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Dialoghi intorno all’affidamento condiviso: il mantenimento dei figli!

Quarto appuntamento con Marino Maglietta, il quale ha elaborato e proposto le norme e le modifiche alla attuale legge dell’affido condiviso (54/2006). QUI il suo primo intervento introduttivo. QUI ci racconta qual è stata l’origine della riforma. QUI ci siamo occupati di collocazione e frequentazione del bambino. Appuntamento fisso su questa materia con altre domande e risposte che toccheranno un altro aspetto della proposta a tra sette giorni. Buona lettura!

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Una delle questioni che il Prof. Maglietta si propone di affrontare con la nuova proposta di legge a modifica della 54/2006 è quella del mantenimento diretto dei figli. Può spiegarci, per favore, qual è la situazione attuale e in cosa esattamente consisterebbe la modifica proposta?

Abbiamo una legge che si esprime sul punto in modo quanto mai chiaro e coerente con i diritti riconosciuti ai figli al primo comma dell’art. 155 c.c. Se i figli hanno diritto ad essere accuditi da entrambi i genitori, entrambi affidatari, è logico che entrambi debbano provvedere ai suoi bisogni e non ha senso disporre che il padre dia dei soldi alla madre perché faccia tutto lei, come si fa oggi, mettendosi a vivere da scapolo impenitente. Quindi la forma dovrebbe essere diretta, ossia si dovrebbe solo assegnare a ciascun genitore l’obbligo di coprire alcune necessità: uno paga l’affitto e la scuola, l’altro l’abbigliamento e lo sport. Fermo restando che la scelta dei capitoli di spesa sarà proporzionale alle rispettive risorse, attribuendo al più abbiente le voci più pesanti, e che comunque, se neppure così ci si fa a rispettare la proporzione (ad es., madre casalinga e senza redditi)  ci sarà un assegno, ma con valore perequativo. Oggi questa logica prescrizione viene totalmente ignorata dai tribunali. La “nuova” proposta è solo una riscrittura del testo per impedire una sfacciata violazione di legge.

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Posted in Affido Condiviso.

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Donne #Pd, securitarismo e salvaguardia del sedere della badante

donnelibertàda Abbatto i Muri:

Riassumevo ieri delle donne del Pd e Snoq che a Perugia hanno invitato Loredana Lipperini a presentare il libro sul femminicidio che lei ha scritto con Michela Murgia. Come Loredana scrive nel suo report ha finito, suo malgrado, per fare la foglia di fico di un incontro in cui del libro non s’è praticamente parlato, con le presenti che si barcamenavano con argomenti alquanto opinabili per difendere il Dl Femminicidio che evidentemente non solo rivendicano ma non hanno alcuna voglia sia modificato. Alla faccia delle 60 pagine di ragioni che Barbara Spinelli ha scritto per smontare quel mostro normativo securitario e repressivo che orienta solo soldi in direzione di polizie ed esercito legittimando autoritarismi anche contro migranti (il furto di rame) e NoTav (l’uso dell’esercito per rafforzare ordine pubblico e ampliamento zone di vario interesse da mettere in “sicurezza”).

Tra tanto bla bla si è inserita dal pubblico La PantaFika (QUI il suo report) che è intervenuta per ragionare di precarietà, reddito, perché se la precarietà non viene considerata violenza non si capisce di che parliamo. Tra le risposte ottenute:

Ma adesso, con tutto il rispetto per la tua condizione, non possiamo discutere di questo

Allora i vecchietti che toccano il sedere alla badante? per te non è violenza quella?” (detta da una senatrice)

E dunque: la prima frase mi ricorda l’atteggiamento già registrato in altri due appuntamenti targati Pd/Snoq. Uno a Torino, in cui si legittimava la ex Ministra Fornero in quanto che la violenza sarebbe una cosa sganciata dalle leggi economiche terribili che ella ha contribuito a sdoganare e l’altro a Milano in cui una donna si recò per raccontare la violenza dello Stato che non le garantiva neppure la pensione. In entrambi i casi quelle donne sono state trattate da disturbatrici, così per La Pantafika che, secondo quanto potete leggere anche qui, si è provato a fare passare da provocatrice.

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, Precarietà, R-esistenze.


Se non hai perso la verginità (da lavoro precario) a 25 anni…

da Abbatto i Muri:

Dice la ministra all’istruzione che se arrivi vergine di lavoro precario all’età di 25 anni allora non va bene. Bisogna sudarsela come si deve quell’età perché studiare e basta non fa più figo. L’attuale governo, come d’altronde quello precedente, promuove il modello “precario e non istruito è meglio”, perché più gente istruita arriva a 25 anni, forse, e più gente consapevole e incazzata nelle piazze si ritrovano a rivendicare diritti che nessuno ti concede.

Cosa figherrima è che non promuovono neppure, come usava ai tempi antichi, la possibilità d’apprendistato che poi ti regalava un mestiere. Proprio no. Ti parlano di fatica aggratis, senza maturare alcuna qualifica a garanzia di una mobilità professionale. Ti parlano di una fatica che ti serve a malapena per campare, di modo che arrivi all’università, semmai ci arrivi, completamente massacrato, già bell’e disilluso, stanchissimo o che comunque ti sei perso per strada gli studi perché se si lavora, e chi lavora faticosamente questo lo sa bene, in special modo se in maniera precaria, da sfruttato, in nero, poi di studiare non si ha più il tempo. Chi poi, malauguratamente, insiste e non si fa piegare e prova ugualmente a continuare gli studi, per tentare di trovare uno sbocco professionale differente che sia quello del camerierato a vita, si trova ad avere a che fare con il ritardo ormai cumulato. Dunque forse ti laurei fuori corso. Ti fottono quando immagini di poter ambire anche ad uno stage in nero. Non sei più in età appetibile da apprendistato. E nel frattempo magari hai messo su famiglia e tutto questo perché c’è chi mette sulla tua strada una serie di incentivi alla precarietà che tolto di mezzo te lasciano spazio, come sempre, ad una società di pochi, illustri, dottori e dottoresse, distinti da te da una differenza di classe non indifferente.

C’è dunque che la ministra ti dice che non puoi arrivare ad una certa età avendo studiato e basta. E te lo dice la ministra all’istruzione che forse immagina che lo studio non sia lavoro, non sia fatica, non sia un investimento sul tuo futuro e su quello del paese in cui scegli di vivere, nonostante tutto ‘sto po’ po’ di disincentivi.

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Posted in Comunicazione, Pensatoio, Precarietà, R-esistenze.