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Vittime non si nasce. Vittime si diventa!

di Barbara T.

Nella famiglia in cui sono nata non c’erano ruoli di genere: mia madre lavorava, faceva quello che voleva, si comportava come preferiva, e mio padre, che dopo una giornata di lavoro trovava sempre il tempo per sbrigare la sua parte di lavori domestici o per giocare con le sue figlie, ne ammirava l’indipendenza.

Non sono mai stati una coppia progressista o ‘di sinistra’ ma tra loro c’era (e c’è ancora) rispetto e dialogo. Non è bastato a rendere la nostra famiglia perfetta o priva di problemi e incomprensioni, ma io sono cresciuta potendo sostanzialmente scegliere cosa fare della mia vita, senza che nessun* mi abbia rimproverato perché preferivo l’azzurro al rosa, non disdegnavo di giocare con macchinine e dinosauri o impazzivo per le tartarughe ninja.

Le critiche sono venute dai miei coetanei, da cui venni spesso esclusa perché troppo strana.
L’impatto con la società per me è stato traumatico: non riuscivo ad ambientarmi né a condividere quelli che mi apparivano (anzi erano) come dogmi illogici. Ovviamente essere nata femmina si rivelò presto sconveniente.
Per me era irrilevante, ma le intrinseche limitazioni non tardarono a farsi sentire.

I peggiori momenti della mia vita sono dovuti al fatto che tra i 13 e i 14 anni avevo le sopracciglia molto folte e rifiutavo di depilarle – non mi andava e la ritenevo una schiavitù innecessaria -, inoltre, avendo il seno già abbondante, mi vestivo con abiti larghi e informi per il terrore che i miei compagni di scuola, ragazzini già in grado di molestare e offendere, potessero dirmi qualcosa. In realtà me ne dissero tante in quanto, proprio per questi motivi, assunsi il poco ambito ruolo di “cesso da irridere”.

Ma se cercai di reagire al continuo maltrattamento pubblico dei maschi ignorandoli e facendomi i fatti miei, ben poco potetti fare per uscire indenne dall’isolamento adottato dalle mie compagne di classe. Nel nostro perfetto mondo borghese la vicinanza con gli emarginati si paga con lo stesso trattamento  e sono veramente poche le persone che hanno interesse a non instaurare rapporti gerarchici e in tenera età per venire esclusi basta non seguire la moda del momento.
Gli ambienti chiusi del resto riflettono in scala quanto accade nel paese.

Leggo ultimamente molte sciocchezze, tra cui il fatto che esistono persone che amano ergersi a ‘salvatori’ per aiutare chi subisce violenza – ed è violenza psicologica quella che ho subito – relegandola al ruolo di vittima.

Chi la pensa così evidentemente non l’ha mai subita di persona, altrimenti ci penserebbe due volte prima di minimizzare la situazione complessa in cui ci si trova in certe disgraziate situazioni. Non è vero che vieni aiutata e coccolata da tutt*.

Non è vero che vieni sollevata dalle tue eventuali colpe, anzi ti vengono rinfacciate e usate come randello per schiacciare ogni piccolo tentativo di rialzare la testa e chiedere il rispetto che qualunque essere umano dovrebbe avere.

Ti convinci che te la sei cercata, che non ti sarebbe successo nulla se ti fossi adeguata e comportata come la norma non scritta dell’omologazione prevede. Se provi a distinguerti e non hai la cattiveria necessaria per importi tanto vale dipingerti un cerchio in fronte sotto il quale scrivere “ schiacciatemi”; ti autoproclami soggetto indesiderabile n.1 e autorizzi chiunque a sfogare su di te le proprie frustrazioni.

Personalmente, ravviso forti analogie tra bullismo e violenza sulle donne, in quanto ne ritengo simile la motivazione: costruire la propria autostima sulla pelle del più debole.
Per secoli le donne sono state considerate aliene e inferiori all’uomo, relegate a ruoli di cura, servizio o compiacimento che ancora oggi persistono nell’immaginario collettivo.

Persino l’emancipazione degli anni 70 è stata incanalata e controllata tramite altri stereotipi: o la pedissequa imitazione di comportamenti maschili o la donna oggetto di contorno.
La possibilità di divorziare e cercare indipendenza al di fuori della famiglia ha inoltre incrementato i femminicidi e le violenze di genere.

Per un articolo che tratta seriamente queste reviviscenze del delitto d’onore e di un odio atavico esce fuori il Mazzola di turno che si danna per giustificare la violenza. Gli argomenti sono sempre gli stessi:

1- se l’è cercata (del resto se non sei una santa meriti violenza insulti e morte);

2- le violenze sono false, c’è un complotto femminista teso a rovinare l’immagine dell’uomo tramite la critica degli uomini violenti;

3- chiedere agli uomini uguaglianza e criticare chi di loro commette violenza implicherebbe il succitato complotto contro l’uomo (ci si chiede che razza di idea dell’uomo abbiano questi autoproclamatisi difensori del genere…forse per questo odiano tanto gli uomini normali che non hanno bisogno di  picchiare donne per compensare l’assenza di neuroni: dimostrano la falsità della loro teoria della violenza insita nel maschio);

4- la violenza di coppia sarebbe reciproca quindi si torna al punto 1. Peccato che niente autorizza a massacrare chi dici di amare, niente! Ma ricordarlo costituisce, ovviamente, quel pretestuoso  concetto che risponde al nome di ‘misandria’ ( il termine corretto non sarebbe androfobia? Ma forse il prefisso serve a spacciarlo meglio per il contrario di misoginia…) e complotto, per carità!

5- occuparsi di violenza sulle donne vuol dire ignorare gli altri crimini che avvengono nel mondo.  La logica in base alla quale ciò sia possibile non è dato saperlo, mancando però questo punto di qualsiasi logica lo ignorerò.

In realtà non si diventa vittime perché qualcuno dall’alto decide così contro la tua volontà (escludendo le persone che si atteggiano a vittime per avere attenzione, ma nulla c’entra questo discorso con il subire violenza, nonostante chi la commetta tenti spesso di confondere le due cose). Si diventa vittime quando non si riesce a uscire dalla violenza.

Può accadere per diversi motivi, poiché il nostro cervello tende a non accettare l’oppressione, va in tilt, cerca di rimuovere, di cambiare la realtà, si racconta frottole…ma il più delle volte si crea uno stato di depressione e autocommiserazione da cui è difficilissimo uscire con le proprie forze.
Chi viene trattato come una merda, chi viene picchiato e umiliato alla fine finisce per credere al suo carnefice, uomo o donna che sia.

Si convince di meritare quel trattamento, perché non conosce alternativa alle botte o all’insulto. 
E se sperimenta l’isolamento e l’indifferenza è raro che cerchi spontaneamente aiuto o si rivolga a qualcuno, visto che la sua esperienza, seppur circoscritta a poche persone, ha avuto come risultato indifferenza, fastidio o disapprovazione.

E’ facile dire a qualcuno che ha subito violenza ‘denuncia’: nella maggior parte dei casi la vittima sceglierà di scappare e dimenticare, in parte anche perché denunciare la violenza significa sottoporsi a dubbi, illazioni, congetture, sospetti, che . Chi non ci passa ha, com’è logico, difficoltà a capire il dolore della rievocazione necessario per denunciare o anche solo parlarne. Impedisce di guarire tramite l’oblio – dimenticando che l’oblio in realtà non cura nulla, si limita a rimuovere il trauma e tutto il grumo di dolore rappreso, pronto a uscire di nuovo a distanza di anni appena il ricordo accenna a tornare.

Certamente esistono anche uomini vittima di violenza, il più delle volte psicologica, ma anche fisica, che si trovano di fronte al problema di dover affrontare incredulità, scherno e giudizi se non rientrano nello stereotipo machista.

Se nasci donna in Italia, però, a causa un fortissimo retroterra culturale che sfavorisce il sesso femminile, non potrai evitare di confrontarti con  altre donne molestate, abusate, violentate o uccise. Cresci a contatto con la violenza fino a considerarla normale: ti sembra normale quella tua amica che si taglia le braccia a 16 anni perché l’adulto che l’ha sedotta non lascerà mai la moglie per lei; quell’altra che è stata violentata a 14 anni in viaggio con i genitori ed è riuscita a confessarlo solo dopo anni perché si sentiva in colpa per aver trovato attraente quel ragazzo; un’altra che si è liberata a fatica della relazione con un amico d’infanzia rivelatosi un violento, ragazzine molestate e costrette al silenzio per ‘il buon nome della famiglia’…

Personalmente sono stufa di dover chiedere rispetto e di dover spiegare continuamente che anche le donne sono esseri umani di fronte a chi continua a considerarci ‘diverse’ per nascita, a causa di una cultura che ha bisogno di oppressi per garantire i privilegi di pochi.

Finché alcuni, molti, troppi uomini continueranno a considerare noi donne un nemico con cui competere non ci sarà alcuna occasione per cercare di costruire dei rapporti equi; finché si cerca un capobranco da seguire acriticamente per sentirsi forti sarà impossibile lavorare perfino su noi stessi.

E proprio gli uomini sono i primi a doversi liberare da condizionamenti culturali nocivi che gli impediscono di essere se stessi e prevedono l’emarginazione di chi non corrisponde al modello machista che tanto successo riscuote nel mondo.

La violenza è spesso un’uscita troppo facile dalle proprie contraddizioni e dai problemi della vita,  perché la società moderna, basata sulla competitività che abbiamo conosciuto negli ultimi 20 anni, ha imposto la violenza come un valore primario per l’affermazione del sé all’interno di ogni gerarchia sociale o gruppo umano nell’occidente cd civilizzato.

Ritengo che solo smettendo di negare i problemi si potrà costruire qualcosa insieme. Dove c’è violenza non c’è amore, né rispetto, né empatia, solo egoismo.

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


2 Responses

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  1. Elena says

    Sento la mia storia simile alla tua, anche se per me il motivo dell’esclusione è stato diverso: sono sempre stata alta, molto più dei maschi. Alle medie ero già 1.70, alle superiori ho raggiunto e superato il metro e ottanta. Risultato: i maschi ti attaccano perchè non accettano una donna più alta di loro, ma ti attaccano solo a parole (che a botte sarebbe stata dura. L’unico che ci ha provato se lo ricorda ancora, credo), le ragazze non ti difendono (alta come sei lo saprai ben fare da sola no? O forse è la gelosia, chi lo sa).
    Ora abito in un Paese in cui essere alte è tutto sommato normale, e vedo meno discriminazioni sia perchè sono alta, sia perchè sono donna. Credo di essere andata fuori tema, ma avevo voglia di parlare della mia esperienza.

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  1. Vittime non si nasce. Vittime si diventa! – Femminismo a Sud | NUOVA RESISTENZA linked to this post on Febbraio 12, 2013

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