Skip to content


Fine

Quando finiscono le relazioni c’è sempre il gran bisogno di stabilire dove c’è una colpa. Difficile poi dirsi che non si corrisponde, che si è un po’ differenti, che quella crescita ha determinato una distanza, che ci si vuole tanto bene e che è doloroso dirlo ma è finita. Finita perché ci sono nuove vite ed interessi e cose belle da intraprendere ed è finita senza doversi vomitare addosso la delusione “perché tu non sei più quell@ di una volta” ché in realtà io, “quell@ di una volta” non lo sono proprio mai stat@. Siamo solo cambiati, non ci corrispondiamo più ed è così che va detto, con un po’ di malinconia e senza rancore, perché le storie finiscono e non è colpa di nessuno.

Quando finiscono le relazioni un@ dei due ha bisogno di stabilire che l’altr@ è quell@ che ne è responsabile, che sta sbagliando, e in questa ricerca del dettaglio per rompere un legame difficile da scindere esige una risposta, un riconoscimento: “e dimmelo che tu sei peggiore… dimmelo che sei una merda… dimmelo che sei diventat@ fango… su, dimmelo che non mi corrispondi più e che andare via per me è una mossa dignitosa… Fammi andare via con la sensazione di aver fatto la scelta giusta, di aver abbandonato il cerchio della fiducia. Liberami dicendo che tu sei peggiore perché se tu non me lo dici io non ce la faccio.

Ed è così che l’altr@ che non avverte o non capisce e non riconosce il bisogno della rottura non può sapere di cosa si ha bisogno. Non può sapere certo che si ha bisogno di dipingerl@ peggiore per rompere quel cordone ombelicale, quella dipendenza che si è stabilita tra te e lei/lui. Non può saperlo.

A volte scindere un legame è una prova di forza. Devi farlo tu per lei o per lui che proprio non ce la fa. Chiudi ogni comunicazione ed è un atto di coraggio perché sei tu il cattivo o la cattiva. Sei tu che ti becchi ogni insulto e veleno. Sei tu che ti assumi la responsabilità di scegliere quale relazione, con chi, cosa, come. Lo fai anche per chi non lo sa fare. Per chi non sceglie. Per chi non ti sa abbandonare.

Il tratto di dolore più cruento è separarsi dicendosi che non c’è proprio colpa. Si è solo differenti e ci si vuole bene e ci si stima ancora ma è finito l’amore, la passione, la condivisione di un percorso e di un progetto di vita e dunque si va avanti. Sapendo che quello che c’è stato è davvero tanto prezioso e che in futuro si faranno altre cose.

Quante sono le coppie che si fanno un male perfido perché semplicemente hanno bisogno di mettere al muro, sotto processo, colui o colei che devono lasciare per stabilire che esistono prove provate valide per quella rottura? E tu sei così e lei è cosà e noi siamo bhò. Sono tante, quelle coppie.

Si vive eternamente di scissioni e frazionamenti e lo stesso panorama movimentista è tra il più frammentato che si riconosca. Frammenti sparsi di ostilità sospesa e non spiegata dove le posizioni sono espresse a colpi di infamie e porcherie e ché se devo dire che con te c’ho dei problemi allora tu sei pessim@, non divers@ ma senz’altro pessim@, una vera merda. Le frammentazioni dignitose sono politiche e non personali e quelle le spieghi e le racconti mentre in privato con le persone ci puoi anche scambiare abbracci e baci. Ma è difficile raccontarsi pure quelle e in giro è tutto un recriminare minaccioso e perfido e sofferto e pesante e dio che stress! quando sei tu che devi spiegare le ragioni per cui il mondo vuole andare altrove.

Ho dei problemi, lo ammetto. Ho sempre avuto il brutto vizio di decidere le mie rotture perché chi stava con me trascinava troppo a lungo ogni conflitto. Nulla di chiarito. Legami addio, amici addio, progetti addio. Un taglio netto e fine, senza guardarmi indietro, perché se tu mi hai fatto qualcosa, se mi hai ferito, non ho nulla da dirti o da capire. Domani ti parlerò ma intanto all’oggi siamo al bye. E poi si cresce e si rinasce e si capisce e gira che ti rigira le persone tornano, i progetti rinascono, gli amici non li perdi tranne quelli che ti hanno fatto davvero male. Ma non ho aspettato né la conclusione di un processo, né di motivare la mia scelta. Se è fine è fine, senza ipocrisia. Con te non parlo più perché hai rotto, mi hai sfinito, mi hai segato tutta la pazienza. Non sei sbagliat@ ma non ce la faccio.

Così un bel giorno dissi all’uomo che poi diventò il mio ex che avrei fatto concludere una mia amicizia perché l’amica era diventata dipendente ed era una sofferenza riuscire a marciare al passo suo se lei esigeva che scegliessi in base alle sue richieste. Voleva che restassi. Io sono andata. Voleva che non mi trasferissi, io cambiai città. Voleva non andassi avanti, avanti per quel che mi riguardava, e io invece andai. La responsabilità poi fu tutta mia e me l’assunsi. Così la assumo ancora, oggi, mentre ti guardo e dico che non si può andare avanti. Fine di questa storia e di questo progetto. Fine di un abbraccio, di un corpo sul corpo, fine della tua pelle e del tuo odore, fine del tuo respiro e della tua voce, fine della tua risata e dei progetti insieme, fine di oggi, fine di domani, fine di questo letto dove custodiamo le nostre notti e fine di quella lampadina fulminata e poi di quella mattonella che non resta dritta e fine di quel dettaglio sulla parete a destra e della vita che mi sto lasciando dietro. Fine di questo ultimo orgasmo, di questo amore intero e di questo abbraccio che è consapevole di un addio. Fine di questo legame forte, meraviglioso, autentico che ho contribuito a costruire. Fine dell’espressione ironica sul tuo viso e non è colpa tua, non è neanche mia. E’ che vogliamo cose diverse. Non c’è di che dispiacersi.

Se soffrirò? Moltissimo. Perché non resto? Perché non è restando che risolvo. Io qui, con te, adesso, mi sento soffocare. Non è più libera questa mia scelta. E’ quasi un obbligo, un dovere, e ho bisogno di respirare e vivere e andare. Dove? Ma che ne so. Però voglio essere libera di esplorare e di rimettermi in discussione. Voglio essere libera di vedere, capire, sapere, sbagliare e invece così è una trappola. Mi sento in galera. Perciò addio, amore mio, perché ti ho amato veramente tanto. Ti amo ancora, in effetti, ma devo andare per non morire.

La valigia pronta, quei libri li prendo un’altra volta, ora non posso, l’ultimo bacio. Stai bene, car@. Vedi di odiarmi per un po’ perché altrimenti non riesci a separarti. Odiami un po’ e poi sorridi. E’ già domani.

Posted in Narrazioni: Assaggi, Storie Precarie.


One Response

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. Serena says

    L’unico modo per mandare affanculo i rapporti liquidi per davvero 😉 Bellissimo post.