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Femminicidio: in quanto etero, in quanto utero, in quanto mamme, in quanto italiane!

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Da Abbatto i Muri:

InQuantoDonna è un sito fatto allo scopo di documentare, immagino, i delitti contrassegnati come femminicidio. Quale sia il criterio di selezione delle vittime non lo so. Chè basti essere donne e uccise da uomini non fa “femminicidio”, ed è una cosa della quale ho più o meno già parlato. In ogni caso la prima cosa che salta all’occhio è la divisione Donne e Uomini, che equivale a Vittime e Carnefici. Ma l’autrice del sito non ha scritto, appunto, “Vittime” e “Carnefici”. Ha scritto proprio “Donne” e “Uomini” intendendo la divisione per sesso come una divisione tra buone e cattivi. Le donne tutte vittime e gli uomini tutti carnefici, in una generalizzazione sessista e fastidiosissima.

Poi: già di primo acchitto il sito non mi piace molto con questa schedatura ché pare l’album dei ricordi della questura, però, a parte questo, mi chiedo perché accanto ad ogni donna uccisa è scritto il titolo di merito di “mamma”. Ricorre spesso ultimamente questa cosa della fondamentale importanza che le donne ammazzate (o stuprate) avrebbero in quanto mamme prima che in quanto persone. Vorrei capire se ridurre le donne a chiedere rispetto per se’ in quanto portatrici di utero e per le funzioni di cura che svolgono possa portarci ad un superamento della cultura che le donne le opprime o se piuttosto non ci condanni all’assoggettamento a ruoli consegnati e veicolati da donne e uomini affinché si realizzi pienamente la cultura patriarcale.

Dopodiché si vede – appunto – che le donne elencate sono mamme, mogli, fidanzate, conviventi. Per la maggior parte italiane e tutte “perbene”. Solo una volta, da quanto ho visto, è citata una “prostituta”. Le prostitute non sono “donne” neppure quando vengono uccise? Violenza di genere, relativa a ruoli imposti per questioni di genere, è uguale a violenza domestica ed è uguale a violenza perpetrata da un solo genere? E se è uguale a violenza domestica perché allora scomodare altri termini per rinominare un fenomeno già definito.

In definitiva il sito è utile perché mette in luce esattamente la maniera attraverso la quale in Italia viene considerata la questione della violenza sulle donne. Criterio di selezione delle vittime solo in base a ruoli precisi, attribuiti i quali parrebbe che queste donne non meritino la morte. Come dire: vedete? Sono badanti, madri, mogli, non meritano di morire. E le altre?

E’ davvero così che la pensa la maggioranza delle persone che oramai trattano il tema della violenza sulle donne come un brand buono per rifarcisi la faccia e la reputazione? Se la violenza è contro la donna in quanto donna, ovvero in relazione a tutti i ruoli di genere ad essa attribuiti, perché mai si riduce il fenomeno a questa cosa reazionaria che punta alla valorizzazione del femminile in virtù del possesso dell’utero? Perché se vieni uccisa in quanto “mamma” allora sarà Mammicidio, in quanto badante, sarà Badanticidio, in quanto avente utero sarà Utericidio. E vorrei sapere in tutto ciò se vengono contemplate, e io so che così non è, le Trans quando vengono ammazzate.

Dunque nell’elenco ci sono mamme, badanti e descrizioni particolari tipo “cantava nel coro della chiesa” o la ancora più criptica “voleva dar da bere ai bambini africani“. E l’elenco sembra parecchio cattolicheggiante nel suo genere nella definizione di queste donne, mamme, virtuose.

Tra l’altro se scorri la gogna multipla da registro pubblico in serie, simili registro pubblico dei sex offenders americano, accanto agli assassini, che assassini restano, non trovi un “padre” manco a pagarlo. Nessun virtuoso. Perfetta divisione del femminile in sante/puttane e ancor più perfetta e schematica divisione disumanizzante tra vittima/carnefice. Gli uomini sono assassini e basta o al più sono meccanici, imprenditori, disoccupati.

Lo spiegava ieri un compagno di FaS quali sono alcuni dei motivi per cui il termine Femminicidio è diventata espressione della peggiore cultura fascisteggiante nella descrizione del fenomeno della violenza sulle donne.

Mi sembra proprio che nel concetto di femminicidio non sia inclusa nessuna che non corrisponda all’ideale di bianchissimo etereo angelo del focolare trucidato dal folle mostro di turno.” e dunque quando parliamo di femminicidio parliamo anche di delitto “in quanto etero” e non “in quanto donna”. Possiamo osare anche un “in quanto italiana o aspirante tale” visto il modo in cui vengono trattate le notizie di delitti ai danni di donne straniere.

Non so: a voi questo sembra un progresso? A me assolutamente no. A me sembra un modo per normalizzarle, le donne, per ricondurle ciascuna al ruolo che le spetta, e per indicare anche soluzioni che gira che ti rigira propongono aggravanti e repressione e segregazione. L’autoapartheid a partire dalla convinzione che gli uomini siano tutti mostri, stupratori sin dall’idea che devono penetrarti, assassini all’origine, e le donne tutte sante e vittime.

Questo è il modo in cui viene visto il fenomeno della violenza sulle donne oggi e l’unica forma di prevenzione immaginata è quella di una schedatura di massa e di richieste di aggravanti mentre siamo ancora lì a santificare le donne, descritte come piccole, fragili creature mai in grado di difendersi, e a disumanizzare gli uomini, descritti tutti come mostri. Tutti salvo i tutori. Stereotipi su stereotipi. Le donne strette nei ruoli di genere tra vittime o colpevoli e gli uomini stretti in altrettanti ruoli di genere tra tutori e carnefici.

Se questo è il genere di comunicazione antiviolenza che fora il mainstream, che può accedere a contributi e finanziamenti, che può essere valorizzata, chiedetevi il perché. Chiedetevi perché ci sia un linguaggio antiviolenza che sia così perfettamente funzionale alla piena realizzazione della cultura patriarcale. Chiedetevelo e quando avrete una risposta parliamone, se volete.

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, Scritti critici.

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