da Abbatto i Muri:
Quella che vedete in video è la sessione del 10 settembre di audizioni parlamentari delle commissioni per sentire le parti critiche prima della conversione in legge del decreto sicurezza che parla “anche” di violenza di genere. Ne parlerò più approfonditamente ma intanto mi soffermo su un fatto preciso che secondo me vale la pena di mettere a fuoco.
I centri antiviolenza hanno detto che il decreto legge non va bene per una serie di motivi e nell’intervento hanno chiarito che fondamentalmente è ché non ci sono i soldi per loro. Mentre ascoltavo la tiepitudine della critica mi chiedevo: Ci fossero stati quel decreto sarebbe stato ok? Sarebbe stato ok il capo A di quel decreto inserito in un contesto che legittima repressione e diventa repressivo per se stesso? Sarebbe stato ok dare potere decisionale alle polizie su quanto e come bisogna intervenire per stabilire cosa sia violenza e cosa no? Sarebbe stato ok negoziare sulla pelle delle donne, in qualunque direzione possibile? Mi pare, per davvero, che l’opposizione sia stata alquanto debole, quasi impercettibile. E mi chiedo dove sia l’esperienza maturata e tanto sbandierata dei centri se poi non hanno trovato un modo mediaticamente un po’ più rumoroso per dire che quel capitolo va cancellato (altro che modifica) perché si tratta di inefficaci e rischiosissime (per le donne) misure. Anzi no. Nel corso dell’intervento chi parlava ha avuto però lo spazio per dire una cosa che pensava fosse fondamentale. Si è parlato di straforo di inserire come pregiudiziale per il decadimento dell’affido condiviso la violenza domestica. Il punto è che mi pare pura propaganda perché non ho ben capito la richiesta che a questo punto vorrei fosse chiarita fino in fondo.
Quando si esige che l’affido condiviso decada per i padri che hanno commesso violenza domestica, così s’è detto nell’intervento, anche se, per dire, quest’anno i delitti ai danni di figli, inclusi quelli ad opera di depresse a seguito di separazioni, sono per lo più commessi da donne, ci si riferisce al fatto che l’affido dovrebbe decadere al momento stesso della denuncia o si attende la sentenza al termine di un regolare processo?
Perché se è vero che ci troviamo in uno Stato di diritto e crediamo in una giustizia garantista che non segua un filone sessista, rigidamente ancorato a stereotipi di genere, autoritario, esattamente come ci si sconvolge del fatto che si possa utilizzare la psichiatria per dichiarare inadeguata una madre nel suo ruolo educativo e dunque per sottrarle l’affido prevalente, ci si dovrebbe sconvolgere del fatto che ci si serva del pregiudizio di colpevolezza che stabilisce che un uomo è colpevole soltanto in virtù di una denuncia.
Personalmente penso che i due percorsi debbano essere egualmente antiautoritari e garantisti. Dunque se si sospetta che la madre sia responsabile di maltrattamenti nei confronti del minore è giusto che si compiano tutti i passi necessari fino alla decisione ultima del giudice. Così anche nel caso in cui un padre che compie violenza dovrà poter dimostrare la sua innocenza, essere assolto o condannato, prima che si stabilisca alcunché.
Se invece si intende che basta la parola di una donna a decidere che un uomo è già colpevole, allora ci troviamo a ragionare di una modalità di intendere il diritto che è incostituzionale.
Di contro io esigerei dai centri antiviolenza che ragionassero seriamente sui dati che evidentemente possono avere a disposizione. Quante sono le denunce fatte prima di una separazione? Quante sono quelle fatte dopo una separazione e a che distanza di tempo? Non hanno forse osservato che esistono denunce fatte dopo molto tempo dalla separazione e solo per ostacolare le possibilità di affido condiviso con l’ex coniuge?
Ho avuto modo di approfondire la materia e concordo appieno con il fatto che un genitore molesto vada allontanato dal minore. Non senza prima averlo dimostrato e averlo sottoposto ad un giusto processo. Ma chi decide qual è il genitore molesto? Si decide che un genitore è molesto sulla base del suo sesso biologico? Da una parte chi dice che a priori la colpevole è la madre per partito preso e dall’altra chi afferma che il colpevole è il padre senza avere in mano nulla di più che non sia l’affermazione della donna?
So per certo che esistono genitori che ai sensi dell’art. 570 cc sono tenuti a rispettare il pagamento degli alimenti anche se non ce la fanno a sopravvivere. Tante sono le sentenze che li mettono al muro, gli ordini di pignoramento, la pressione economica decisa per attribuire cifre decise sulla base di un tenore di vita che non c’è più. Dall’altro lato poi c’è il 388 c.p., che sarebbe il reato di chi non segue le disposizioni del giudice, per esempio, quand’egli dice che il bambino deve essere dato in visita al padre ed è in quel caso, quando si vuole motivare la disobbedienza, è allora che dopo un tot di tempo dalla separazione arriva da parte della madre, di punto in bianco, una denuncia per violenze di non si sa che tipo. Sarebbe sulla base di quella denuncia, che oggi come oggi, dato l’umore pro/maternage che si è creato attorno a questi temi, bisognerebbe fare decadere l’affido condiviso?
Sarebbe sulla base di un umore che parte da due pesi e due misure che si considerano queste situazioni? Da un lato il giusto stigma nei confronti dei genitori che pur avendo soldi (se ce li hanno) non vogliono pagare. Dall’altro l’idea che sia sempre errata la decisione del giudice quando condanna una donna che non ha obbedito alle sue disposizioni e ha in qualche modo impedito le visite con il padre. Da un lato quelle che dicono che alle donne bisogna credere sempre e dall’altro, senza considerare il lato profondamente umano e la complessità di queste situazioni, si finisce per scadere nello stereotipo che dice che tutte le accuse contro le madri siano false e le sentenze contro di loro tutte sbagliate.
Sanno i centri antiviolenza quanti sono i padri, quelli che pagano tutti i mesi gli alimenti e che non possono neppure vedere i figli, che dopo anni e anni di battaglie legali (ché se fossero violenti certamente non compirebbero tutti i passaggi necessari richiesti dal punto di vista legale), avendo sulla testa, solo perché vogliono stare con i figli, lo stigma (immotivato e non sostanziato da alcuna denuncia o sentenza) del “violento”, nel momento in cui ricevono dal giudice l’ordine di vedere i figli, addirittura di trasferirli in casa propria, temporeggiano e non ce la fanno, impotenti, per non fare soffrire i figli, perché non si verifichi mai una Cittadella 2 e perché non c’è alcuna collaborazione da parte della madre? Lo sanno i centri antiviolenza in quanti casi donne che pensano che i figli hanno da stare solo con le madri, perché così natura vorrebbe, contrariamente ad ogni lotta che parla di diritti sulle questioni di genere e condivisione del lavoro di cura, si rifiutano di concedere l’affido condiviso dei figli che a loro sta scomodo, stretto e così finiscono per viverlo con malumori atroci? Hanno affrontato l’argomento in maniera seria ed equilibrata tentando di dare una risposta ad un problema che non può certamente essere affrontato in maniera ideologica?
Il ruolo di chi analizza e previene la violenza non può essere quello di aderire a logiche di parte dove non si coglie che è passato il tempo in cui i figli restavano con le madri anche dopo le separazioni perché ci sono madri, oggi, che per esempio, i figli hanno certamente il diritto, la necessità, di consegnarli anche alla responsabilità dei padri invece che delle nonne che sono quelle che sempre suppliscono anche alle esigenze delle donne separate. Per non parlare del diritto dei figli di non essere utilizzati a seconda degli umori dei rispettivi genitori.
Dunque, rifaccio la domanda: l’affido condiviso, per i centri antiviolenza, dovrebbe decadere all’atto della denuncia da parte della donna o ci troviamo ancora in uno Stato di diritto per cui i figli non possono essere strumento di contesa, chiunque sia a innescarla, e prima di arrivare a qualunque sottrazione di diritti si attende una sentenza?
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