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Qual è la differenza tra prostituta, badante, operai@, colf?

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Da Abbatto i Muri:

La prostituzione in Argentina è legale ma non è regolamentata né tutelata. Le prostitute argentine, come in Paraguay, in Brasile, in molti paesi, chiedono che vi sia una regolarizzazione della professione. Così nasce la campagna di AMMAR, l’Associazione Argentina delle lavoratrici sessuali, le quali tengono a raccontare che sono anche madri e neppure si immagina abbiano una vita che esige garanzia di diritti fuorché considerarle, in quanto donne, soggetti deboli da tutelare assimilando il sex working alla tratta.

Confondere tratta e sex working è l’esatta volontà di chi come la MacKinnon (femminista radicale statunitense) ha deciso che le politiche in difesa delle donne devono essere intrusive, sovradeterminanti, interventiste in quanto che si tratterebbe sempre e solo di violazioni di diritti umani. Le politiche repressive attorno al fenomeno della prostituzione sono estese ai paesi in cui l’Onu si fa portatore di monopolio di consuetudine al rispetto nei confronti del genere umano. Dunque è una questione che riguarda anche l’Europa in cui in più paesi, vedi il dibattito che dopo Francia e paesi nord europei ora sta riguardando anche la Gran Bretagna, e nello stesso parlamento europeo si dibatte per assimilare sex working, dunque lavoro volontario, per scelta, alla tratta, ovvero la schiavitù, lo sfruttamento, l’orrore della violenza su donne che vengono assoggettate a disegni criminali di ogni genere.

La pretesa che le due cose siano confuse genera una repressione sulle stesse prostitute che sempre più denunciano a gran voce quanto stanno subendo. Perché è pur vero che la prostituzione spesso non è reato ma le prostitute finiscono per essere coinvolte in accuse di favoreggiamento o altri crimini connessi e sono troppe quelle che finiscono in galera e vengono punite senza una ragione. L’Italia non è da meno in tutto questo e per quanto la galera sia un destino un po’ inferiore non di meno tante prostitute, tra l’altro più spesso proprio le vittime di tratta che dovrebbero essere garantite e tutelate, in quanto migranti finiscono nei Cie, lager per stranieri in cui restano per 18 mesi a farsi identificare da italiani di buon cuore che praticano il razzismo dal “volto umano”.

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Non mancano tra l’altro decine e decine di ordinanze punitive di sindaci ben intenzionati a rendere impossibile la vita delle prostitute e non mancano neppure i sequestri dei beni che corrisponderebbero alle mancate denunce di reddito per dichiarazioni che legalmente le sex workers, tra l’altro, da tempo chiedono di poter regolarmente fare. Voci [1] [2] di buon senso in netto dissenso e proposte legislative differenti vengono in parte archiviate e altrimenti derubricate a prassi di complicità coi papponi.

Filosofia di base che giustifica questa ambiguità di fondo che consente, quella si, uno sfruttamento a doppio binario sulle vittime di tratta e sulle prostitute per scelta, è quella che nessuna donna potrebbe mai scegliere di fare un lavoro di quel genere e che si tratti sempre e solo di vittime.

Ed è pur vero che la difficoltà di ottenere autonomia economica obbliga tante persone a svolgere mestieri non graditi ma quel che non si capisce, in tutto ciò, a parte difendere chiunque esiga garanzie per poter svolgere al meglio il lavoro che si preferisce fare, è come mai nessun@ mai si ponga il problema di quanto sia poco gradito fare l’operaio, la badante, la cameriera.

La precarietà impone sempre delle scelte che possono piacerci o non piacerci. Ci sono quelle che amano fare la cameriera e quelle che in quel ruolo si sentono sfruttate. Ci sono quelle che gradiscono fare le sex workers e quelle che denunciano una condizione di grave sfruttamento. Non dovrebbe essere data a chiunque la possibilità di vedersi riconosciuto il diritto di poter svolgere la professione che si preferisce con il massimo delle garanzie possibili e richieste? Chiedo: perché, tra i diversi mestieri, dovrei giudicare particolarmente grave quello in cui si impiega un pezzo di corpo piuttosto che un altro? Perché a nessun@ viene in mente di venirmi a “salvare” e di considerarmi vittima se sono operaia, precaria, cameriera, interinale, impiegata a ore o in un fast food, e ci si concentra sulla vittimizzazione di chi vende sesso?

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Tutte le cameriere fanno quel servizio perché sono libere di scegliere? E le badanti? Tutte libere di scegliere? Le precarie o sono tutte “vittime” alle quali dare strumenti per emanciparsi o non lo è nessuna. No? Adempiere a ruoli di cura per professione, fare la colf, fare qualunque mestiere connesso a ruoli di genere imposti, non è forse brutto? Perché nessuno va a salvare le tante donne delle pulizie, le badanti e le donne che sono “obbligate” dal welfare di Stato a svolgere gratuitamente ruoli d cura? Perchè, in generale, non si svolge una campagna che parli di garanzie, autodeterminazione, reddito e sostenga l’autonomia economica di tutte le donne (e di chiunque altr@) invece che fare la differenza tra lavori morali e lavori immorali?

Io credo che chiunque debba essere liber@ di esercitare la professione che preferisce nelle migliori condizioni e con le migliori garanzie. Mantenere una situazione di fatto proibizionista, mentre altri lavori sono leciti perché moralmente accettati, impedendo ad una donna di autogestirsi quando sceglie il sex working, la penalizza e la espone a rischi e a condizioni di sfruttamento dalle quali non può emanciparsi. Proibire una scelta, quando è tale, corrisponde esattamente al fatto di rendere impraticabile, difficile e punitivo, il percorso di una donna quando decide di esercitare la libera scelta di interrompere una gravidanza. Due autodeterminazioni che per un verso o per l’altro subiscono uno stigma sociale e la punizione. Chi ci guadagna? Solo chi sfrutta i proibizionismi. Credo perciò sia necessario esigere condizioni e strumenti affinché chiunque, non solo le donne, si liberino da lavori non graditi quando essi non sono precisamente una scelta ma corrispondono ad un bisogno economico.

Senza tirare fuori paternalismi a tutela delle vagine e dell’onore e avendo chiaro che le donne sono tante e diverse e che esiste anche tra donne la enorme difficoltà a riconoscere l’altra come diversa da te. Quando, anche in rapporto a quel che concerne la prostituzione, si decide che se io la percepisco come sgradita così deve essere per chiunque altr@, quando si pensa che tutte le donne debbano essere legate da un sentire comune, di fatto si imprime una morale normativa perchè si estende la norma che tu applichi per te alle altre che non riesci a vedere in quanto diverse.

Vedo in generale molto diffusa questa estensione altrove di quel che noi percepiamo come brutto. Se una si sente offesa tutte bisogna che ci si senta offese e se c’è quella che offesa non si sente affatto allora o si patologizza o si demonizza. O vittime o colpevoli. Non se ne esce.

Di fatto c’è una norma dell’essere donne e lì è da capire quanto attenga alla coscienza critica femminista e quanto ad una più diffusa alleanza tra paternalismi e sensibilità di donne che non gradiscono alcune cose e che si affidano a varie forme di tutela. Come se per chiedere tutela per se’, per non sentire banalizzato il proprio bisogno, si sentisse la necessità di farlo diventare il bisogno di tutte. Mi chiedo se non sia il tempo, ora, di viversi le scelte senza che nessun@ debba sentirsi lesa da quel che distingue, come è ovvio, una donna dall’altra. Una persona dall’altra. E come sempre accade, quando si parla di questioni che riguardano le donne, non può prevalere una morale su un’altra. L’alternativa di buon senso è sempre l’autodeterminazione. Diversamente si chiama autoritarismo. In certi casi anche complicità con il capitalismo.

Ed è dunque questo il punto, infine, e copio, dal mio post sul Donnismo, una delle scelte funzionali al Capitalismo:

Apro una parentesi: non c’è servizio più grande reso al capitalismo che quello di sganciare il tema dello sfruttamento dei corpi femminili da quello più ampio dello sfruttamento dei corpi tutti, perché, a prescindere dal fatto che sia necessario contestualizzare le varie differenze con una lettura di genere, quello che si finisce per fare è scindere le rivendicazioni che parlano di sfruttamento sul corpo femminile da ogni tipo di rivendicazione che riguardi lo sfruttamento di tutte le persone che svolgono lavori di qualunque genere. Non è un caso se la richiesta di regolarizzazione del sex working viene ignorata o demonizzata mentre si impongono censure e scelte moraliste e proibizioniste che sono lesive della autodeterminazione di ciascun@. Non è un caso: perché è più semplice colludere con logiche di mercato liberiste, che rifiutano a priori l’idea che per fermare lo sfruttamento di ogni persona debbano essere ridiscusse le regole, contratti, tutto quel che riguarda il diritto del lavoro, affinché ogni lavoratore e lavoratrice possa meglio gestire la propria professione senza che MAI nessuno sia sfruttato. Non è un caso: perché altrimenti non potrebbero, così come fanno, fingere di essere contrari allo sfruttamento delle donne quando si parla di prostituzione e poi approvare riforme del lavoro in cui sostanzialmente si dice che grazie a contratti precari, senza garanzie, in violazione di tutti i tuoi diritti, puoi essere sfruttata come lavoratrice nello svolgimento di qualunque altra mansione. Non è un caso: perché altrimenti non potrebbero farti digerire la teoria secondo la quale tu, moglie e madre, sul cui lavoro di cura si regge tutto il welfare dello Stato, non sei mica sfruttata, ma no, e figuriamoci, invece saresti strafelice di farti sfruttare gratis per ammortizzare carenze istituzionali ed economiche. Chiusa parentesi.

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Posted in AntiAutoritarismi, Critica femminista, Precarietà, R-esistenze, Sex work.