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#Roma #19Ottobre, corteo per il diritto al reddito e all’abitare!

imaage_19o_squareda Abbatto i Muri:

La precarietà. Quando ti manca fiato è un loop in discesa. Alla fermata bus incontri sguardi altrettanto disperati. Gente che neppure più si guarda in faccia. Tra tante ricerche e tentativi di risposta agli annunci di lavoro, hai beccato l’associazione tal dei tali che ti dice che va bene se tu vai part time. Un po’ di ore a sistemare carte, riorganizzare il database, mettere mano al computer ridotto un colabrodo, poi c’è la signora da accompagnare, la sua parente da assistere e già che ci sei se badi al figlio gli fai un grande favore, perché siamo tanto umani, noi, e questi datori di lavoro generosi, immaginano di rappresentare una opportunità per il solo fatto di farti uscire di casa.

E tu esci, in bus, in bicicletta, perché se resti a casa prima o poi metti due dita nella presa e ti autopratichi l’elettroshock. Esci e ti lasci seppellire dalle emergenze altrui, e devi sapere che agli altri dei tuoi tempi e dei tuoi progetti non gliene frega un cazzo. E’ tutto un giro di egoismi e finte moine da chi non ti sa dire che non può, non sa, o non ha soldi o non te li vuole dare. Ti tiene lì ancorata alla sua disperazione bugiarda, motivando la tua partecipazione con promesse di gloria e futuri lieti sviluppi. Se resti ancora, vedrai, poi faremo grandi cose. Se resti ancora, vedrai, tra un po’ posso pagarti. E quello che succede è un dejà vù, perché questo tipo di datore di lavoro è abitudinario, ti induce allo stazionamento a servirgli i suoi bisogni, senza darti nulla in cambio, dopodiché tu capisci, dunque ti stanchi, infine hai da pagare le tue cose, c’hai pure lo sfratto esecutivo, e allora te ne vai a cercare qualcosa in cui ti pagano davvero. Qualunque cosa. E quell@ ricomincia, con il prossimo o la prossima disgraziat@.

Sono i datori di lavoro delle imprese a perdere, quelle in odor di fallimento, oppure l’associazione tal dei tali fondata da qualcuno che si annoia, in fondo, ha soldi per campare ma quella roba lì gli serve giusto per hobby e non per contrattualizzare qualcheduno.

Passi al livello successivo, che è quello in cui trovi il traffichino che ti può dare un mese di impiego che finisce prima di iniziare. Ti fanno firmare e compilare mille moduli per una cosa che dura niente per la quale ti pagano quasi zero. Arrivi in un ufficio dove tutti sorridono e tutti sono disperati. Sorrisi finti. Occhi velati. Meteore. Facce di quelle che tanto tra un po’ neanche le vedi più. E dato che perdi tempo per fare finta di sentirti sistemat@, a lavorare, per poter dire “sai, lavoro” invece di confessare che non hai un destino presente e futuro, la vita scorre e tu non riesci a sopprimere quell’ansia che al mattino blocca quasi tutte le tue funzioni.

Il panico, che arriva ad un certo punto, e che sparisce solo con l’acquisizione di consapevolezza, quando ti rendi conto che tutto quello che ti succede non è giusto e che sono tutti impegnati a fare gli eroi dicendo, soprattutto, di salvare donne e deboli in pericolo, salvo fottersene ampiamente del fatto che subisci una violenza economica infinita e che di questo passo un giorno o l’altro o ti suicidi o ti ribelli.

Chi è precari@ prova, ve lo giuro, a dire quel che sta vivendo. Pers@ tra mille burocrazie e relazioni che non durano il tempo di un respiro, se non hai in mente di consolidare una rete politica e sociale, quel che ti resta è la solitudine, il senso di colpa perché trovano il modo di farti ritenere che ad essere precari@ è sempre colpa tua, le dipendenze economiche e familiari che guardi per senso del dovere, e provi, si, ci provi a dire che c’è qualcosa che non va.

Trovi da un lato gente anziana che non capisce: eh, io, ai miei tempi, sveglia all’alba per guadagnare un tozzo di pane. Si, okay, ma se io mi sveglio all’alba dove cazzo vado? E chi può darmi quel pezzo di pane? Non è lo stesso, credimi, proprio non lo è. Oggi la merda è merda e non dipende dal fatto che non ho fatto la guerra, non so cos’è la fame perché anche questa è una stronzata. Ci sono giorni, mesi, che non ho avuto niente da mangiare, ma proprio niente, e per non chiedere i soldi ai genitori venderesti il culo, altroché, a fare marchette in ogni dove, tra file di tavoli da pub ai quali puoi avvicinarti solo se la tua passione triste contro le ingiustizie diventa buonumore da regalare al cliente.

Ci sono giorni che bestemmi perché poi becchi la pubblicità in tv dove ci sono quelle che fanno finta di fare le precarie che possono permettersi ‘na casa che pare una reggia, la gita fuori porta con tenuta da cavallerizze, munite di tutta la tecnologia ultramoderna, e quella sarebbe la maniera in cui vivono studentesse fuorisede secondo Tim. Oppure vedi la pubblicità dell’Enel che parla di guerrieri di ‘sto cavolo e poi a te arriva la bolletta in cui hanno messo in conto cose che neppure capisci e se non paghi non hai di che accendere la lampadina.

La precarietà è fatta di gente frantumata, certezze svanite, depressioni, assenza di prospettive, il buio, la vita che va via e tu non sai che fare. Perché sai che se non si immagina un futuro fatto di comunità solidali tu finirai sotto un bel ponte e con l’intolleranza che circola arriverà il fascio di merda che come minimo ti dà fuoco o becchi altri disperati che prima ti tolgono quel poco che hai e poi ti danno un colpo in testa.

Precarietà è quando vai a fare colloqui per beccare posti improbabili e sei lì a fare concorrenza a gente che s’è fatta il mare quasi a nuoto per trovare un pezzo di fortuna. E ti senti di merda. Molto di merda. Perché sai bene che se tu hai quel lavoro ti cambia molto poco ma se ce l’hanno loro almeno gli daranno il permesso di soggiorno. E perché sai che sulla guerra tra poveri specula chi vuole istigare odio tra precari.

Precarietà è non riuscire a incontrare la gente, perdersi, scoraggiarsi dopo mesi e mesi di ricerca di un lavoro, chiudersi in casa, morire di inedia perché non c’è nessuno a cui puoi dire quello che stai passando, perché te ne vergogni, perché la precarietà è il male del secolo e chi ce l’ha se ne vergogna come fosse qualcosa di molto contagioso. Ce l’hai ma non si dice, guardi che l’ha beccata il tuo vicino e speri che non capiti mai a te, e quando la precarietà raggiunge limiti che non sapevi di poter varcare finisci come niente a considerare l’idea che tu possa avere qualcosa che non va, ti perdi in ossessioni stupide, c’è gente che resta attaccata a internet, quelli che sfogano frustrazioni su facebook, chi vive in luoghi chiusi, ghetti, cripte maledette, senza sole e luce, seminterrati, angoli di un metro quadro pagato tanti soldi, in resistenza permanente prima di decidere di tornare a casa, dai vecchi genitori, che manderai a quel paese perché loro sono vecchi, tu sei troppo grande per poterli sopportare, finisce che vi odiate e tu ti senti ancora peggio.

Precarietà è una cosa che ti tiene in ostaggio e non è soltanto quando tu non hai niente in assoluto. E’ quando le condizioni tue, di vita, ti riportano a quella fase storica in cui si viveva in 20 in una casa piccola, possibilmente tutti a dipendere dall’unica vecchina che prende la pensione. Racconti tristi, dimensioni in cui perdi la dignità.

Il 19 ottobre tante persone andranno a Roma a rivendicare reddito e casa, perché è indispensabile un reddito di esistenza e che sia riconosciuto il diritto all’abitare. Spero ci sia tanta gente, almeno tutta quella che conosco e di cui so le storie che ho appena riassunto (e tante ne avrei ancora da dire). Spero che in tanti attiveranno azione e conflitto politico, ovvero quello che sempre cercano di rimuovere anestetizzandoci con qualunque genere di scusa. Spero che si riempiano le strade, che arrivino da ogni dove, perché la gente che si alza per dire basta, che muove un passo per rivendicare un diritto, che segnala al mondo di subire una ingiustizia, evita di ammalarsi, di deprimersi, di mortificarsi. Perché chi si ribella ha scelto di non morire. Ed è la scelta di vivere di tutte le persone precarie che a chi governa proprio non piace.

Non piace e lo vedrete dal numero di auto militari e dalla quantità di gente in divisa che interverrà per controllare. E sedare, se ci si ribella troppo.

QUI e QUI info sul corteo. 19 ottobre, ore 14.00 da Piazza San Giovanni. A Roma.

Ci fosse uno spezzone trans-puta-femminista-queer sarebbe una figata! 🙂

Posted in Iniziative, Precarietà, R-esistenze.