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Riflessioni sulle modalità di reazione ad una violenza verbale

Reagire è un diritto, ma sempre più spesso mi domando quali siano le forme “giuste”. Premetto che sono contro la violenza ma non contro la resistenza, che trovo legittima in ogni sua forma quando è rivolta ai poteri forti. Però oggi vi vorrei raccontare un aneddoto che mi è capitato mesi fa e su cui sto ancora rimuginando.  Ero sul molo con un amico, stavamo parlando del più e del meno, quando notiamo che un gruppo di ragazzini ci ha puntati. Sia noi che loro ci troviamo seduti su delle panchine che distano pochi passi l’una dall’altra. Noi facciamo finta di nulla e continuiamo a parlare dei nostri sogni e di quel futuro che sembra tanto lontano. Uno di questi ragazzi, che avranno avuto pressappoco 13 anni, si avvicina lentamente e per dissimulare la vergogna che sta provando fissa il cellulare, fa finta di giocarci e pian pianino prova ad avvicinarsi di più ma non ce la fa e torna indietro. Gli “amici” non la prendono bene e lo insultano, dicendogli che non vale niente.

Dopo una mezz’oretta, in cui sembra che tutto si sia risolto, ci alziamo e per uscire dal molo siamo costretti a passare davanti al gruppo di ragazzi. Lui, il ragazzino del tentativo fallito, è sdraiato sulla panchina e circondato dagli amici, in modo che non gli si veda la faccia. Quando gli passiamo accanto qualcuno gli dà un segnale e lui dal suo nascondiglio urla “Ma almeno te l’è chiavat!” (traduzione: Ma almeno te la sei scopata). La frase nasce probabilmente dal fatto che vedendo un uomo e una donna parlare e pensando che non possa esserci amicizia tra i due, per forza di cose lui avrebbe dovuto scoparmi, o almeno provarci. Dopo aver ascoltato/subito quell’insulto mi giro di scatto, sono incazzata ma continuo a pensare che non voglio ricambiare con un’ulteriore violenza,  e nel giro di pochi istanti vedo quel ragazzo, lui capisce che sto per reagire e cerca di correre ai ripari, fingendo che la frase fosse stata riferita ad altro, io rifletto poco e agisco di istinto. Applaudo. Non chiedetemi il perché, non lo so neanche io… so solo che non volevo umiliarlo, ma allo stesso tempo non volevo subire. Dopo aver applaudito c’è stato del silenzio.. nessun@ ha detto o fatto altro. A quel punto me ne sono andata, perché la rabbia era ancora lì e non volevo che si riversasse contro quel ragazzo. Se fosse stato un mio coetaneo gli avrei risposto come si deve, ma quello era un ragazzino che subiva la violenza del branco. L’ho subita anch’io quella violenza e so quanto è difficile sottrarsi. Poteva benissimo rifiutarsi, questo è vero, ma quando al primo tentativo fallisce i suoi “amici” sono ancora lì a spingerlo/obbligarlo a portare a termine la “missione”. Era probabilmente una delle tante prove che i ragazzi devono superare per essere considerati uomini.

Mentre mi incamminavo verso casa continuavo a pensare a quel ragazzo, al branco, e a me e al mio amico che eravamo stati umiliati. In realtà molti nostri coetanei non fanno altro che interpretare male il nostro rapporto e spesso ci capita di doverci giustificare, dimostrare di essere solo amici, inoltre tanti uomini mi hanno considerata o mi considerano solo un corpo da usare, mettere in mostra, o schernire, umiliare. Se questo è quello che dobbiamo fare tra adulti come posso biasimare questi ragazzi? Vi ho raccontato questo aneddoto perché da allora continuo ad interrogarmi sul modo di reagire, sulle forme che mi permettono di difendermi senza però alimentare il circolo della violenza. Perché quel ragazzo è stato sì un cretino, ma è anche vero che è stato costretto (i ragazzi hanno meno strumenti di noi per respingere certi meccanismi) dal branco e che quello stesso branco, fatto di tanti ragazzini, nasce e viene supportato da un’intera cultura. I branchi esistono perché lo abbiamo permesso noi, perché in questo sistema ci continuano a dire che bisogna farsela con i più forti, saltare sul carro del vincitore, non guardare in faccia a nessuno, se si vuole essere qualcuno. In questo caso essere un “uomo”. Spiegare tutto questo ad un ragazzino in pochi minuti mi è difficile, sapete l’idea di andare lì e chiedergli il perchè mi ha sfiorata, ma poi ho seguito l’istinto e le mie mani hanno iniziato ad applaudire. Cosa volevo dimostrargli non so, ma so che volevo reagire in modo inaspettato, inatteso, per creargli scompiglio nella testa e forse spingerlo a porsi dei perché. Forse non ci sono riuscita lo stesso nel mio intento, ma non ho avuto molto tempo per poterci pensare su, quando accade devi agire subito e respingere la violenza subita.

Adesso che ne è passato di tempo mi chiedo cosa si può fare, cosa si può dire non solo per reagire ma anche per far riflettere quei ragazzini che si comportano da guappi ma sempre ragazzini restano. E con questo non voglio dire che non ha una sua responsabilità, ma che la consapevolezza di ciò che ha fatto non è elevatissima e neanche la libertà di scelta. Avrà tempo per comprendere tante cose e forse per farsi un po’ di autocritica, come abbiamo fatto tutt@ noi, ma intanto come bisogna comportarsi? Come posso disinnescare il ciclo della violenza e forse dimostrare che vi sono altre modalità di relazione? Come rompiamo questa cultura che fin da piccoli ci insegna a subire e far subire violenza? Voi cosa fareste?

Posted in AntiAutoritarismi, Pensatoio.


8 Responses

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  1. maria says

    io di solito rispondo col sarcasmo, o se la molestia è particolarmente pesante mando affanculo senza riserve, 13enne o maggiorenne che sia il cafone.
    Secondo me oltre all’applauso ci sarebbe stato bene un ‘congratulazioni, hai infastidito due perfetti sconosciuti, ora sì che sei un vero uomo!’.

  2. Igor Giussani says

    Comunque per la maggior parte delle situazioni secondo me è raccomandabile il consiglio del Sommo Poeta (“non ti curar di loro ma guarda e passa”)

  3. Cyner says

    Di tutte le risposte, perché proprio l’applauso?
    Perché era una messa in scena.
    Del fatto che volevano in qualche modo parlarvi (perché? chissà) e non parlarvi (prima “si avvicina, MA dissimulando col cellulare” poi “ci parla MA nascosto fra i suoi compagni”).
    Un desiderio legittimo ma ovviamente poi cosa se ne sono fatti? Lo hanno impostato nel solito modo aggressivo/machista che è l’unico linguaggio di cui dispongono.
    Forse a quei ragazzi si poteva dire “se volete parlarci, non c’è bisogno che facciate gli scemi e venite qui”… forse
    E forse avrebbe funzionato o forse no.
    Di sicuro l’applauso è stato un modo ironico per rispondere “si vi ho visti esibirvi e vi disapprovo” poi se si sono vergognati abbastanza potranno chiedersi “perché è andata così?” e se avranno intelligenza e fortuna, troveranno le risposte giuste… ma dipende da loro.

  4. luminal says

    hai ragione, il problema è il loro e non del mio amico. Però è vero anche che il problema non è solo il loro dato che se credono nello stereotipo del vero uomo è perchè qualcun@ glielo avrà insegnato. E quindi se io, nel mio sacrosanto diritto di reagire, vado ad usare altra violenza che va ad alimentare una visione dei rapporti che questi ragazzi già hanno (basata sulla legge del più forte) cosa potrò mai ottenere?? Io voglio poter reagire senza alimentare ciò che mi costringe a difendermi ogni giorno, altrimenti vincerà sempre la violenza… e questo io non lo voglio. E non voglio neanche subirla. Ma sono solo all’inizo di questo percorso e non so proprio come fare. Comunque sì, l’antisessismo ci rende tutt@ più liber@ anche se, per ironia, vien percepito in modo opposto

  5. Igor Giussani says

    “Per il ragazzo non l’avrei usata, perchè quella sua frase non umilia solo me ma anche il mio amico, perchè quella frase segna il limite tra un “vero uomo” (quello che non deve chiedere mai) e il “non uomo”. lui non avendoci provato e avendo avuto un comportamento amichevole con una ragazza, è passato per il non uomo, quello che non ci prova, che forse è anche gay…”

    Però deve essere evidente che il problema è LORO e non del tuo amico. Perché mentre loro si trastullavano in giochini idioti, lui ha passato il tempo a parlare con una persona con la quale intendeva passare del tempo senza dover dimostrare niente, nella piena libertà di farlo. Per fare il verso ai ragazzini, ha fatto quello che voleva fare che non era scopare. Invece chi sviluppa quei pregiudizi, se vuole trascorrere del tempo con una donna o si deve sentire in dovere di corteggiarla o di non sembrare gay, o deve cercare persone aggiuntive, o deve ostentare non-interesse… qualche tempo fa Gasparrini ha avuto da ridire con me perché sostenevo non sottolineamo mai abbastanza come la rinuncia del sessismo porti agli uomini più libertà e non meno; avevo proprio in mente una situazione del genere.

  6. luminal says

    @ Mariangela: mettere in mezzo le loro madri non mi avrebbe portato a molto. Le madri sono considerate proprietà private e quindi se io gli avessi posto la tua domanda loro mi avrebbero risposto che no, non gliela avrebbero fatta passare liscia, ma non avrebbero reagito perchè è stata offesa la madre in quanto donna, ma perchè è stata offesa la loro di madre (leggi proprietà privata, per di più portatrice dell’onore della famiglia).
    Hai ragione però nel dire che bisogna reagire, perchè l’idea della donna passiva non piace neanche a me.

    @ Jo: hai perfettamente ragione, lui mi ha reso un pezzo di carne, un campo su cui piantare bandierine di vittoria… e la tua risposta mi è piaciuta e me la segno per usarla con i miei coetanei. Per il ragazzo non l’avrei usata, perchè quella sua frase non umilia solo me ma anche il mio amico, perchè quella frase segna il limite tra un “vero uomo” (quello che non deve chiedere mai) e il “non uomo”. lui non avendoci provato e avendo avuto un comportamento amichevole con una ragazza, è passato per il non uomo, quello che non ci prova, che forse è anche gay… ecco, questo sarà più o meno passato per la testa di quei ragazzi. E nel dualismo imperante loro si sono schierati dalla parte dei “veri uomini” e hanno umiliato sia me che lui. Se gli avessi dato la tua risposta forse mi avrebbero risposto da spacconi, e avrei alimentato ancor di più quello stereotipo. Ma non so dirti se questa mia analisi è giusta.

  7. Jo says

    “Almeno te la sei scopata” faceva parte della grande prova di coraggio che doveva affrontare per essere considerato dal branco.
    Per essere uomo ti doveva rendere un pezzo di carne senza volere, ha chiesto a lui infatti se ce l’aveva fatta.
    “Lui no, perché tu vorresti?”, mi sarebbe venuto spontaneo troncare così.
    Violenza per violenza, umiliazione per umiliazione.

  8. Mariangela says

    Io gli avrei chiesto se al posto tuo ci fosse stata una delle loro madri, lo avrebbero trovato divertente? da machi? mi sarei rivolta a tutto il gruppo.
    Quei ragazzini, sono gli uomini, stronzi, di domani……..umiliarli sarebbe stato il minimo, un ricordo indelebile della figura di una donna che reagisce e non subisce. Ci penseranno due volte la prossima volta.