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#Germania: Il giornalismo spazzatura di Der Spiegel sulle sex workers

der-spiegel-mock-cover-matthias-lehmannDa Abbatto i Muri:

Articolo tradotto da Annarella della nostra lista Traduzioni Militanti. Buona lettura!

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La prostituzione legale realmente aumenta il traffico di esseri umani in Germania?

Postato da feministire

Guest post di Matthias Lehmann e Sonja Dolinsek

[I sostenitori della campagna irlandese per criminalizzare i clienti de@ lavorat@ del sesso (sex workers) hanno regolarmente fatto riferimento all’esperienza tedesca come ‘prova’ del fallimento della legalizzazione – a prescindere dal fatto che in realtà nel dibattito irlandese nessuno abbia rivendicato il modello tedesco. Un recente articolo nella rivista tedesca Der Spiegel apparentemente supportava la prospettiva che la legalizzazione avesse fallito, e questo è stato raccolto e citato dai sostenitori della criminalizzazione in Irlanda. In questo post, tradotto dagli autori dall’originale in tedesco, due ricercatori basati a Berlino spiegano che cosa c’è di sbagliato nell’articolo di Der Spiegel]

La settimana scorsa la principale rivista tedesca ‘Der Spiegel’ ha pubblicato in copertina una storia sul presunto fallimento della legge tedesca sulla prostituzione (ProstG) che avrebbe reso lo stato complice nel traffico di esseri umani. Nonostante i profondi vizi di questo rapporto, esso non riesce comunque a coprire una serie di aspetti rilevanti né a proposito della prevenzione e della condanna del traffico di esseri umani, né della protezione delle vittime. Inoltre non riesce ad inserire prove fattuali così necessarie all’interno del più ampio dibattito globale sul traffico di esseri umani, e che riguarda anche i diritti sul lavoro, la migrazione, la sostenibilità delle catene di supporto ed i diritti umani. Der Spiegel pertanto contribuisce ad un dibattito molto ristretto sul traffico di esseri umani, e al dibattito sbagliato sul lavoro sessuale.

Questa è una versione ridotta di un nostro più ampio post sul blog “menschenhandel heute”. In questo contesto vogliamo confrontarci criticamente con la comunità internazionale sulla difficile relazione tra traffico di esseri umani e lavoro sessuale.

Il mito della legalizzazione

La prostituzione, intesa come vendita di servizi sessuali, è legale in Germania sin dal 1927 (since 1927). Inoltre i/le lavorat@ del sesso in Germania sono stati obbligati a pagare le tasse sin dal 1964. La nuova legge sulla prostituzione del 2002 (new prostitution law of 2002) ha cambiato alcuni aspetti riferiti alla relazione legale tra i/le lavorat@ del sesso ed i clienti, ed alcune disposizioni del codice penale. Ha riconosciuto come legale il contratto tra i/le lavorat@ del sesso ed i clienti, ed introdotto i diritti dei/delle i/le lavorat@ del sesso che oggi possono fare causa a clienti che non vogliono pagare i servizi sessuali già forniti. Inoltre, i/le lavorat@ del sesso hanno ricevuto il diritto all’assicurazione sanitaria e alla sicurezza sociale. La legge inoltre vieta ogni costrizione (Weisungsrecht) da parte del datore di lavoro allorchè i/la lavorat@ del sesso è per esempio impiegato/a in un bordello. In questo modo, un/a lavorat@ del sesso sarebbe sempre in grado di determinare a quali pratiche sessuali desidera consentire oppure no. Ciò che in modo fuorviante è chiamato ‘legalizzazione’ della prostituzione è in realtà il riconoscimento del lavoro sessuale come lavoro.

Ciononostante, la legge ha incontrato opposizioni nel processo di implementazione. Piuttosto che la legge stessa, come sostiene Der Spiegel, ciò è riconducibile all’indisponibilità di alcuni stati tedeschi ad implementarla in maniera corretta. La struttura federale tedesca richiede a ciascuno stato di redigere le proprie disposizioni esecutive – ciò che, come ci spiega la professoressa di Scienze Politiche Rebecca Pates, non è avvenuto in stati quali la Bavaria o la Sassonia. Secondo Pates, alcuni stati in realtà non hanno mai implementato la nuova legge a causa di riserve morali nei confronti della prostituzione. Nel suo articolo “Leggi liberali contrapposte a controlli rigidi: una analisi delle logiche che governano il lavoro sessuale in Germania” (“Liberal Laws juxtaposed with rigid control: an analysis of the logics of governing sex work in Germany”, 2012), Pates afferma che “Il ProstG potrebbe effettivamente contraddistinguersi in quanto unica legge federale intenzionalmente non implementata dall’amministrazione pubblica tedesca”. Altri ricercatori hanno presentato risultati simili. Le sue argomentazioni sono sostenute da un rapporto governativo ufficiale del 2007 (una versione breve in inglese si può trovare qui),che identifica una delle ragioni del suo fallimento nell’indisponibilità politica a realizzare la legge. L’analisi di Der Spiegel ignora questo fatto.

Tecnicamente, la prostituzione non è legale ovunque in Germania. Molti stati proibiscono la prostituzione in aree vicino a scuole, chiese, ospedali, aree residenziali, e molte città hanno definito aree ed orari ristretti (Sperrbezirke) nei quali la prostituzione non è consentita. Alcune città dichiarano l’intera città come zona ristretta, generalmente con l’eccezione delle zone periferiche buie e pericolose, oppure consentono la prostituzione solo di notte. Inoltre, molti stati proibiscono la prostituzione in città con meno di 30.000 abitanti. Questo rende la prostituzione de facto illegale nella maggior parte dei luoghi e degli orari, ed i/le lavorat@ del sesso ricevono multe o condanne penali se violano le restrizioni. Inoltre, il lavoro sessuale non è consentito per cittadini extra-europei (cittadini di paesi terzi), che se si prostituissero infrangerebbero i requisiti di residenza. I cittadini extra-europei che svolgono lavoro sessuale sono pertanto criminalizzati e resi vulnerabili non dalla legge, ma perché sono esclusi dalla legge. Pertanto, l’incompleta legalizzazione della prostituzione potrebbe essere la vera ragione per cui la legge sulla prostituzione in Germania da un lato sta fallendo nel suo proposito di proteggere i/le lavorat@ del sesso, e dall’altra parte perché la maggior parte delle vittime del traffico di esseri umani provengono da paesi terzi.

“Protettori” in Germania e la guerra dei numeri

La riforma ha introdotto nuove disposizioni nel codice penale. Come correttamente rilevato da Der Spiegel, il crimine di ‘induzione alla prostituzione’ (promotion of prostitution) è stato sostituito con ‘sfruttamento della prostituzione’. Nella sua risposta alla storia di copertina di Der Spiegel, l’avvocato Thomas Stadler spiega che:

L’affermazione che l’azione dei papponi costituirebbe un crimine soltanto nel caso in cui si trattasse di sfruttamento o fosse ‘organizzata in modo dirigista’ – ciò che è difficilmente verificabile – è quantomeno tendenziosa. Secondo le norme legali prevalenti, le attività di sfruttamento (‘PIMPING’) sono quelle nelle quali qualcuno sfrutta una persona che lavora come prostituta/o, ne controlla il lavoro per trarne vantaggi pecuniari, decide il luogo, tempo, estensione od altre circostanze di tale lavoro o prende misure per impedirle di uscire dalla prostituzione – e tutto ciò in forme che vanno al di là di un incidente isolato. Come in altri procedimenti penali, potrebbero esserci casi individuali laddove le prove sono difficili da dimostrare. Ciononostante occorre chiedersi che cosa sia realmente lo sfruttamento e come il legislatore dovrebbe definirlo. Secondo le norme legali precedenti, si potrebbero costruire casi sulla realizzazione di una atmosfera piacevole che renderebbe virtualmente chiunque un ‘protettore’ che ricopre un qualche tipo di funzione all’interno dell’orbita di una prostituta. Il calo nelle condanne potrebbe pertanto anzitutto risultare dalla rimozione di misure giuridiche discutibili. E certamente non si tratterebbe di un passo indietro”.

Inoltre, è stato introdotto il nuovo crimine di “traffico a scopo di sfruttamento sessuale”. Come rileva Stadler:

Il traffico di esseri umani è certamente un crimine. Nel §232 StGB, il codice criminale contiene addirittura uno specifico articolo che disciplina il traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Il livello della pena varia tra i 6 mesi ed i 10 anni. Introdotto nel 2005, questo articolo configura un aumento notevole rispetto alla precedente norma §180b StGB sia in termini di contenuto sia di ampiezza della pena. Poiché questo articolo include la cosiddetta ‘prostituzione forzata’ – il vero tema dell’articolo di Der Spiegel – il messaggio della copertina di Der Spiegel è completamente inesatto. Un rapporto sincero avrebbe invece dovuto indicare che il legislatore già nel 2005 ha introdotto misure molto più pesanti nella penalizzazione della ‘prostituzione forzata’. Pertanto, sostenere che lo Stato promuove il traffico in donne e promuove la prostituzione è assurdo. E’ piuttosto vero il contrario. Il legislatore ha aumentato le pene per la ‘prostituzione forzata’ ed il traffico di esseri umani.

Pertanto, insieme al rafforzamento dei diritti sul lavoro per i/le lavorat@ del sesso è arrivata contestualmente una legge criminale più forte, che definisce come un crimine sia lo sfruttamento dei/delle lavorat@ del sesso, sia il traffico di esseri umani a scopo sessuale.

Der Spiegel suggerisce che il caso di Sina, 16 anni, forzata a lavorare in un bordello a tariffa forfettaria, rappresenta l’esempio tipico del fallimento della legge tedesca sulla prostituzione, in quanto la legge non la proteggerebbe. D’altronde, secondo la legge tedesca è un crimine impiegare una persona minore di 18 anni in un bordello. Pertanto, la situazione di Sina non ricade nelle fattispecie che la legge sulla prostituzione vuole trattare, e pertanto la legge in questo caso non fallisce. Il fallimento del sistema legale nei confronti della sua situazione così come di quella di altre vittime di sfruttamento è da ricercare altrove.

Contrariamente a quanto sostenuto da Der Spiegel, con la nuova legge il numero di condanne per ‘PIMPING’ (sfruttamento) non è né diminuito né aumentato in maniera statisticamente significativa. Der Spiegel sostiene che 32 ‘protettori’ accertati sono stati condannati nel 2011, contro 151 nel 2000. D’altronde la risposta di un impiegato governativo ad una richiesta parlamentare del 1997 mostra che il basso numero di condanne per ‘PIMPING’ erano effettivamente un trend: nel 1994 ne erano state stabilite soltanto 39. I numeri dell’ufficio federale statistico indicano sviluppi simili.

Secondo le statistiche ufficiali, il numero di vittime accertate del traffico di esseri umani è diminuito significativamente negli ultimi 15-20 anni. La stessa risposta governativa del 1997 menzionava 1.196 vittime di traffico di esseri umani nel 1995 e 1.473 vittime nel 1996, mentre le statistiche registrate negli ultimi quattro anni mostrano numeri che si attestano stabilmente su una media di 610-710 vittime di traffico di esseri umani a scopo sessuale (ex. 640 vittime nel 2011).

Anche il traffico di esseri umani a scopo lavorativo è un crimine, che però finora non è riuscito ad attirare molto interesse da parte del pubblico tedesco. Ricerche recenti hanno mostrato che fino a un po’ di tempo fa, anche i centri di ascolto e supporto per le vittime di traffico di esseri umani erano generalmente inconsapevoli della possibilità dell’esistenza di traffico a scopo lavorativo, ed impreparati a fornire supporto adeguato. La generale mancanza di interesse verso il traffico a scopo lavorativo è riflettuta nel basso numero di vittime identificate: solo 32 nel 2011.

Quindi, dov’è il vero problema?

Le più grandi omissioni di Der Spiegel in tema di traffico di esseri umani sono la protezione della vittima ed i diritti delle vittime. Un focus ristretto sulla legge sulla prostituzione e sul lavoro sessuale impedisce agli autori di affrontare la rete molto più complessa di disposizioni legali che rendono difficile la prosecuzione di casi di traffico di esseri umani in Germania.

Prima di tutto, i casi di traffico di esseri umani dipendono dalla testimonianza delle vittime. Se per qualche motivo esse non vogliono cooperare con la polizia e non vogliono testimoniare, molto probabilmente i loro casi decadranno. Inoltre, il supporto psicologico alle vittime del traffico di esseri umani è molto limitato. In molti casi gli ufficiali di polizia ed investigatori si aspettano di ottenere dalle vittime fin dall’inizio narrazioni lineari e coerenti, e non considerano affatto la fattispecie di qualunque trauma che esse avrebbero potuto subire fino a pochi momenti prima. Le vittime pertanto non sono soltanto forzate a raccontare le proprie esperienze più e più volte, mentre i loro traumi sono vivi e freschi, ma la loro credibilità come testimoni sarà anche giudicata e confutata se per qualche motivo le loro storie dovessero mostrare delle incongruenze.

Prima di parlare della legge sulla prostituzione, parliamo di come le (potenziali) vittime del traffico di esseri umani sono trattate una volta che sono trovate dalla polizia, e parliamo di come quelle pratiche potrebbero in effetti ridurne al minimo la volontà di testimoniare.

In secondo luogo, la maggior parte delle vittime di traffico di esseri umani che sono cittadini di paesi terzi o della Romania o Bulgaria, sono rimpatriate nei loro paesi di origine dopo aver testimoniato. Se non testimoniano o non cooperano con le autorità, saranno invece immediatamente deportate dopo un periodo di riflessione di tre mesi. Molti si lamentano dell’indisponibilità delle vittime a testimoniare come una delle ragioni centrali per il fallimento nella prosecuzione dei casi di traffico di esseri umani. Finora però è stato fatto poco in termini di rafforzamento dei diritti delle vittime per incoraggiarne la testimonianza e la cooperazione. Ciò che Der Spiegel non riesce a comprendere è che una riforma della legge sulla prostituzione non avrebbe alcun tipo di impatto su questa dimensione. Concentrandosi soltanto sulle vittime, gli autori rischiano di utilizzare la pericolosa retorica dell’incolpare le vittime, e pertanto non considera non tanto come la legge sulla prostituzione, ma piuttosto come la legge sull’immigrazione in Germania contribuisca a generare molta della vulnerabilità delle donne migranti che sono rese vittime. La Germania dovrebbe piuttosto guardare all’Italia, dove alle vittime di traffico di esseri umani è riconosciuto un permesso di soggiorno in modo incondizionato e possono cominciare a ricostruire le proprie vite (ndb. ciò non toglie che in Italia le vittime di tratta siano spesso rinchiuse nei Cie, centri per identificazione ed espulsione, e poi espulse).

Infine, finora la Germania ed i media tedeschi non hanno colto l’opportunità per ampliare il dibattito pubblico sul traffico di esseri umani e sulla schiavitù contemporanea e per inserire il traffico a scopo lavorativo, il traffico di organi, ed anche lo sfruttamento del lavoro nelle catene di approvvigionamento delle grandi imprese. Invece, il termine ‘traffico di esseri umani’ è spesso usato dai media, politici ed anche attivisti, come equivalente a prostituzione – pertanto perpetuando un pregiudizio selettivo nei confronti delle donne nell’industria del sesso. Vittime di altro genere od in altri settori incorrono non soltanto nel rischio molto alto di non essere mai individuate, ma anche di non essere mai credute. In questo senso, crediamo che Der Spiegel non abbia rispettato il proprio autodichiarato impegno nei confronti delle vittime di traffico di esseri umani – in quanto la maggioranza ne è convenientemente lasciata al di fuori, mentre altri, quali i/le sex workers, le lavorator@ del sesso (migranti) autodeterminati/e, semplicemente non sono vittime di traffico di esseri umani.

La storia e la rappresentazione di Carmen, una lavoratrice del sesso di Berlino

La versione cartacea della storia di copertina di Der Spiegel includeva anche come supplemento il profilo di Carmen, una lavoratrice del sesso di Berlino. Carmen lavora come escort e come attivista per i diritti de@ sex workers, un ruolo che svolge anche come membro del Partito Pirata (Pirate Party) tedesco. Carmen ha reagito a questo profilo pubblicando una dichiarazione (counterstatement) nella quale cita lo scambio di email avvenuto con il giornalista di Der Spiegel prima dell’intervista e della pubblicazione. Carmen scrive che contravvenendo agli accordi presi, il profilo trattava solo marginalmente dei suoi ‘pensieri sulle politiche in materia di prostituzione, del movimento per i diritti de@ sex workers, discriminazione de@ sex workers ed altri temi pertinenti. Mentre Carmen aveva accettato l’intervista per introdurre ‘ragionamenti anziché pregiudizi nel dibattito pubblico sulla prostituzione, fornendo spunti concreti rispetto ad una occupazione alla quale la maggior parte delle persone non ha accesso’, l’80% del suo profilo conteneva invece la descrizione del suo aspetto fisico e del suo website di escort.

Non sono disponibile ad essere trasformata in uno schermo di proiezione di qualsiasi cliché. Non risponderò ad alcuna domanda personale al di fuori del mio lavoro nella prostituzione/politica’ ha scritto Carmen prima dell’intervista.

Inoltre, Der Spiegel ha modificato la foto che Carmen aveva ad uopo fornito. Mentre l’oscuramento della sua faccia senza il suo consenso l’ha resa anonima, le correzioni di colore hanno efficacemente evidenziato il suo décolleté, esacerbando il tono complessivo dell’articolo.

Dopo che la dichiarazione di Carmen è diventata virale, il giornalista ha pubblicato una propria dichiarazione (counterstatement) sul blog di Der Spiegel, eventualmente attirandosi ulteriori critiche. Sotto il titolo ‘Una lady escort fa politica: sii sincera’, ha ammesso di aver alterato l’immagine in modo non consensuale, ma ha sostenuto di averlo fatto per proteggere la privacy di Carmen, anche se lei non aveva chiesto esplicitamente alcuno di quei cambiamenti. Per quanto riguarda il focus ed il tono dell’articolo, ha invocato la libertà di stampa.

Curiosamente, Der Spiegel ha anche cercato di limitare il danno inviando tweets ad hoc a coloro che avevano twittato la dichiarazione di Carmen; mentre nella sua verione internazionale Der Spiegel ha scelto di omettere completamente il profilo di Carmen, pertanto rimuovendo l’unica voce – per quanto mal rappresentata – che contrastava la narrazione di copertina che sosteneva il fallimento della legalizzazione della prostituzione in Germania.

Der Spiegel ha anche pubblicato una raccolta di foto (photo series) per sostenere la narrazione contenuta nell’articolo, che includeva immagini voyeuristiche (voyeuristic images), una foto di Christine Bergmann, la Ministra Federale per gli Affari di Famiglia ai tempi della promulgazione della legge tedesca sulla prostituzione (della quale sembra non ci fosse disponibile alcuna altra immagine se non quella dove si trova davanti ad un cartello sull’abuso infantile), una foto angelica dell’attivista anti-prostituzione Kajsa Ekis Ekman, ed in contrapposizione, una foto poco lusinghiera di Volker Beck, portavoce dei Verdi tedeschi sui diritti umani e convinto sostenitore dei diritti dei lavoratori del sesso.

A proposito degli autori

  • Sonja Dolinsek è laureata in Storia e Filosofia Contemporanea all’università Humboldt di Berlino. Il suo progetto di ricerca si concentra sulla storia della prostituzione nella Repubblica Federale Tedesca dal 1949, con un interesse particolare nella costruzione di genere dei lavoratori del sesso. E’ inoltre la fondatrice ed editrice di un blog tedesco di notizie sul traffico di esseri umani , nel quale dibatte in modo critico i discorsi e le pratiche anti-traffico di esseri umani. Inoltre è una traduttrice su basi volontarie per la PICUM (Piattaforma per la Cooperazione Internazionale sui Migranti). Vive a Berlino, in Germania.
  • Matthias Lehman è un ricercatore tedesco indipendente che è attualmente basato a Berlino dopo lunghi soggiorni in Asia Orientale. Laureato alla School of Oriental and African Studies (SOAS) ed all’università di Kyung Hee, ha condotto ricerca e lavoro di campo in Tailandia ed in Corea del Sud. Nel 2012 ha partecipato al Festival della Libertà dei lavoratori del sesso che si è tenuto a Calcutta, nodo ufficiale della Conferenza Internazionale sull’AIDS. La sua ricerca si concentra sui danno collaterali causati dalla legislazione contro il traffico di esseri umani e contro la prostituzione, con particolare riferimento ai diritti di lavoratori del sesso e migranti. Attraverso il proprio progetto di ricerca (research project,)attualmente in corso, ambisce a contribuire alla conoscenza delle esperienze dei lavoratori del sesso in Corea del Sud.

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Risorse:

—>>>il network delle organizzazioni europee composte da sex wokers: http://www.sexworkeurope.org

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