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#Barcellona: La parola puttana ci dà potere!

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Da Abbatto i Muri:

Un’intervista pubblicata in video e testo su LaVanguardia.com. Traduzione e revisione grazie a Rossella e Claudia del gruppo Traduzioni Militanti a supporto dei/delle sex workers. Buona lettura!

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“La parola puttana ci dà potere”

La prostituta e terapeuta sessuale Conxa Borrell è una delle professioniste che impartiscono i corsi di sesso a pagamento che si stanno tenendo a Barcellona

Lavorare nel mondo del sesso a pagamento non è facile”. Con questa premessa, e dopo sette anni di esperienza nel settore della prostituzione, la terapeuta Conxa Borrell ha deciso di mantenere una promessa che fece a se stessa quando iniziò a lavorare coi suoi primi clienti: metter su dei corsi di formazione per le donne che iniziavano o che desideravano avere maggiori informazioni sul sesso a pagamento. La solitudine e la vergogna sono, secondo Borrell, due degli stigmi con cui deve fare i conti una puttana che vuole esercitare liberamente la sua professione. La terapeuta ritiene che la parola puttana dia loro potere, e invita la società ad accantonare i pregiudizi morali e a umanizzare il settore del sesso a pagamento e i suoi clienti, che considera uomini normali con molte carenze affettive. “Il mantra che tanto si sente ripetere, secondo cui i clienti ci vessano, ci umiliano e ci violentano ogni volta che abbiamo un appuntamento con loro, è falso”. Borrell respinge le critiche che hanno ricevuto questi corsi da parte di alcuni collettivi di donne e confessa di essersi sentita “vessata, umiliata e violentata dai loro commenti e dalle loro bugie che pretendono di raccontare un lavoro di cui non conoscono assolutamente niente”. La prima sessione di questi corsi, organizzati dalla Asociación de Profesionales del Sexo (APROSEX), e che conta anche sulla consulenza della psicologa clinica Cristina Garaizábal, ha avuto talmente tanto successo che si è deciso di farne una seconda questo stesso fine settimana.

 

Cosa l’ha spinta ad avviare un corso di prostituzione?

– L’idea mi è venuta nel momento in cui iniziai a lavorare come prostituta, otto anni fa. All’epoca non sapevo a chi rivolgermi, a chi chiedere consiglio, dove portare i miei clienti, come gestirli, ecc.  È stato allora che mi sono chiesta come fosse possibile che non ci fosse nessuno a impartire un corso per quelle come me alle prime armi.

Si sentiva insicura, insomma.

– Il mio è un settore in cui ti chiudi dentro quattro pareti con una persona che non conosci minimamente, e il tuo lavoro consiste nel creare un clima intimo. Mi è mancato molto non avere qualcuno che mi insegnasse a gestire tutto questo, perciò promisi a me stessa che, se avessi continuato nel settore del sesso a pagamento, sarei stata io a dare impulso a quest’iniziativa.

Come si sentiva in quel momento, e con chi si è confidata?

– La solitudine è l’aspetto peggiore di questo lavoro. Fare sesso con sconosciuti è qualcosa che metti in conto nel momento in cui decidi di dedicarti alla prostituzione, ma c’è anche la solitudine di non poter raccontare a nessuno come ti guadagni da vivere, di dover mentire alle persone che vivono con te, compresi i tuoi genitori o il tuo stesso partner. Significa inventarti una vita parallela per giustificare certe entrate che ti fanno sentire in colpa, non perché tu stia facendo qualcosa di male, ma perché se sei prostituta la società ti stigmatizza.

La parola puttana non ha nessuna accezione positiva nel contesto in cui viviamo…

– A me piace usarla, perché credo che dia potere alle sex workers. È la nostra parola.

È diventata puttana per necessità economica?

– All’epoca in cui presi questa decisione avevo due lavori, ma quello che guadagnavo non mi bastava per vivere. Mantenni il lavoro come contabile in un’impresa di servizi, e la sera cominciai a esercitare la prostituzione.

I suoi cari hanno capito la sua decisione, o si è vista costretta a creare una vita parallela?

– Sono stata quattro anni a nascondermi, solo tre anni fa sono uscita allo scoperto. Ti posso assicurare che questi tre anni sono stati il massimo della gratificazione.

Perché ha deciso di dirlo?

– Non si può vivere così. Sai che significa guardare negli occhi le persone che ami e mentire loro tutti i giorni sulle cose che hai fatto? Mentire a tuo figlio quando ti chiede perché hai fatto tardi quel giorno? Per noi madri, le persone più importanti nella vita sono i nostri figli, e quello che mi faceva stare più male era guardare negli occhi mio figlio e dovergli mentire.

Lei crede che nella nostra società sia possibile esercitare la prostituzione e condurre una vita normale?

– È chiaro che non tutti gli uomini sono in grado di accettare che il tuo lavoro è andare a letto con altri uomini. Hai bisogno di un partner con una mente aperta. Ma per il resto la nostra vita è assolutamente normale. Non andiamo per strada col cartellino con scritto “sono puttana”: facciamo la spesa al mercato, accompagniamo i nostri figli a scuola, siamo figlie, madri o sorelle. Non diamo le spalle alla società, ma siamo parte di essa.

Il sesso crea dipendenza. Le è mai successo di volere smettere e di non riuscirci?

– No, non è vero che il sesso crea dipendenza, a meno che uno non abbia una malattia concreta, e in quel caso sono persone che non si dedicano al sesso a pagamento, perché dipendono molto dai loro impulsi ma non lo fanno per professione. Il nostro lavoro è molto più che fare sesso, una penetrazione o aprire la bocca per  fare una fellatio. Il sesso è qualcosa di molto più ampio, bisogna creare un ambiente accogliente nel quale sia tu che la persona che hai appena conosciuto possiate sentirvi a vostro agio. I clienti di sesso a pagamento sono gli stessi uomini che trovi per strada. Niente li identifica come uomini che vanno a puttane, così come a noi niente ci identifica come puttane. Il sesso non è una droga, non crea dipendenza, a meno che tu non sia predisposto. Ci sono moltissime donne che smettono perché non gli piace il lavoro che fanno: ottengono il loro obiettivo e spariscono.

Vedo che il suo discorso cerca di umanizzare la professione del sesso a pagamento…

– Quando un uomo cerca sesso a pagamento, sbirciando la sezione dei contatti o tramite internet, e sceglie donne che si offrono in maniera libera e volontaria, crede realmente di stare cercando uno sfogo sessuale, e che quello che lo attende è una fantastica relazione sessuale, senza legami, e niente di più. In genere, quello che poi trovi sono esseri umani coi loro problemi e le loro carenze affettive, e che nel momento in cui sono chiusi in una stanza con te ti chiedono più spesso di accarezzargli la schiena o i capelli, piuttosto che di rendergli un servizio prettamente sessuale. Si notano molto le carenze affettive in questo lavoro, e per questo una parte del corso è rivolta a insegnare alle donne a dare e a ricevere l’affetto che i clienti ci danno.

Succede di frequente che riceviate affetto dai clienti?

– Molto di frequente. Il primo interessato a che l’incontro vada bene è il cliente, dato che è lui che paga. È lui stesso che cerca di creare un clima di fiducia, tranquillità e sicurezza, che ti faccia sentire a tuo agio. Questo crea un’empatia tra voi due, fatta di molto affetto e umanità. Una delle cose che gli uomini preferiscono è procurare piacere, lo adorano. Una relazione sessuale a pagamento è esattamente uguale a una non a pagamento, la differenza sta in una busta che contiene tutte le condizioni che vogliamo che il cliente rispetti. Una brava professionista dev’essere una buona amante, deve saper risolvere problemi di stress, eiaculazione precoce, ecc.

Al punto che, a volte, si finisce per non consumare l’atto sessuale?

– Accade spesso.

Quest’aspetto umano è più ricorrente nella prostituzione di lusso?

– Questo termine non mi piace. Noi stiamo molto in contatto con le donne che lavorano per strada, e infatti tre anni fa ho avuto la fortuna di partecipare a una conferenza sulla prostituzione e sui clienti, che si è tenuta a Madrid, dove ho conosciuto una ragazza che incontrava i suoi in un poligono, ma in fondo avevano lo stesso profilo dei miei. Le chiedevano le stesse cose: affetto, baci, carezze, conversazione, e molte volte se ne andavano senza aver scopato. Normalmente, quando un uomo cerca sesso a pagamento in rete, crede di aver bisogno di sesso, ma appena arriva da noi si lascia andare e fa emergere un’altra carenza molto più umana e affettiva.

Nel programma del corso ci sono vari punti che insistono sulla necessità o meno di dedicarsi a questa professione. Provate prima di tutto a convincere le donne a non prostituirsi?

– Dedichiamo quattro punti del corso a scoraggiarle (ride). Questo è un lavoro veramente molto duro, nel quale bisogna usare molto la psicologia, interagire tanto con un’altra persona. Al di là di quello che possa dire la società, tu sei un essere umano e devi relazionarti direttamente e intimamente con un altro essere umano. Quando dissi ai miei amici e ai miei fratelli che ero una puttana non lo capirono, avevano un’immagine diversa di quello che è essere una puttana. In questi quattro punti quello che facciamo è dire “attente ragazze, perché questo non è un lavoro che può fare chiunque”. Non si tratta di convincere nessuno, ma di raccontare la realtà per come è: non è una favola, ma neanche l’ultimo gradino della società.

Qual è, quindi, il profilo che bisogna avere per esercitare la prostituzione?

– L’empatia dev’essere sempre presente: devi essere disposta a creare questo clima di cordialità con il cliente. Avere molto chiare le norme che ti prefissi: i tuoi orari, il tuo modo di lavorare, cosa vuoi dai clienti. Diciamo alle ragazze che si dimentichino tutto ciò che hanno visto sui mezzi di comunicazione negli ultimi trent’anni e che capiscano che loro sono della professioniste e che quelle che tengono le redini di ciascuna relazione con i clienti sono loro. Le carichiamo tantissimo affinché capiscano finalmente che siamo stanche di ascoltare che non siamo niente di più di un pezzo di carne con gli occhi buttato su un letto e che il cliente può fare con noi quello che vuole. Non c’è nulla di più falso in quest’affermazione.

Le ragazze devono avere un profilo da terapeuta sessuale, perché sapersi muovere in quest’ambito è molto importante. Bisogna lavorare molto su quest’aspetto, è la base di ogni buona professionista, saper creare questo clima dal momento in cui vi scambiate il primo sguardo a quando vi salutate.

– Non credo che tutte le ragazze che si dedicano al sesso a pagamento abbiamo questa situazione così idilliaca che lei descrive. Non mi negherà che c’è un tipo di prostituzione, disgraziatamente molto visibile, nel quale le ragazze vengono trattate in modo inumano...

– Quella non è prostituzione, quella è tratta di esseri umani, ed è un delitto. Quando si smantella una rete di persone costrette a lavorare nei laboratori clandestini di cucito, nessuno dice che si è smantellata una rete di stilist* e sart*. Le donne e gli uomini costretti a lavorare in un regime di tratta e di sfruttamento sessuale non sono prostitute e prostituti, sono vittime della tratta di esseri umani. È prostituta solo chi decide di esserlo liberamente.

– Questo è il profilo di chi frequenta il suo corso?

– Esatto. Ci sono molte donne alla prima esperienza, che davvero vogliono imparare a fare questo mestiere, ma abbiamo incontrato anche donne che lo praticano da tempo e vogliono imparare ancora. Insegniamo loro a pubblicizzarsi su internet, a creare il proprio profilo e ad avere chiare quali sono le loro decisioni. Tutte le professioni necessitano di informazione e formazione.

– L’ha sorpresa l’affluenza che ha registrato il primo corso?

– Moltissimo. Si è creato un clima di grande fiducia, in cui le donne si sono aperte moltissimo e hanno raccontato cose molto intime, con dubbi e domande interessanti che non avevamo considerato. Sono state quattro ore che sono passate velocissime e siamo uscite con la sensazione che avremmo dovuto organizzarlo molto prima. Perché ci ha fatto tanta paura dire, sì, sono una puttana, e quindi?

– Quali sono le preoccupazioni che sono emerse di più nella prima sessione del corso?

– Il fatto che possano fare loro del male. Questo stigma che vuole che il puttaniere sia un uomo violento, che pensa solo a soddisfare il proprio piacere, per il quale fa lo stesso la donna che ha davanti, farle del male o no, è un falso mito che bisogna distruggere definitivamente. L’altro giorno una donna molto saggia del Raval ha fatto una riflessione molto molto dura: ”E’ assurdo pensare che qualcuno ti paghi per picchiarti, perché un uomo che vuole picchiare una donna picchia la sua gratis”. È un giudizio molto duro, però vero. Basta guardare le statistiche.

– Quale stigma bisogna eliminare di un puttaniere?

– Che è un uomo normale e ordinario! Sia che abbia uno status sociale alto o basso, alla fine le carenze affettive dell’essere umano sono le stesse.

– Le conseguenze sullo stato d’animo dello stigma della puttana sono più distruttive di quelle del puttaniere?

– Ti vergogni, ti senti sporca. Ricordo che durante i primi mesi di lavoro, nonostante facessi sempre la doccia dopo l’ultimo servizio che realizzavo, avevo bisogno di tornare a casa e rifare la doccia. Pensavo che non potevo baciare mio figlio perché tornavo dal fare la puttana. Dato che è un qualcosa che tutte abbiamo vissuto, ma che nessuno ci racconta, e sappiamo come ci si sente con questo stigma, vogliamo anticipare loro le sofferenze che andranno a provare affinché possano conoscerle, riconoscerle e chiedere l’aiuto di cui hanno bisogno ad altre compagne o amiche. Questo allevia moltissimo la tensione.

– Il suo corso di prostituzione è stato criticato da alcuni collettivi di donne. La sorprende più che colpirla?

– Anche noi siamo un collettivo e siamo donne, no? La gente ha diritto di esprimere la sua opinione, quello che mi sembra più preoccupante è che vengano emessi giudizi di valore che, oltretutto, sono densi di moralismo. Nessuno può dirmi che è femminista nel momento in cui sta lottando contro i diritti lavorativi, politici e sociali di un intero gruppo di donne. Si sono dimenticate quello che significa essere femminista. Femministe siamo noi che ci stiamo mettendo la faccia e che stiamo lottando per i nostri diritti. Loro sapranno verso dove vanno, e perché ci sono sempre più giovani donne sottomesse ai loro partner o perché muoiono per violenza machista ragazze sempre più giovani. Un poco di autocritica non gli farebbe male.

– Il modello del patriarcato tende a imporsi nella maggior parte delle reti di prostituzione, non ha questa sensazione?

– Noi siamo puttane, siamo donne femministe e autodeterminate. A quale patriarcato ti riferisci? Se siamo noi quelle che teniamo le redini della nostra vita, della nostra economia, della nostra sessualità! Uno dei corsi più importanti in programma è quello che insegna alle donne a scoprire la loro sessualità. Non insegniamo ad essere schiave dei nostri clienti, ma a godere del lavoro che facciamo. Molte giovani donne oggi imparano prima a fingere un orgasmo che ad averlo. Dovremmo chiederci che tipo di educazione sessuale stiamo impartendo ai nostri figli a casa e a scuola.

– Vi sentite perseguitate a Barcellona con le nuove ordinanze municipali sul settore?

– A Barcellona e in tutte le altre città. Come si può criminalizzare un cliente se esiste un’offerta? A quanti stupidi stiamo pagando lo stipendio ogni mese? Le puttane non sono vittime, sono lavoratrici. So che molte hanno incontrato il sindaco Xavier Trias per dirgli che le uniche cose che vogliono sono diritti, spazi e orari per poter lavorare nel quartiere El Raval, e l’unica risposta che hanno ricevuto è che non si devono preoccupare, ché potranno andare alle mense sociali. Il sindaco le tratta da mendicanti quando sono delle lavoratrici.

 

Leggi anche:

—>>>Il sito del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute: http://lucciole.org

—>>>il network delle organizzazioni europee composte da sex workers: http://www.sexworkeurope.org

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