Skip to content


Deconstructing Elasti

Niente contro il blog di Elasti, che spesso scrive cose condivisibili – opinione personale, per carità – anche se appaiono in quel contentore inquietante che è “D” di Repubica – perdonate il refuso, è voluto. Però stavolta  le è uscito qualcosa di veramente illeggibile. [Nei commenti tra parentesi quadre] chiarirò il perché.

È un giorno ventoso di fine estate, in spiaggia, con il mare increspato, le sdraio vuote e gli ombrelloni chiusi. Uno di quei giorni settembrini e malinconici, in cui il cielo, le nuvole e il sole hanno i colori di un cartone animato.

Sono in due, uno di fronte all’altra. Una buca scavata nella sabbia li separa. Lei porta un costume rosa con i volants, una molletta coordinata a forma di fiore tra i capelli, un paio di braccioli di Hello Kitty. È sottile e graziosa. [Ricordatr bene tutti questi particolari più avanti servirà. Accessori stereotipati – oggettivi – più descrizione soggettiva, mescolati insieme.] Immobile, lo guarda di sottecchi. Lui è intento a scavare. La ignora [Attenzione: “ignorare” non è semplicemente “non guardare”. Ignorare è un’azione volontaria che aggiunge al non guardare un’intenzione malevola, che noi lettori non sappiamo da dove viene; è un’aggiunta di chi scrive, ma non motivata. La ignora naturalmente, ovviamente. Perché?]. Ha sabbia ovunque: nelle orecchie e nell’indomabile groviglio dei capelli, fuori e dentro un costume dal colore indefinibile, tra le dita ossute e nervose, in faccia. È inquieto e all’erta [Il perché di questa inquietudine non ci viene detto: ma, non essendoci altri elementi, chi legge è portato a pensare che sia la presenza di lei a renderlo inquieto. Notate come questa ridda di deduzioni arbitrarie sia lasciata crescere in chi legge apparentemente in maniera non pilotata]. La somma delle loro età arriva a malapena alla decina [La tensione è cresciuta, gli antagonisti sono pronti: il fatto che siano dei cinquenni non serve più a mitigare il clima. E’ pronto uno scontro inevitabile, e le premesse qui sopra serviranno a leggerlo in un unico modo].

«Ti piacciono i cioccolatini con la carta dorata a forma di cuore?» [Non c’è bisogno di dire chi pronuncia questa frase. Le presupposizioni precedenti, alimentate da stereotipi retorici e sessisti, hanno già detto tutto, a questo punto.]

«…» [Segno grafico della di lui indifferenza – e di che altro? Non è concentrato né assorto, ce lo ha già detto l’autrice: la ignora. Ma senza dirci perché. Ce lo lascia solo pensare, sulla scorta di quanto suggerito prima.]

«Ti ho fatto una domanda…»

«Non li ho mai assaggiati» [Lui risponde dopo la sua insistenza. Stereotipo sessista adulto.]

«Allora te ne regalo uno, questo pomeriggio, se ti fa piacere» [Insiste, ma è accomodante, cerca di essere accettata, cerca la possibilità di un dono che scalfisca l’indifferenza e obblighi alla gratitudine, anche se solo formale. Altro stereotipo sessista adulto.]

«Mpf» [Lui non si sbilancia. Tipico, no?]

«Adesso ti canto una canzone» [Un dono che non può essere rifiutato: se lui si tappasse le orecchie, dovrebbe smettere di fare la buca. Strategicamente perfetto.]

«Perché invece non vai a prendere dell’acqua per la buca, che è più utile?» [Doppio colpo: lui cerca di allontanarla e di evitare il dono, trasformandolo in un lavoro utile – utile a lui, s’intende. Un classico.]

«Va bene. Però dopo ti canto una canzone» [Accetta l’imposizione cercando di tramutarla in uno scambio. Stereotipo sessista femminile dei più comuni.]

«…»

«Che musica ti piace?» [Il dono deve piacere.]

«Il pulcino Pio. Ma solo il pezzo in cui arriva il trattore e massacra il pulcino» [Quello non cantabile, quello non donabile.]

«Ah… Guarda cosa ho trovato» [Lei lo costringe a non ignorarla – o almeno crede lei.]

«Un bacherozzo?» [Inizio della denigrazione in due atti.]

«No, un fiore. Te lo regalo, se vuoi» [Continua con la strategia del dono – sessistamente inaccettabile – ma la trappola è scattata, ormai.]

«Grazie. Sai che alcuni fiori si possono mangiare? Quasi quasi me lo mangio, il tuo fiore. Mio fratello, da piccolo, ha mangiato un lombrico» [Secondo atto. Un fiore mangiato è una schifezza, come il lombrico.]

«Che schifo» [Appunto.]

«Già. Mio fratello fa certe porcherie che nemmeno te le immagini tu…» [Lui lascia un appiglio, involontariamente…]

«Mia sorella si chiama Giorgia» […e lei prova ad approfittarne.]

«I tuoi braccioli sono tutti sgonfi» [E lui cambia discorso, ovviamente].

Io, un tempo, credevo che gli stereotipi di genere fossero in gran parte un fatto di educazione e di cultura [Ah, no?]. Un tempo davo tutta la colpa a modelli retrivi e retrogradi [Sarà pure passato quel tempo, ma quei modelli ci sono ancora. Che dobbiamo farci?]. Ero convinta che, alla linea di partenza, in quel terreno fertile e rigoglioso che è l’infanzia, ognuno potesse essere quello che vuole e tutti fossero uguali [Si vabbè, ma in che senso? “Uguali” è una parola troppo ambigua, non puoi lasciarla lì a disposizione di qualunque lettura. Che vuoi dire con “uguali”? Con le stesse caratteristiche? Con le stesse possibilità? Con gli stessi mezzi? Non sono “uguaglianze” paragonabili! Ce lo spieghi?]. Io, un tempo, mi illudevo che i miei figli, di qualunque sesso fossero, sarebbero stati immuni da quei tratti caricaturali che fanno di noi delle macchiette al maschile o al femminile [A parte che macchietta al maschile o al femminile ce sarai te, ma in che modo sarebbero stati immuni? Se non lo dici, è ancora più ambiguo il tuo “uguali” di prima. Immuni geneticamente? Immuni perché figli tuoi? Immuni perché li avresti cresciuti lontani da una cultura sessista? Immuni perché avresti insegnato loro a difendersi dal sessismo e dalla violenza di genere? Quando spiegherai quello che stai dicendo?].

Poi ho avuto tre bambini, tutti maschi ma è irrilevante [certo, come no: irrilevante, anzi, se non avessi avuto alcun figlio sarebbe stato lo stesso. Ma come, il loro sesso è irrilevante? E come parli di stereotipi di genere, allora? Come puoi pensare che il tuo genere, anche, sia irrilevante in questa situazione?], ho ascoltato una conversazione qualsiasi, in spiaggia, tra un lettino e una sdraio, di fronte al mare increspato, e anche molte altre, ai giardini, nel cortile della scuola, negli spogliatoi di una piscina, intorno al tavolo durante la cena [Anche io ne ho ascoltate tante, ma mica le prendo a prova inconfutabile di qualcosa. Allora?]. E ho capito che mi sbagliavo. E anche parecchio. [E da cosa lo hai capito? E su cosa ti sbagliavi? Sull’innatismo? Sulla immunità dei bambini? Sull’esistenza e l’efficacia degli stereotipi di genere? Ma quante cose non verranno mai dette, di questo post?]

Quella riportata è una conversazione tra due bambini. Possiamo vederci strategie comunicative sessiste, possiamo vederci problemi psicologici, possiamo vederci conflittualità tra genitori, possiamo vederci Shakespeare, possiamo vederci il risultato del prossimo derby Roma-Lazio. Ma l’unica cosa che non ha senso vedere qui è l’innatismo delle caratteristiche culturali dei generi – perché non esiste né qui né da nessuna parte. Per quanto ancora dovremmo vedere sbandierate teorie del genere?

Tra i commenti su Facebook – sconcertanti, per lo più – ce n’è uno di una sedicente educatrice da 30 anni che sostiene “vi assicuro che ad un maschietto di tre anni mai riuscirete a far ritagliare del cartoncino rosa”. E questa perla viene da una educatrice di professione. Poi ancora mi chiedono perché sono antisessista.

Posted in R-esistenze, Sessismo.


6 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. maria says

    L’autrice dell’articolo di D donna parla quasi come se avesse avuto l’illuminazione divina e l’onniscienza universale…
    Mi chiedo cosa direbbe se le raccontassi che una volta ho visto una bambina di circa 6 anni che cercava di giocare con un gioco che però le era regolarmente sottratto da un coetaneo in vena di scherzi; alla fine per riprenderselo la delicata damigella ha preso un secchiello pieno di sabbia e glielo ha rovesciato in testa, riprendendosi il gioco e lasciandosi alle spalle un virile ometto in lacrime. Che dovrei leggerci? L’isteria femminile? Una sindrome premestruale precoce? O magari due differenti personalità che al di là de genere si mostrano per quello che sono? Tanto per dire.

  2. Mammamsterdam says

    Non lo so. A parte che dei miei figli maschi quello esteta (non estetologo, dioneliberi) mi ritaglia i cuori nel cartoncino rosa, mi fa la pipì a forma di cuore contro un muretto e me lo dedica, mi riporta tutte le mollette per capelli che trova per strada e me le infila, però ricordo di certi miei studi di linguistica applicata decenni fa uno che in particolare descriveva delle strategie conversazionali e comunicative di bambini di entrambi i sessi (alcune, a parte che erano in inglese, identiche a quanto citato sopra), ne mostrava alcune differenze e diceva che già a tre anni queste erano lì. Mo’ non mi chiedete se è colpa di Nature o di Nurture, dico solo Lorenzo che Elasti è una fede e me la puoi decostruire quanto ti pare, a me va bene a prescindere. Ti voglio bene uguale.

  3. @___@ says

    credo, dal momento che la mia è un’impressione, nel punto in cui dice che i suoi figli sarebbero stati immuni, perché appunto ( presumo ) educati in un certo modo. sovrastimava l’educazione dei genitori. è come se fosse passata da un estremo all’altro. per cui dal dialogo dei bimbi non traggo l’idea che dimostri l’innatismo delle caratteristiche culturali dei generi ( e non sono sicuro che elasti volesse dire questo, per quanto messo così il pezzo, è probabile che lo pensi ) ma piuttosto che sia innata l’adesione alle caratteristiche culturali, anche a quelli non consueti, come l’articolo pubblicato su internazionale dei bambini che si vogliono vestire da bambine. elasti si sbagliava nel pensare che i bambini siano un materiale plasmabile a volontà.

  4. Lorenzo Gasparrini says

    a @___@:
    ti va di dirmi dove Elasti parla dell’influenza della società? Non l’ho trovato. Mi pare che Elasti dica solo che gli stereotipi sessisti ci sono, sulla base di esperienze personali. Ce n’eravamo accorti. Poi prova a dire “il genitore è solo di fronte alla società”. Vero anche questo, ma il genitore è anche la società. E quella con lui è la prima forma sociale che incontra il bambino. Un genitore può fare moltissimo, oltre che scrivere blog a supporto di teorie imbarazzanti, lasciando che siano “i fatti” a parlare. Peccato che quei fatti, come detto, dimostrano solo che gli stereotipi sessisti ci sono, non che sono innati.

  5. @___@ says

    volendo provare a fare le pulci alla tua analisi, a me viene da pensare che elasti parli dell’influenza che ha la società, e che nonostante provi a crescere i figli senza indirizzarli, il genitore è solo di fronte alla società.

  6. Lev Petrovitch says

    A proposito dell’affermazione finale. Un mio amico greco mi raccontava delle risate che si era fatto leggendo un articolo di psicologia, nel quale si discettava del come i bambini “asseriscono se stessi” fin da piccoli dicendo no e come questo sia innato, “la prova è che i bambini anche molto piccoli scuotono la testa”. Il mio amico osservava, semplicemente, che “anche i bambini greci scuotono la testa” Peccato che, come noto, il gesto dei greci per dire no non è lo scuotimento del capo. Si può anche notare, che l’associazione del rosa alle femmine (e dell’azzurro ai maschi) rimonta all’800 quindi cosa ci può essere di più “culturale” che una (eventuale) “allergia” al rosa da parte di un maschietto?