Il Consiglio regionale del Lazio ha approvato una mozione sulle “misure urgenti per il contrasto della violenza di genere sulle donne e femminicidio”. Secondo quanto riportato in tale mozione è previsto un rifinanziamento dei centri antiviolenza, l’istituzione di un osservatorio regionale sulla sicurezza contro la violenza di genere e la convocazione di un tavolo che metta insieme tutte le associazioni e i movimenti che si occupano di violenza di genere nel Lazio.
Se da una parte non posso non prendere atto del fatto che, almeno in questa regione, qualcosa si muove rispetto alla questione del femminicidio, non posso però non farmi domande come: su quali criteri l’osservatorio farà le sue ricerche? Rientrerà, nella violenza di genere, per esempio, la violenza che le compagne subiscono durante le cariche? Verranno conteggiate le violenze subite dalle trans, che molto hanno accheffare con la violenza di genere? Con le immigrate come si fa se non posso denunciare dato che la maggior parte è priva di permesso di soggiorno? Le violenze compiute nei CIE verranno prese in considerazione? Contro la tratta si farà qualcosa? E se sì lo si farà tenendo in considerazione che vi sono alcune donne che scelgono di prostituirsi e che quindi criminalizzare la prostituzione, non facendo distingui, sarebbe un’ulteriore violenza per queste lavoratrici? Sull’aborto e soprattutto contro l’obiezione di coscienza che ostracizza l’applicazione della legge 194, rendendola talvolta inattuabile, cosa si intende fare? Inoltre c’è la questione dell’educazione sessuale nelle scuole, che sarebbe ora di inserire, ma sulla quale ho già scritto altrove tutti i miei dubbi. I problemi però sono tanti altri, c’è la precarietà, che rende impossibile a qualunque donna svincolarsi da una situazione di violenza. Se non hai indipendenza economica non vai da nessuna parte. Ma siamo in tempo di crisi e le leggi approvate dai governi precedenti hanno colpito fortemente le classi sociali più deboli e doppiamente le donne, costringendole alla conciliazione e a volte spingendole a ritornare tra le mura domestiche.
La violenza di genere è, come possiamo vedere, una questione intersezionale per natura, e quindi per attuare una lotta seria bisognerebbe colpire tutto ciò che, al contempo, la genera e alimenta, e tra le tante cose come non nominare lo stato-padrone? Lo so, sono la solita rompiscatole, mai contenta di quello che si fa, ma non è così. Riconosco in questa mozione un tentativo di generare attenzione sul tema, e di attuare alcune azioni che potranno aiutare alcune donne, ma non tutte. Il problema è proprio questo. Dalle istituzioni non possiamo aspettarci gradi rivoluzioni, anche da chi ha a cuore tale tema, perché potrà agire solo finché non metterà a repentaglio la vita stessa dell’istituzione. E questo, se si vuole debellare al violenza di genere, è necessario. Quindi, sì, vedo delle possibilità, soprattutto a livello comunicativo, di informazione: più le donne saranno coscienti della violenza che subiscono più capiranno che bisogna agire, perché anche il tutoraggio è violenza, e forse si arriverà all’autorganizzazione tanto agognata. Okay, ho fatto un volo pindarico nel futuro non tanto prossimo, ma sono certa che prima o poi sarà chiaro a molt@ che questa è l’unica strada possibile.
Ma, questa notizia, è girata condita dalla seguente dichiarazione della consigliera regionale Daniela Bianchi: “qualcuno nei corridoi commentava l’intervento della consigliera proponente, Marta Bonafoni, con un linguaggio molto sessista e con una frase che ho ripetuto anche in aula: ‘Le donne non vanno uccise, le donne vanno scopate*’”. Ecco come in un’unica frase si possono rintracciare e racchiudere secoli di sessismo. La frase non solo è in un linguaggio sessista ma è concettualmente sessista. Nella proposizione “le donne vanno scopate” quel “donne” non è soggetto ma funge da complemento oggetto. In poche parole si sta dicendo che gli uomini devono scopare le donne, quindi il soggetto deve scopare l’oggetto. E chi è l’oggetto per eccellenza di questa società?
Ora, l’oggettivazione delle donne anche nel linguaggio è una conseguenza ovvia del suo ruolo secondo questa cultura maschilista. Il linguaggio rappresenta la realtà, null’altro. Quindi, se la società cambia, cambierà anche il modo di parlare e rapportarsi alle persone, senza far uso della censura, che ve lo ricordo, è un metodo usato dai/lle fascist@. Ma se non si usa la censura come si fa? Mi chiederete e me lo chiedevo e continuo a chiedere anch’io. Una prima cosa che si può fare è sovvertire il messaggio che l’altr@ vuole imporci. Ci rappresenti come oggetti, bene, io gli avrei risposto: le donne non vanno scopate, le donne scopano. Quindi avrei, con un semplice ribaltamento dei ruoli, reso la donna soggetto.
Ma, dato che le cose, o si fanno bene o ti rimane l’amaro in bocca, ecco che si poteva fare anche altro. “Le donne si scopano” parla anche dell’eteronormatismo che pende su di noi come la spada di Damocle. La divisone tra “uomini” e “donne” sembra non essere messa in discussione come quella stupida idea che la donna “riceve” e l’uomo “dà”. Ma come oggetti non potevamo mica pretendere di esser attiv@! E poi ci si domanda come mai non si sappia nulla dello squirting e si parli sempre pochissimo della sessualità femminile fine a sé stessa e non sempre e solo in funzione dell’uomo. Il lebismo, dunque, è bandito.
Ma se la donna è un oggetto, è passiva, allora vuol dire che non ha voce in capitolo nell’atto sessuale? Del suo consenso importa a qualcun@? Tanto per rimanere in tema di violenza di genere, ricordo che senza consenso si tratta sempre e insindacabilmente di stupro. E per fortuna che si stava parlando delle azioni da compiere contro la violenza di genere.
A quella frase quindi, personalmente, avrei risposto con: le donne scopano con chi vogliono, dove e quando vogliono e solo quando ne hanno voglia.
Note
* Sull’uso del termine “scopare” penso che invece di additarlo come “termine volgare” bisognerebbe solo decostruirlo, di quei significati negativi che indubbiamente ha, per poi rivendicarselo. “Scopare” spesso viene usato come sinonimo di “fare sesso” senza alcuna valenza negativa, ma nell’uso comune vi è anche quella con cui si tende a svilire/sminuire l’atto in sé e più nello specifico la persona con cui lo si fa. Sentirsi dire “me la sono scopata” risulta avvilente perché ti riduce a oggetto sessuale, che quindi viene usato e poi riposto o buttato via. Ma, come ci insegna la Butler, non serve censurare una parola per poter combattere l’uso sessista del linguaggio ma basta sovvertirne i significati e usarli in modo differente. Il termine queer, in questo, è la prova che ciò è possibile. Sul linguaggio “volgare” ho dedicato un intero post, se volete potete leggerlo QUI