Media e Pas. Esiste chi la sostiene e vuole ripristinare i rapporti di forza e di genere nella nostra cultura ed esiste chi vi si oppone e fa esattamente la stessa cosa. Esiste chi esibisce un malcelato odio contro le donne ed esiste chi vuole rimettere le lancette dell’orologio indietro tornando al tempo in cui a Sanremo si cantava “Mamma, solo per te la mia colomba vola” quando l’unico papà mediatico decente di cui ci si ricordi era Charlie Champlin.
Qualcuno a commento di un altro post dice: “Quindi in sostanza la PAS è un metodo sbagliato, autoritario e pretestuoso a cui io sono contrario, però è la risposta ad una cultura sbagliata, autoritaria e pretestuosa che io combatto. Andare contro la PAS senza decostruire la cultura sessista che l’ha resa un cavallo di battaglia equivale ad avallare la cultura sessista stessa in maniera nemmeno del tutto inconsapevole.”
Partiamo da qui. Qual è il problema? Che se io vedo Timperi in televisione con il suo famoso sguardo di ghiaccio che dice “madre malevola” e dice “patti prematrimoniali” e “pene severe” (carcere o qualcosa del genere) per quelle “madri malevole” di cui sopra, serenamente dico che mi prende male e mi ritiro in buon ordine dalla mia parte della barricata e chiedo come mai in un contesto in cui si parla di bambini e genitori si finisce per generalizzare, si attribuisce una origine con grave pregiudizio di genere ad una malattia che non è riconosciuta tale, si parla di patti (che per inciso non contesto) che attengono alla divisione dei beni e delle proprietà, salvo pensare, ed è abbastanza bizzarro, che sia tale anche un bambino, e si evocano soluzioni autoritarie che diventano una specie di vendetta di genere, una rivalsa per dire “così impari”.
Poi per fortuna, fortuna del mio buon senso, su Porta a Porta, dove mancava il plastico anche se il circo mediatico c’era tutto, vedo anche la Mussolini che sottintende che la mamma non si tocca, mi vengono in mente i suoi valori, le trasmissioni con la D’Urso attualmente votata all’ascolto delle madri cui vengono sottratti i bambini per diagnosi di disturbi di ogni genere, da quello della personalità a quello dell’unghio incarnito, tutto infelicemente accompagnato da una colonna sonora di commenti in cui la natura dice, natura ordina, natura stabilisce che la mamma è mamma e che la donna ha l’istinto materno, è buona dentro, è normalmente quella con la quale i figli devono restare, e mi viene in mente il ventennio.
Mi viene in mente anche che sono esattamente due facce della stessa medaglia. E a me non può piacere né l’una né l’altra. Perciò coerentemente, come si dice nel commento citato, abbiamo decostruito la cultura sessista che ha reso possibile l’esistenza della Pas e di sicuro non è una cultura che avallo, avalliamo, perché non ci riguarda.
Ha ragione la Matone quando parla di indisponibilità a condividere la genitorialità e ha torto chi dice che un condiviso realizzato sia quello in cui l’affido a due c’è ma il “collocamento”, ovvero il domicilio, il luogo in cui sta il figlio, è prevalentemente quello della madre. Se il domicilio è sempre e solo quello della madre non è un condiviso. E’ esattamente com’era prima. Se un genitore deve pietire per una visita e non può incastrarsi nella quotidianità del figlio prima o poi ne rimarrà inevitabilmente fuori. Conosco tante storie di coppie in cui lui, per disinteresse, si è fatto scivolare via un legame che ora, di fatto, non c’è più. E non posso che essere positivamente sorpresa nel vedere chi non si arrende e proprio non ci sta a perdere un contatto e a insistere nell’offrire ad un figlio l’opportunità di avere un altro genitore.
La cultura sessista che condanna un uomo a pietire la possibilità di esercitare il proprio ruolo genitoriale è la stessa che condanna le donne a restare incastrate sempre e solo nei ruoli di cura. E’ la cultura che stabilisce a priori che il padre sia un mostro, il cattivo, l’antica figura autoritaria, il padre padrone, e la madre sia la consolazione, la santa, la meravigliosa protezione dei più deboli, colei che è felice di svolgere il proprio ruolo e non fa altro che sfornare torte e pietanze varie per abbuffare i suoi piccoli. Così le madri sono ancora viste dalle pubblicità. Spogliarle di santità e umanizzarle costa sangue e rivolta. La rivolta delle mamme che si uniscono a dire che la casa del mulino bianco è il loro obiettivo politico, che tutte le loro speranze sono mirate alla “conciliazione” tra lavoro e famiglia e che guai a chi tocca i loro figli.
Poi guardi la realtà e vedi Renato che di fare il padre padrone non ha mai avuto voglia e che rifugge perfino i conflitti nelle discussioni con gli amici e vedi Melina che non prepara torte, perde la pazienza, molla un bacio ai piccoli, li lascia con il suo compagno e se ne va a lavorare. Perché chi ancora stabilisce che i ruoli debbano essere quelli di una volta è esattamente chi vuole che le leggi restino quelle che sono.
Per riequilibrare la situazione serve che tutti quanti ci interroghiamo sui ruoli di genere e sulle discriminazioni, sulla libertà di scelta e sulle responsabilità collettive che dobbiamo assumerci quando si parla di bambini. E torniamo a quello di cui si discute in questi giorni. La Pas non è una malattia, è come lo stalking o il mobbing, diceva Fabio Nestola ieri sera su Radio Radicale. E se ritiene sia una forma di maltrattamento, un condizionamento dal quale deriva un disagio e conseguenze gravi ha perfettamente ragione. Il punto è, come mi suggerisce una amica, che lo stalking è un reato e quando una persona viene accusata per questo ha diritto ad un giusto processo, con prove precise e un iter giudiziario in cui si ha diritto alla presunzione di innocenza e ad una difesa. La Pas invece viene diagnosticata da un perito/psichiatra e una diagnosi è una sentenza, un giudizio senza appello, una condanna in cui l’unica prova è il parere dello psichiatra che l’ha espresso. Una condanna dell’operato di un genitore, madre o padre che sia, che si riflette su un bambino perché lui quello che viene strappato via alla sua vita, ai compagni, alla scuola, a tutto quello che conosce. Per amore di garantismo bisognerebbe definire la questione e comprenderla tra i maltrattamenti, gli abusi, psicologici che può subire un bambino. Dunque la condanna andrebbe inflitta ai genitori e non ai bambini. E per amore di onestà intellettuale bisognerebbe prevenire e fare in modo che prima ancora che un genitore possa mettere in atto una situazione del genere, come dice la Matone, deve essere fermato.
Quello che è successo a Padova, da ciò che dicono i media, è che lei non ottemperava ai provvedimenti in cui le si diceva di rispettare le modalità di condivisione dell’affido. Dopo numerosi richiami e un iter senza fine durato sette anni, dopo mille volte in cui le è stato detto, a partire da quando il bambino aveva 4 anni, età in cui certamente non poteva aver maturato tanto odio contro il padre, di agevolare il diritto di visita, i giudici hanno ritenuto di dover monitorare, richiamare, infine toglierle la potestà e di affidare il bambino al padre. Un padre che il bambino chiamava “lurido verme”, dal quale non poteva essere domiciliato fin da subito ed è per questo, dicono, che sia stato portato in un istituto per un riavvicinamento graduale per evitare che il padre gli fosse imposto dall’oggi al domani. Dall’altra parte dicono che bisognava realizzare un percorso più graduale e sette anni, perfino per me che odio tutte queste procedure, che ho una avversione per ogni tipo di autoritarismo, che sono femminista e che reputo la Pas una soluzione sbagliata, sembra un percorso molto graduale. Abbiamo sempre detto che un bambino non deve stare con un genitore violento ma qui non c’era un padre maltrattante e se buttiamo via un padre per la sua “rudezza” – così come dice la madre nella sua lettera pubblica – allora la metà dei genitori, e non parlo solo degli uomini, dovrebbe essere spazzata via.
Poi c’è la psichiatria e quel percorso autoritario che interviene quando due adulti non si parlano e ad essi si sostituisce lo Stato, l’autorità, la forza pubblica, lo psichiatra/perito. Il perito viene giudicato in primo luogo dagli stessi psichiatri che prendono le distanze dalla Pas, dal modo in cui il bambino è stato prelevato e da tutto il resto. Lui si difende e denuncia anche di aver subito delle minacce. Da qui si vede quale livello abbia raggiunto una faccenda che tocca corde emotive di troppa gente e che viene trattata male da ogni genere di tifoseria, pro padre, pro madre, perfino pro figlio. Perciò bisognerebbe metterci un punto ma tant’è.
La riflessione che però emerge guardando la faccenda in modo laico è che in televisione vedi tanta gente che parla di scienza. Scienza spazzatura l’hanno definita alcuni o scienza inesistente l’hanno definita altri. In ogni caso c’è gente che discute di una teoria e c’è la richiesta da parte di chi parla di scienza di fare evolvere questa teoria in varie direzioni. Capisco che si sentano oppressi da chi impone una morale e capisco come possa sembrare medioevale l’atteggiamento di chi dice “no” senza aver considerato che le intuizioni possono evolversi, possono solo essere la base per un ragionamento culturale un po’ più ampio. Considero veramente sterile il continuo discredito cui viene fatto oggetto Gardner così come chi vi si oppone. Gardner non mi è simpatico, psichiatra, con un trascorso pratico/professionale nel corpo militare tedesco dopo la grande guerra. Uno che teorizza una terapia che si chiama “della minaccia” non può che aderire a logiche autoritarie. Ma detto ciò è la sua teoria che va discussa e non la sua persona perché se puntiamo la faccenda sulle persone allora neppure io, femminista, autodeterminata, antiautoritaria, sicuramente piaccio a quelli che sono contro tutto ciò in cui credo.
Quello che conta sono i fatti, sintomatologia opinabile, casistica inesistente e tante altre cose che hanno fatto concludere che la Pas non sia una malattia. Ma se lo stesso Foti, che ho ascoltato tempo fa in un suo intervento contro il negazionismo della pedofilia, su Rai 1 dice che la sindrome non c’è ma che l’alienazione parentale esiste allora quella che va discussa è la terapia che pare essere stata applicata in quel di Padova. Non Gardner e non più la Pas che i suoi stessi sostenitori non sostengono neanche più.
Cosa si vede, comunque, dall’esterno guardando i media in questi giorni? Me lo ha detto una persona che di tutta questa storia non sa nulla. Si vede della gente che parla di una teoria scientifica e di tutto il medioevo che gli si rivolta contro. Si vede della gente che propone una teoria e gente che dice “no, questo non si fa”. Questo è il messaggio che passa. E se il messaggio che passa è questo qualcosa di sbagliato nella maniera in cui si fa opposizione ci deve essere.
La mia risposta è che ha ragione, in parte. E’ vero. La discussione è priva di senso se non fosse che non si tratta solo di una teoria ma di una cosa che viene utilizzata nei tribunali per medicalizzare i conflitti tra genitori separati. Parlarne o opporvisi non significa ledere il diritto di chi deve poter discutere di scienza senza problemi. Significa che la libertà di sperimentare una teoria non riconosciuta non deve passare su cavie umane. Perché se ancora nel 2012 si ritiene che la scienza possa commettere errori sulla pelle delle persone allora c’è un problema.
E l’altra osservazione antiautoritaria che mi è stata fatta è: “perché per mettere in dubbio la teoria di uno psichiatra serve un altro psichiatra? perchè esiste una commissione di psichiatri che decide quale malattia può essere contenuta in un manuale diagnostico e quale no? chi sono costoro per stabilire regole normative della vita altrui? perché per opporsi ad una soluzione autoritaria ci si attacca a e si legittima uno schema autoritario?“.
E su questo sono d’accordo. Infatti bisognerebbe proprio spostare il ragionamento e lasciare che la scienza discuta di scienza mentre noi si discuta di diritti civili. Perché è di questo che stiamo parlando. Il sacrosanto diritto delle persone a non subire medicalizzazioni intrusive e normative delle proprie vite. A maggior ragione se queste persone sono dei bambini.
Infine un dato: lo psichiatra, che non è di certo Dio e dunque non ha preso di sicuro la patente antisessista con la laurea, ha sicuramente il diritto di esercitare il suo mestiere, fare scoperte, evolversi, dibattere su teorie opinabili e metodi di cura, tutto ciò che vuole. La cosa sulla quale invito tutti ad interrogarsi è il fatto che talune figure professionali non sono lì per chi ne ha bisogno e ne può fruire liberamente. Non sono professioni, quelle, che attengono alla libertà di scelta di un individuo di servirsene o meno: penso di avere un problema, prendo e vado, pagando, e chiedo un consulto e una terapia. Si tratta di professioni che hanno un grande potere normativo delle vite altrui e che si inseriscono in contesti, i tribunali, le carceri, vari luoghi in cui il diritto alla cura diventa obbligo di correzione. Quando uno psichiatra smette di essere una opportunità e diventa un obbligo imposto per legge con i suoi Tso, i suoi sedativi per tenere a bada situazioni a rischio nelle carceri o nei Cie e in tutti i lager di questo mondo, con le diagnosi su sindromi e disturbi di ogni genere per dire ai genitori se sono adeguati o no, con diagnosi ai bambini, allora si innesca un meccanismo autoritario.
Chiunque abbia a cuore una società libera, priva di intrusioni autoritarie, dovrebbe preoccuparsi di questo e non avallarlo in alcun modo. Ci sono delle alternative. Usiamole e se non sono sufficienti inventiamone altre. Parliamo noi che siamo la società civile. Parliamo noi prima che un perito qualunque medicalizzi e patologizzi il nostro antisessismo/antiautoritario e ci delegittimi sostituendosi a noi nel governo delle nostre vite. Siamo noi che dobbiamo governare i nostri destini e le nostre scelte. Facciamolo insieme. Facciamolo con qualche grammo di buon senso in più.
Roberta scusaci ma non possiamo fare passare il tuo commento perché viola la nostra netiquette
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/netiquette/
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Una cosa non ho capito.
“perché per mettere in dubbio la teoria di uno psichiatra serve un altro psichiatra? … ecc.”
mi sembra esattamente l’oppoosto di ” Infatti bisognerebbe proprio spostare il ragionamento e lasciare che la scienza discuta di scienza mentre noi si discuta di diritti civili”
L’osservazione antiautoritaria mi sembra porti al referendum popolare per discutere su quale teoria scientifica sia quella corretta. E’ ovvio che devono essere gli psichiatri a dibattere di una teoria psichiatrica e decidere quale teria psichiatriche debba essere inserita in un manuale psichiatrico.
Con i referndum popolari si finisce per avere le teorie sui negri inferiori e la segregazione per legge su basi scientifiche.
Permettimi una battuta: la guardia nazionale mandata da Kennedy a difendere le il diritto dei ragazzi neri a iscriversi a scuola hanno messo sotto i piedi la volontà popolare ma credo che abbiano fatto bene.
Articolo frutto di una riflessione laica, assennata, anti-ideologica. Grazie. Mi sembra di tornare a respirare, dopo settimane di strumentalizzazioni ‘femministe’ (di cui non avevo colto l’aspetto tradizionalistico di ritorno) e di retropensieri ignobili (per bigottismo e tradizionalismo medievale) che si annidano tra alcuni difensori del papà di Leonardo.
Ottimo l’attacco alla cultura sessista
Argomento sul quale ci sarebbero centinaia di aspetti da esplorare, ma è ottimo soprattutto per la cristallina ambivalenza: donne discriminate per certi aspetti, uomini discriminati per altri.
Considero una boiata la discriminazione in quanto tale: la discriminazione di una persona, della sua libertà, della dignità, dei diritti.
Persona in quanto tale, non donna o uomo, ebreo o buddista, padano o terrone..
Qualsiasi discriminazione nasce da un preconcetto, sempre figlio dell’odio, a sua volta figlio della paura e dell’insicurezza.
Complimenti all’autrice; l’obbiettività non è merce che si vende un tanto al chilo, chi ce l’ha se la tenga stretta e la sbandieri con orgoglio.
Fabio
La PM dott. Matone dice che il decreto di allontanamento non menziona la PAS, ma descrive la “condotta scellerata” della madre che da 5 e più anni privava il bambino del papà violando ogni sentenza. Eseguito l’allontanamento, risulta che il bambino alienato stia rapidamente recuperando il rapporto con il papà.
Ottimo articolo.
Hai toccato il cuore del problema invitando ad *analizzare* e quindi isolare i termini di confronto. Attuare critica si puo’ e si deve. Andare a fondo anche. Se non ci fosse l’automatismo di assegnazione e affido dei minori alla madre non ci sarebbero battaglie legali.
Un punto che fikasicula ha toccato con estrema lucidita’, dimostrando che in fondo il vero antisessismo e’ solo se e’ antiautoritario.
Giudica lo psichiatra, e’ vero, ma giudica di piu’ il giudice e ha piu’ potere ancora l’avvocato: la pas e’ il piu’ delle volte un espediente di legali senza scrupoli. Mentre l’alienazione genitoriale c’e’. Ma c’e’ anche da parte di padri nei confronti di madri e c’e’ anche all’interno di famiglie di non separati.
Un punto essenziale: separare una volta per tutte la tutela del bambino dalla tutela della donna (c’e’ anche nel nuovo manifesto femminista, e la cosa stona) perche’ significa continuare a pensare al bambino come a qualcosa di asessuato, un pezzo di qualcun altro, di qualcun altro, non un individuo.
E bisogna poi cominciare a considerare all’eccessiva giudizializzazione delle unioni: chiedere la non obbligatorieta’ dell’assistenza legale epr le separazioni consensuale, ad esempio.
Infine chiedere che si ascoltino i genitori, non la madre, non il padre, ma il genitore desessuato.
provo un profondo schifo.
Elucubriamo su un nome, sull’eventualità di definire sindrome o disturbo, sull’eventualità d’inserire qualcosa in un manuale.
nel primo decennio degli anni 2000 il fenomeno delle false accuse ha avuto la stessa cassa di risonanza, poi Luca Steffenoni scrisse “Presunto colpevole” e qualcosa di più su questo argomento si è compreso.
Oggi questo. Non uso nessun nome per definirla/o non so se la somma di comportamenti tenuti dai bambini e ragazzi elencati da Richard Gardner e dal Prof. Gullotta ripresi in Italia si chiami PAS o come cavolo volete chiamarla.
Potrebbe anche essere PIPPOPLUTOEPAPERINO, non mi interessa. Quello che mi interessa è che questi comportamenti sommati ci sono e che discutere sul nome non aiuterà i bambini che li agiscono (o meglio subiscono). Quindi cosa vogliamo fare andare avanti a dire si no si no esiste non esiste oppure attivare risorse per far star meglio i figli?
Grazie Laura 🙂
Standing ovation per te Fikasicula