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Il genitore a incastro

Da Abbatto i Muri:

Mettiamo caso che una coppia ha cresciuto un figlio. Non importa se siano mamma e papà, mamma e mamma, papà e papà, in ogni caso genitori. Poi si separano e quel figlio viene affidato in maniera prevalente ad uno dei due adulti ché poi in genere è quell@ che decide quali sono i tempi, i modi, i ritmi, le abitudini del figlio. E’ sulla base di quei ritmi, tempi, eccetera che si deciderà quando e come l’altro adulto potrà vedere il bimbo. C’è un primo genitore e poi un altro che è ad incastro, perciò lo chiameremo Genitore-A-Incastro da ora in poi, ché lei/lui si incastra a seconda delle esigenze, si adatta, non già ai tempi del bambino ma a quelli dell’altro adulto.

Un Genitore-A-Incastro, come dice la definizione stessa, si incastra nei buchi rimanenti, è funzionale, ci sei quando mi serve e se non concilia con la mia vita è di disturbo. Che palle organizzarmi per mollare il figlio, stare ad attendere il suo ritorno, perché se resta qui con me è tutto molto più semplice. Davvero lo è molto di più.

Comunque sia è somma di tempi e prove d’incastro per questi genitori giammai pretenziosi, ché la genitorialità è un dovere prima che un diritto, e poi che schifo questi adulti che esigono di stare con i figli per compensare anche la propria esigenza affettiva, l’è tutto un modo adultocentrico, invece l’altra persona, quella che quel figlio lo tiene con se’, sarebbe bambinocentric@ dal primo momento del mattino fino a sera, a ripiegare le sue esigenze su quelle del figliolo, a non centrare la sua esistenza sulla propria, da un lato ci sarebbe un mondo fatato di altruismo e da quell’altro uno di grande egoismo.

E allora c’è il Genitore-A-Incastro che vive prigioniero del senso di colpa. Non puoi strappare per più tempo il figlio a quella che generalmente è la sua mamma. Un figlio sta con lei. Non può stare altro che con lei. E anche per le vacanze, si, certo, si sa che il giudice emette sentenze fotocopia e dice che puoi tenere il figlio per quindici giorni, ma c’è da capire, il cambio di abitudini, quella valigia in mano, le ultime raccomandazioni della mamma a quel bambino per trasferire e proiettare su di lui le sue paure e fobie, non preoccuparti, figlio mio, ché mamma è sempre con te, non piangere capito? e nel frattempo quel bambino ride, semmai si sente in colpa perché pensa che quell’abbandono costa più alla madre che a se’ stesso. Continua lei, fammi telefonare ogni sera? Chiaro? Perché lui ha bisogno di sentire almeno la mia voce, e poi giù ad arrabbiarsi se la telefonata non arriva perché sei al mare, il bambino non vuol saperne di uscire dall’acqua, si sta divertendo, e quando dici di prendere in mano il cellulare e dire ciao alla mamma, si rotola sulla sabbia, fa una capriola, e scappa senza alcun timore.

Il Genitore-A-Incastro è sorvegliato e deve esporre colpa, pagare il fio e guai se porta il figlio in vacanza con un’altra amica. E’ un insensibile. Se tieni a fare il padre bisogna che diventi asessuato e martire proprio come lei, la mamma. Un Madonno copia della Madonna. Bisogna che assumi la posa da stronzo redento che si vergogna per ogni attimo di gioia, ogni risata, ogni momento di complicità con quel bambino.

E poi ci sono quelli che hanno le ore contate. Domani è l’ultimo giorno, poche ore all’alba e poi torni da mamma. Domani torno a vivere come vivevo prima. Mi faccio ricrescere la barba. Smetto di pensare che ho uno scopo. Mi faccio tornare la lieve depressione che mi accompagna tutti i giorni. Porto con me a letto il pigiamino del bambino o il suo giocattolo per custodirne l’odore. Devo sentirmi in colpa anche per questo perché il legame della carne un uomo non può esprimerlo senza sembrare un po’ pedofilo. ‘Ste cose sono privilegi delle madri che possono mettere a quel figlio una mano sul culo, per lavarlo e ricambiarlo, senza che in spiaggia qualcuno osservi a lungo per notare com’è strano che sia un padre a ripulire il figlio dalla sabbia perché la donna è pulizia morale, già si sa, e l’uomo è fango nella testa di chi vive di pregiudizi.

Poi c’è Giovanni, un amico, che becco in spiaggia con un’aria sconsolata. Chiedo che ne è stato dei progetti di cui mi aveva parlato. Mi dice che il figliolo sta non so in che posto con la madre e che se avesse mandato a monte quel viaggio si sarebbe sentito un verme. Lei dice che lavora tutto l’anno, non c’è un momento sereno per poter giocare e fare cose belle col bambino, quella vacanza sarebbe stata un’opportunità, dunque serve che tu dica di si perché, lo sai, tra qualche giorno il bambino doveva stare con te. E lui dice si sapendo che giammai gli sarà ricambiato il favore. L’avesse chiesto lui lei avrebbe detto no.

Lei, tra l’altro, tiene un blog per raccontare quanto è bella la maternità. Di quel ruolo ha fatto la sua vita. Facesse lui lo stesso della paternità mancata gli direbbero che è un po’ egocentrico e piagnone. D’altronde, lui, cosa può raccontare di quel figlio, a parte qualche gioco raccontato ogni tanto e le attese per le ore da poter passare insieme?

Il Genitore-A-Incastro è un esemplare che non si lamenta e se si lamenta dicono che sia egoista, stronzo, una vera merda. Perciò si tenga la sua depressione, la malinconia, la nostalgia dei sorrisi condivisi, si rassegni allo scippo di quegli affetti e al più saprà restare solidale quando incontrerà mamme, e ce ne sono davvero tante, che diranno quanto i padri se ne fregano, in realtà dei figli. Fossero tutti come te, gli dicono, avessi avuto io un padre disponibile quel figlio glielo avrei mollato subito, sai quanto tempo ed energia ricavati e quanto sarebbe stato più contento il bimbo? Ma lui era uno che ha preferito andare via, lasciare, dimenticare, s’è rifatto un’altra vita e chi l’ha visto più. Non mi ha mai dato un soldo e figuriamoci se viene per esigere il tempo di visita. Semplicemente non si fa vedere né sentire mentre i figli crescono con l’idea che quel padre non gli vuole bene.

Giovanni dice: e che dovevo fare? E che dovevi fare, Giovà… I ricatti affettivi non sono risolvibili e se tenti di risolverli forzando quel che ottieni è che perdete entrambi e innanzitutto perde quel bambino. Non vuoi per caso finire in televisione pure tu? Ah no no… ma che dici? Io non costringerò mai nessuno a stare con me. Non è quello il modo. Ma che due palle, però. Andiamo a prendere una granita, va’ – gli dico – eppoi ti racconto una delle mie storie…

C’era una volta il Genitore-A-Incastro che sembrava un po’ una luce a intermittenza. S’accendeva quando aveva il figlio con se’ e poi si spegneva, perché quando sei in lutto vivi di luce riflessa. Ti abbellisci e rendi ospitale la tua pelle per fingere una gioia che non ha neppure il tempo di accasarsi. L’interruttore è in mano ad altri e se te ne lamenti sono tutti lì a dirti come dovresti o non dovresti fare per essere un bravo genitore. Sei bravo se stai quando ti chiedono di stare e te ne vai quando ti chiedono di andare. Se intuisci dove sta l’incastro in cui ti puoi incastrare e se in quelle parentesi sei la perfezione in assoluto, perennemente sotto esame, ché al ritorno del bambino in casa-madre il piccolo viene radiografato manco se fosse passato per un campo minato. Gambe? Ne ha ancora due. Braccia? Due. Ci sono ancora? E gli occhi? Di’… non vedi che guarda in modo diverso? Ma di che parli? E poi non va di corpo regolare la mattina… gli ha inibito pure la cacata…

C’era una volta il Genitore-A-Incastro e fuor da ogni retorica di cuoricini e ammmore a iosa, c’è che sicuramente di genitorialità mancata non si muore. Non è per farla lunga. Io sono anarchico, dice Giovanni. Non ho problemi a ritenere che i legami non sono cose che puoi istituzionalizzare. Ma qui si vuole irregimentare il mio di ruolo. Io devo essere così e cosà sennò non sarei un bravo padre. Ma che cos’è un bravo padre? Uno che aiuta la madre ad essere la brava madre? Che sarei io? L’incoraggiatore di maternità affaticate? Quello che porta il piccolo a giocare quando lei fa le pulizie? Quello che lo distrae mentre lei fa le sue cose doverose? Ti posso dire che in quel mondo anni ’50 io non ci voglio stare? Ché sono io che faccio pulizie, cucino, lavo, stiro e di fare l’intrattenitore di quel figlio a tempo perso non ho proprio voglia. Esigo una qualità della relazione con mio figlio differente. Ma non la esigo da lui e non a costo di imporgli la mia presenza. La esigo in un discorso pubblico che deve smettere di resettare i miei progressi, la mia emancipazione di uomo e persona, per riportarmi ai tempi di mio nonno. Com’è possibile che io sia cambiato, sono un altro uomo e che davanti a me trovo una donna che si fingeva libertaria e ora che ci parlo sembra la fotocopia della sua fascistissima bisnonna?

Già… com’è possibile?

Posted in AntiAutoritarismi, Omicidi sociali, Pensatoio, Personale/Politico, R-esistenze, Sessismo.