Il film Welcome
è bello per almeno un paio di motivi: descrive la normalità delle città
d’occidente riuscendo a evidenziarne le orribili storture e riesce a
disegnare la complessità dei rapporti umani quando ci sono di mezzo gli
immigrati.
Siamo a
Calais, frontiera di mare che collega la francia all’inghilterra.
Deposito in cui si riversano gli immigrati nella speranza di trovare un
modo per arrivare a londra. Un po’ come le coste libiche gestite da
quel simpaticone di gheddafi.
Ci sono
i centri di identificazione ed espulsione, esattamente come da noi,
lager nei quali si decide la vita e la morte di tante persone. Ci sono
i volontari che cercano di fare da palliativo alla fame e alla miseria
più totale. Ci sono i cittadini che subiscono una serie di restrizioni
solo per aver dato un passaggio in macchina ad uno straniero.
Protagonisti del
film un insegnante di nuoto e un ragazzo dell’iraq. Minorenne, dovrebbe
godere del diritto d’asilo, invece viene trattato come un delinquente
anche se il suo unico obiettivo è quello di raggiungere la sua ragazza
a londra. Un viaggio che per chi vive in europa sarebbe naturale e
semplicissimo da fare. Per passare da Calais a Londra alcuni immigrati
scelgono il camion. Grave inconveniente: devono trattenere il fiato e
nascondere la testa dentro un sacco perchè la polizia di frontiera usa
dei rilevatori di anidride carbonica per controllare la presenza di
clandestini a bordo dei tir. Il protagonista del film non ce la fa.
Soffoca. Si fa scoprire. Perde i 500 euro che il camionista aveva
chiesto a ciascuno degli immigrati i quali vengono rispediti indietro.
Si mette
allora in testa di arrivare a Londra a nuoto e decide di andare a
chiedere lezioni all’istruttore che diventerà l’altro protagonista del
film. Intrecciano un rapporto importante, come tra due esseri umani che
restituiscono l’uno all’altro un motivo per andare avanti. L’istruttore
non è riuscito a tenersi la compagna e il suo amico dell’iraq vuole
percorrere la manica a nuoto per non perderla.
In questa storia romanzata
lo sfondo è fatto di verità. L’istruttore viene perquisito e portato in
questura perchè ha dato un passaggio al ragazzo. Il vicino di casa lo
denuncia perchè ha dato ospitalità ad un immigrato. La questura
dichiara chiaramente che vuole fornire all’opinione pubblica un caso
esemplare: chi aiuta gli immigrati, volontari o cittadini comuni, sarà
punito. L’istruttore viene arrestato fino a che non viene rilasciato
con obbligo di firma.
Il clima
descritto è surreale: essere un semplice volontario che si occupa
umanamente degli immigrati diventa il limite per essere considerato un
criminale antieuropeo o in questo caso antifrancese.
Tutto ciò ci riporta inevitabilmente all’italia. Per l’otto marzo abbiamo detto con chiarezza "Niente mimose, chiudete i Cie". Nel frattempo sapevamo che a Torino sette antirazzisti arrestati aspettavano di conoscere la propria sorte in una città nella quale è proibito perfino mostrare solidarietà nei confronti di immigrati che pure hanno iniziato uno sciopero della fame per restituire solidarietà a quelle uniche persone dalle quali si erano sentiti aiutati.
Succede dappertutto:
dalla sicilia al veneto, dalla campania alla lombardia. L’antirazzismo
sta diventando un crimine dove legalitarismo sta per razzismo
istituzionale. In nome delle leggi approvate si sgomberano aventi
diritto asilo, minori, donne che durante il loro viaggio per arrivare
fino qui sono state stuprate mille volte nelle carceri libiche.
Per i vicini
di casa viene incoraggiata la delazione e ogni gesto di umanità
sembrerebbe sbagliato. Come avveniva nell’america razzista
dell’apartheid. Come avveniva durante il nazismo.
In una situazione che
continua a sfruttare la bugia dell’emergenza per terrorizzare le
persone e per indurle ad aver paura con ogni persona diversa da loro.
Prato, città a grande presenza di stranieri, governata dalla destra, dice che vuole un Cie in casa sua. Un Cie tutto per se’, per alleggerire le carceri e per ripulire le strade dalle etnie non gradite.
La Toscana fino
ad ora si era opposta con forza alla costruzione di un Cie. Il ministro
maroni lo impone e i due candidati alla presidenza della regione,
destra e pd, acconsentono entrambi
con la differenza che il pd ne vorrebbe uno dal volto umano. Cosa sia
un lager dal volto umano non ci è dato saperlo perchè per noi sempre un
lager resta.
Noi a questo punto ci rivolgiamo a tutte le donne
(ma anche agli uomini) che sono più o meno impegnate nelle campagne
elettorali delle varie gare in ogni regione: che ve ne fate
delle mimose se poi dovete portarle sulle tombe delle donne e degli
uomini che avete condannato a morire dentro i Cie?
A che servono le mimose se in italia le donne muoiono d’aborto per paura di essere arrestate quando vanno in ospedale?
Quando verrà il tempo in cui le donne sapranno
dire parole differenti che le distinguano dai razzisti e dalle razziste
del centro destra? Quando le donne sapranno dire che nessuna persona è
clandestina, che nessuna persona è "irregolare" e nessuna persona può
essere considerata una criminale sulla base della etnia? Quando le
donne saranno in grado di realizzare una resistenza vera contro le
parole usate fino ad ora, contro il frasario razzista, contro la
semantica distorta e nazista che sta diventando di uso comune?
Nessuna persona dovrà mai più essere sottomessa, sfruttata, discriminata. Non potete non essere d’accordo con questo e non c’è ne un ma, ne un se, ne un però. E’ così e basta.
E poi: sapete
che essere antirazzist* è più seducente? Volete mettere la sensualità
di un@ antirazzista? Volete mettere la sensualità di una idea? Volete
mettere quanto può attizzarvi l’intelligenza?
—>>>13 marzo, Roma, sit in contro i Cie a Ponte Galeria
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