!”

“Bene, allora domani si comincia!”

“Ma sei sicura che bisogna iniziare proprio domani? Preferirei aspettare che torna anche Sandra…”

“Ah come vuoi. Se pensi che lei non sia d’accordo…”

“No, non è per quello. E’ perché penso solo che dovrebbe esserci, tutto qui.”

“Ti ho detto che va bene, se è quello che vuoi. Certo non capisco. Lei ha detto che noi potevamo iniziare e lei era d’accordo su tutto. “

“Si, ma lei lo ha detto per dire. Poi magari si aspetta che invece programmiamo di iniziare con lei…”

“Secondo me tu hai paura di qualcosa e non sei sincera…”

“Ma che dici. Di cosa dovrei aver paura?”

“Di fare questa cosa seguendo le mie indicazioni, per esempio.”

“Perché, cosa cambia…”

“Appunto, cosa cambia?”

“Ma io…”

“Non mi pare tu abbia le idee chiare e penso anche che tu sia un po’ in malafede…”

“Ma che dici, stai facendo tutto tu!”

“Ma se sei stata tu ad iniziare…”

“Questa è una stronzata. Io volevo solo aspettare che ci fosse Sandra…”

“Si ma non mi hai ancora detto la ragione…”

“Mi stai aggredendo. Non mi piace come ti relazioni…”

“Ma di che relazione parli? Prima alludi e poi non mi spieghi un cazzo…”

“Ah, sei tu che non hai capito. Se non capisci io che ci posso fare?”

“Allora io sarei scema?”

“Io non ho mai detto questo…”

“Ma se mi dici che non capisco…”

“Questo non vuol dire che sei scema, ah ah. E poi scusa, perché ti stai scaldando tanto?” 

***

Il dialogo può finire in più modi. Ciascuno se crede può sperimentarne le differenti sorti. Io lo immagino con una pugnalata in pieno petto. Ma ho il gusto del macabro e per me questo sarebbe un prologo perfetto per un noir ambientato in Italia con protagoniste prevalentemente femminili.

Il titolo del noir potrebbe essere: “Le donne, in realtà, si odiano tutte tra loro” oppure “La rabbia delle donne”, ancora “Amiamo i diversi se stanno lontani da noi”. 

In una situazione di questo tipo si ha una certa difficoltà ad attribuire la sequela di cattivi pensieri (come sopra). E’ però evidente che si tratta di uno scenario da guerra di nervi, da toni sibilati (tipici del mobbing sul posto di lavoro), da maniera morbosa di produrre denigrazione, diffamazione, offesa, provocazione. E’ una di quelle situazioni in cui la parte che offende – da vigliacca e opportunista – fa finta di non offendere e non da’ alla parte offesa l’occasione per difendersi ad armi pari.2 Tutto ciò disorienta, confonde, non stabilisce linee di demarcazione tra buoni e cattivi senza tuttavia produrre una qualche, anzi auspicata, complessità che non sia racchiusa in una banale semplificazione binaria (bianco-nero; buono-cattivo;). 

Sono i toni di chi fa una merdata, eppure vuole apparire nobile d’animo, e irrita l’avversaria per suscitare una reazione aggressiva che la trasformi di colpo da vittima in persecutrice. Sono le modalità di chi finisce per trovare delle autogiustificazioni per le cattive azioni che compie: come il padre che picchia la figlia per il suo bene o l’uomo che picchia la moglie perchè certamente deve aver compiuto una cattiva azione. (Si tratta di situazioni estreme e patologiche per cui le nebbie e i contorni opachi del nord sono forse più adatti.  Il buio però – rispetto a questo genere di storie – c’e’ dappertutto. E per fortuna le donne del nord, la gente del nord, molto spesso ha il sole dentro).

Le femmine del sud, almeno quelle che conosco io, avrebbero una certa difficoltà a intravedere i contorni di una simile conversazione. Avrebbero bisogno di stabilire i confini, di seguire le regole dei raggi del sole, di illuminare i contesti.

Il sud ha una sua particolare modalità di esclusione sociale per le donne aggressive, chiare, dirette. Però induce anche una certa claustrofobia da situazioni malate, nebbiose, oscure, non chiare. Bisognerebbe fare uno scambio equo di sistemi culturali di relazione. Così le donne del nord potrebbero venire a scuola di comunicazione, senza sottintesi – senza contenimento delle emozioni – senza ipocrisie, da quelle del sud.

Quelle del sud potrebbero, potremmo andare a scuola di codici di comunicazione linguistico/gestuale tra le nebbie del nord. Così magari possiamo tutte imparare ad esprimere rabbia, dichiarare sinceramente le emozioni, smettere di mistificare facendo attenzione a riconoscere i segnali dei nostri reciproci codici di comunicazione.

Questo può essere un inizio: l’ammissione di una diversità. Io sono meridionale e con i percorsi, le storie, il vissuto, le eredità delle donne del nord non ho molto da spartire. I nostri rapporti di condivisione partono da una negazione: l’esistenza di una diversità. La mia. Questo è l’errore che secondo me ha fatto una parte del femminismo italiano. Questo è l’errore che si continua a fare nei movimenti attuali. 

 

[e.p.]                           ***************

 

Note 

1.      Delle diversità e delle generalizzazioni nel femminismo.

Di donne del nord con il sole dentro per fortuna ne conosco tante. Spesso  hanno tutte amicizie che nulla o poco hanno a che fare con il luogo in cui vivono. Per provenienza o per collocazione sociale. Ancora più spesso loro stesse hanno un vissuto di emarginazione o di lotta per affermare la propria diversità che le pone vicine al sentire meridionale. Sono insomma persone che in modo o nell’altro stanno al margine. La suddivisione è una generalizzazione voluta. Questo non vale sempre per le abitanti del nord come per le donne del sud che non sono tutte chiare e perfettamente assolate (se non nell’abbronzatura :). Approfondirò in futuro circa ulteriori divisioni nelle divisioni. Quella geografica è solo una di quelle. Le donne sono meridionali, settentrionali, ricche, povere, borghesi, precarie, dogmatiche, laiche, bianche, nere. Hanno generi diversi: sono cyborg, mammifere, lesbiche, etero, transgender, queer. Potremmo andare avanti all’infinito. Una delle più gravi forme di egemonia culturale è la non accettazione di tante e tali diversità da far sembrare le tante teorie femministe, ciascuna a proprio modo, delle inutili generalizzazioni. Immagino che qui vada applicata la formula del "partire da se’" ed è quello che tento di fare. La mia visionedelle differenze parte dalla sensazione di uno schiacciamento, di una negazione (come dicevo nel post): quella della mia diversità. Se non parto da quella non fornisco un utile pezzo del puzzle esistente. Io (è un "io" retorico) non sono contenuta nelle ricerche di sociologia perchè faccio parte di un unico stato e di una Europa imperialista e colonizzatrice. Io non sto nei libri di teoria del femminismo. Per trovare qualcosa che mi somigli devo ricorrere ai testi delle femministe nere americane o a quelle africane, asiatiche. Ho la pelle di un colore maledetto che mi condanna ad essere riconosciuta come "Uguale". Ma sono diversa. Questo per me non è un dettaglio perchè tutta la mia vita si fonda su questa originaria difficoltà.

2.  [Di contro è un approccio che consente di applicare delle distorsioni: Di forzare, cioè, l’interpretazione delle intenzioni a seconda delle distorsioni mentali delle interlocutrici. L’odio malcelato porta sempre con se’ un bel po’ di visioni distorte della realtà e dei pensieri altrui. Possiamo definire tutto ciò come un insieme di seghe mentali meglio conosciute come paranoie.]

Posted in Pensatoio.


13 Responses

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  1. Soraya says

    Ciao mi consigòieresti, se ne conosci, qualche testo sul bullismo femminile?
    Grazie

  2. FikaSicula says

    Anch’io verrò a trovarvi spesso Milla.
    Troppo belle!
    Auguri laici di buone feste 🙂

  3. Milla says

    Grande che hai risposto sul blog!
    Adesso ti linko anch’io. E stai sicura che qui sopra mi vedrai spesso 🙂
    Buon tutto!

  4. FikaSicula says

    Grazie Milla 🙂
    Che bello il vostro sito. Mi sono fatta tante risate. Non posso crederci. Voi siete di sicuro meridionalissime infiltrate per condire di panna montata e cioccolata tutta l’inviperimento nordico (o sud-dico ahaha)
    Certo che Viva la diversità. Problema è che troppo spesso equivale a invisibilità. Perciò ne parlo.
    Con orgoglio! 🙂

  5. Milla says

    Non so. Forse se andrai a vedere il blog penserai che sono una fastidiosa donna del nord.
    O forse sotto sotto vedrai il sole dentro che sono orgogliosa di avere (e che forse viene proprio dalle radici siciliane di cui sono orgogliosa).
    Secondo me le donne non si dividono in donne del sud e in donne del nord, ma in ipocrite inviperite e non ipocrite inviperite. O qualcosa del genere.
    Però ti dico un’altra cosa….secondo me l’italia così schizofrenica, scoordinata e non allineata è una cosa meravigliosa. Se lo capissimo sarebbe tutto molto meglio.
    Viva ogni più piccola goccia di diversità che stilla da questa terra italiana e da ogni donna e uomo di questa terra. Purchè ci sia l’orgoglio.

  6. FikaSicula says

    Grazie a te saltino. sono d’accordo su quello che dici. gli uomini non credo abbiano minori problemi relazionali. l’impeto al maschile credo si misuri in testosterone. io provo a narrare gli ormoni miei. non perchè il genere sia fondamentale ma perchè non voglio rischiare di dire cose che non conosco (do you remember? I tanti “Tu non puoi capire!” incombono. Spero che tu voglia raccontare dei tuoi o voglia fare un pezzo senza genere non generalizzando 🙂
    Grazie di essere passato. Ciao.

  7. saltino says

    Arrivo qui grazie a SFF,.ho trovato questo post estremamente interessante ed oltremodo ben scritto, grazie… solo che oltre a sorridere di buona parte delle tue enunciazioni vorrei portarti a riflettere su di un piccolissimo particolare di enorme importanza; se tu fossi stato un uomo avresti potuto scrivere lo stesso identico post arrivando alle medesime, identiche conclusioni. L’uinca nota dissonante fra i due post eventuali, sarebbe costituita da qualche impressione più “iconoplastica” che “sonora” … per il resto il sesso d’appartenenza lascia il tempo che trova.
    Scusa se arrivo diretto come un treno, ma tant’è.

  8. FikaSicula says

    Ti ringrazio molto saltom. E’ vero, spesso si tratta di autocolonizzazione o di complicità con le colonizzazioni (“perchè non si dica mai che…”). Anch’io amo il sud. Anch’io da quello traggo linfa e vita. Ho letto quello che hai scritto sul tuo blog e immagino la fila di gente passare per corso vittorio emanuele a palermo. E’ proprio vero: la lotta paga quando c’e’ 🙂

  9. saltom says

    a volte la chiamerei autocolonizzazione.
    da soli, per anni, ci siamo schiacciati con la chiesa e i bei modi (“sennò poi dicono che..”).
    però, a volte, il Sud mi stupisce e mi emoziona. a volte da queste terre aride di desideri e di sogni si sprigiona una forza emozionante. ad esempio questo intervento bellissimo che hai scritto!

  10. FikaSicula says

    Grazie Sifossifoco. Ho visto che mi hai anche recensito sul tuo blog: sei un mito! 🙂
    Grazie Minna. Anche a te Cyrana. Di donne del nord con il sole dentro per fortuna ne conosco tante. Spesso (come tu stessa dici) hanno tutte amicizie che nulla o poco hanno a che fare con il luogo in cui vivono. Per provenienza o per collocazione sociale. Ancora più spesso loro stesse hanno un vissuto di emarginazione o di lotta per affermare la propria diversità che le pone vicine al sentire meridionale. Sono insomma persone che in modo o nell’altro stanno al margine. La suddivisione è una generalizzazione voluta. Questo non vale sempre per le abitanti del nord come per le donne del sud che non sono tutte chiare e perfettamente assolate (se non nell’abbronzatura :). Approfondirò in futuro circa ulteriori divisioni nelle divisioni. Quella geografica è solo una di quelle. Le donne sono meridionali, settentrionali, ricche, povere, borghesi, precarie, dogmatiche, laiche, bianche, nere. Hanno generi diversi: sono cyborg, mammifere, lesbiche, etero, transgender, queer. Potremmo andare avanti all’infinito. Una delle più gravi forme di egemonia culturale è la non accettazione di tante e tali diversità da far sembrare le tante teorie femministe, ciascuna a proprio modo, delle inutili generalizzazioni. Immagino che qui vada applicata la formula del “partire da se'” ed è quello che tento di fare. La mia visionedelle differenze parte dalla sensazione di uno schiacciamento, di una negazione (come dicevo nel post): quella della mia diversità. Se non parto da quella non fornisco un utile pezzo del puzzle esistente. Io (è un “io” retorico) non sono contenuta nelle ricerche di sociologia perchè faccio parte di un unico stato e di una Europa imperialista e colonizzatrice. Io non sto nei libri di teoria del femminismo. Per trovare qualcosa che mi somigli devo ricorrere ai testi delle femministe nere americane o a quelle africane, asiatiche. Ho la pelle di un colore maledetto che mi condanna ad essere riconosciuta come “Uguale”. Ma sono diversa. Questo per me non è un dettaglio perchè tutta la mia vita si fonda su questa originaria difficoltà. Ho letto il post che mi hai indicato ed è interessante. Approfondire quella parte oscura, irrazionale e istintiva delle donne è una cosa che a mio parere (e certamente non solo mio) va fatta. Ho letto tanto su questo e mi è piaciuto il libro di Roberto Sicuteri “Lilith la luna nera”, collana psiche e coscienza della editrice Astrolabio.
    Grazie di avermi dato questo elemento di riflessione.

  11. Cyrana says

    Bel post! interessante. E’ un argomento che sento, mi batto per le donne da sempre, anche se raramente questo amore è ricambiato, per i motivi che hai descritto così bene e “fuori dai denti” nel tuo post. Però non sono d’accordo con le generalizzazioni: ad esempio, io sono una donna del nord al 100%, anche nelle radici, eppure, nonostante la nebbia e la scarsità di sole, non sussurro e non sibilo, sono chiara e diretta nelle relazioni ed esprimo le emozioni senza alcun senso della “politica”. Sarà per questo che la maggioranza delle persone amiche hanno radici meridionali? (ovviamente no: è una battuta).
    Ho scritto spesso che noi donne siamo le peggiori nemiche di noi stesse e ci facciamo fregare da millenni dall’antico gioco del “divide et impera”, ma noto qualche segnale di inversione di tendenza…sono ottimista: le donne stanno crescendo, anche se lentamente e -spero- inesorabilmente. Se hai voglia di leggerlo, lascio qui il link all’ultimo post sull’argomento:
    http://www.imperidellaluna.splinder.com/post/9350639/Dea+o+archetipo%3F

  12. minna says

    Letto tutto, complimenti.

  13. sifossifoco says

    Bravissima!