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Le ricche che promuovono casalinghitudine per favorire il capitale

da Abbatto i Muri:

Alla 27esimaora sfugge che le donne non siano ricche, che in Italia ci sia una percentuale altissima di donne che non lavorano, una su due, non bruscolini, e che molte neppure cercano più lavoro perché sono cadute in depressione, perché non troverebbero comunque niente, perché hanno messo qualifiche, titoli di studio, esperienza in un cassetto e sono lì a fare quello che il welfare ordina: donne ai lavori di cura, in casa, e uomini a mantenere la famiglia.

Questo modello catto/fascista, che è funzionale alle logiche capitaliste e regala allo Stato una quantità enorme di lavoro gratuito, ci viene ora presentato come una scelta, addirittura come una corrente di uno di quei femminismi americani del cavolo, ché mai, e figuriamoci, bisogna importare femminismi in cui si parla d’altro, di nuove lotte precarie, di regolarizzazione del sex work, di slut walk, di queer, di istanze contro la precarietà, di mille altre correnti di pensiero che per fortuna esistono anche lì. Su la 27esimaora ti mostrano queste cose da ricche per ricche, se la suonano e se la cantano, manager che si stancano di fare le manager e nelle loro ville ben servite si mettono a spolverare invece di voler fare carriera, e mentre a me sembra semplicemente un incentivo addomesticante delle incazzature di tante donne, che sicuramente anche in America staranno facendo  il diavolo a quattro per poter lavorare, dove le imprese le avranno rimandate a casa supponendo possano essere mantenute dai mariti (anche quando i mariti non esistono o non ci sono più), alla 27esimaora sembra perfino un dibattito interessante. Questione di prospettiva e di punti di vista, appunto, di differenza di classe anche nella visione del mondo.

Esistono certamente le donne che possono e vogliono fare questa scelta e non mi sognerei per nulla di dire loro che non sono abbastanza femministe perché il femminismo non è una trappola né una ideologia ed è il mezzo attraverso il quale qualunque donna possa esprimersi e vivere in piena autodeterminazione qualunque cosa esprima e viva, ma il dibattito così è davvero molto mal posto. Se vuoi dare appeal alla condizione della casalinga, che neppure esiste quasi più per alcune generazioni di donne, allora bisogna che si faccia molto meglio.

E’ per noi, anche culturalmente, un passo indietro perché i ruoli di cura vanno condivisi, perché non siamo venute al mondo con un gene che ci agevola nello spazzare pavimenti, perché i ruoli di casalinghitudine vanno condivisi, ma è un passo indietro, per quel che ci riguarda, come lo era quando ci addomesticavano a ritenere che il lavoro “flessibile” era una gran cosa per le “donne”. Lo è non solo perché offre gratis ancora una volta la prospettiva di queste ammortizzatrici sociali pronte all’uso, che se sono comprensibili, ma non giustificabili, negli Stati Uniti dove che io sappia non esiste lo Stato Sociale, non lo sono affatto in Italia dove lo Stato Sociale lo pretendiamo, pretendiamo che i servizi non siano privatizzati e che si risparmi sulle armi e su altre porcherie e si immagini supporto reale per tutte le persone che ne hanno bisogno.

donnelibertàDopodiché, appunto, scordatevi di trovare di nuovo donne che tornano a casa volentieri, perché non è così. Non sono donne cresciute a pane e cera sui pavimenti, per fortuna. Hanno studiato, vogliono fare altro, alcune non sanno neppure a che serva passare la cera sui pavimenti, lavano i piatti distrattamente, si rifanno il letto perché non possono farne a meno e spolverano ogni sei mesi invitando gli amici a rimettere a posto dopo aver offerto un pranzo a contributo. Conosco coppie in cui lui fa mille cose e lei fa quel che può. Mi chiedo perché non facciano lo stesso ragionamento per gli uomini, perché non ci sono chiacchiere, sulla 27esimaora, per favorire la spinta, che pure arriva, da uomini che vorrebbero stare a casa e badare ai figli, per esempio. Perché presentare una visione così stereotipata e sessista, tutti entro i ruoli di competenza, donne con donne e uomini con uomini, in una visione dicotomica che è trappola dei generi, invece di ripartire ruoli e responsabilità.

Microfascismi mediatici, appunto. Donnismo che indica la via e ti dice indirettamente “seguila”. Donnismo che addomestica e rimuove il conflitto, senza proferire parola quando le donne, come tutti, subiscono repressione in piazza mentre manifestano per avere diritto ad un lavoro e un reddito. Donnismo che tira su il sopracciglio indignato se scendi in piazza arrabbiata a rivendicare i tuoi diritti assieme ad ogni altro precario, senza distinzione di genere, o se chiedi ad una ministra, vedi Fornero in piena assemblea Snoq, di parlare del lavoro che ti viene tolto invece che di generiche e comode violenze che si risolverebbero soltanto in forma astratta.

Vogliono che si torni ad essere felici di fare le casalinghe? Posso rispondere? Col cavolo. E ciao.

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Precarietà.


One Response

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  1. fede says

    Sono femminista, formata negli USA dove vivo, e siccome per varie vicende sono passata da essere la sola che lavorava fuori casa allo stare a casa (no visto di lavoro) il tema mi interessa e mi appassiona. Condivido l’incazzatura sulla mancanza di lavoro per le donne (e non) che non potranno mai “scegliere” se lavorare o meno e la critica di come il dibattito e’ posto nel post della ventisettesima ora, pero’ vorrei aggiungere un pezzo: mi chiedo se sminuendo la sfera domestica non si fa esattamente la stessa operazione che e’ stata fatta nel corso della storia che associando la sfera domestica al femminile e quella pubblica al maschile, da’ piu’ rilevanza alla seconda considerandola l’unica in cui valga la pena esserci e fare? Non sarebbe meglio -in un mondo ideale-dare dignita’ ad entrambe, cambiandone anche profondamente la struttura ed i contenuti e favorire un passaggio fluido da una all’altra a chiunque decida di starci? C’e’ tutto il fenomeno -proprio qui nell’impero del male-delle/dei radical homemakers che scommettendo sulla sfera domestica come luogo di produzione e non di consumo, di attivismo, di cura delle relazioni, elabora soluzioni e alternative al solito sistema capitalistico (peraltro almeno negli USA e’ gente che ha un reddito bassissimo). Quindi, al di la’ dell’articolo del New York magazine, che e’ limitato, la sfera domestica,cosi’come quella pubblica, e’ what you make of it. La casalinga o meglio l’homemaker attuale magari e’ qualcuno che sta a casa ma che la cera non la passa mai perche’ si e’ impegnat* in altro. Anche perche’ se tanto mi da’ tanto, quando lavori fuori casa a meno di fare lavori particolari si serve il capitalismo lo stesso o sbaglio?
    Grazie per lo spunto.