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E se a Palermo: la tassa sull’insulto a tutela delle fanciulle!

Sofie Peeters ha fatto un video in cui mostra come gli uomini per strada insultano le donne. Il borgomastro di Bruxelles ha stabilito che questo comportamento sarà sanzionato con multe fino a 250 euri. Sarebbe un provvedimento in continuità con un “piano di lotta contro l’inciviltà” che si occupa di sporchi cittadini che inzozzano la strada d’immondizia in ore non consentite e di insulti di qualunque tipo, omofobi, sessisti, razzisti, eccetera. Pare che così si intenda alleggerire la giustizia del carico di piccole cause che intasano i tribunali e allo stesso tempo serve a riempire le casse comunali così come per altre multe o come fosse una tassa sull’insulto.

Io sono di Palermo, con gli insulti palermitani ho composto racconti, e ho attraversato strade in cui imperversavano fantasiosi o monotoni sessisti che ti facevano oggetto delle loro attenzioni a prescindere da come eri conciata, vestita, truccata, agghindata. Basta che respiri, potrebbe essere il motto, e dunque mi viene in mente che se il sindaco di Palermo facesse la scelta di tassare o multare gli insulti secondo me dovrebbe fronteggiare una rivolta popolare. Si creerebbero comitati a salvaguardia dell’insulto folkloristico (la spigliatezza di un “ti facissi un pigiaminu ri saliva ‘co rinforzu nto’ cavaddu”), moderne accademie della crusca a difesa del linguaggio scurrile, e i partiti dibatterebbero in aula sulla meraviglia dell’apprezzamento spontaneo e genuino, e giù a dire che le donne se le cercano e che bisognerebbe multare loro, le donne, che quei commenti e quegli insulti se li tirano.

Direi che in Italia una cosa del genere provocherebbe una catastrofe di immani proporzioni e i sindaci che osassero fare una proposta simile come minimo non sarebbero rieletti. Ma consapevolmente a me viene da dire che comunque la tassa sull’insulto pluridiretto va nella direzione del più decoro che censura le prostitute troppo svestite e le rimanda in periferia, e poi decide cosa possono indossare le donne musulmane e cosa no e stabilisce che ha da esserci una censura per le immagini sessiste e se si parla qui perfino di una sanzione a colmare con un provvedimento repressivo un evidente vuoto culturale a me pare che non sia un gran progresso.

Chi stabilisce cosa è un insulto e cosa non lo è? E perché mai dovrei delegare la tutela dei miei timpani a qualcuno che monetizza il mio disagio, diventando io funzionale ai liberismi di cui oramai sono fatte anche le amministrazioni, senza voler capire e risolvere il problema a monte?

E poi se ho capito bene, giacché il video descriveva una situazione che avveniva in luoghi popolati soprattutto da stranieri, un provvedimento così rischia di essere solo un altro espediente per creare fratture tra etnie e alimentare razzismi.

Quando abbiamo ceduto la capacità di autodifesa sull’insulto e rispondendo a tono ad un ente che reprime e guadagna vittimizzando me e schiacciandomi ancora al ruolo di chi non sa fare da sola?

Perché mai si prova questa soddisfazione, come un sentimento di rivalsa, mentre si capisce che c’è chi specula su un tuo bisogno? L’insulto a mezzo stampa è punito già perché è scritto, è lesivo della reputazione della gente. L’insulto che io ricevo nel corso di una discussione, tra persone in conflitto, datori di lavoro, colleghi, come le tante cause mostrano, può essere perseguito, semmai si voglia fare. Ma dirti per strada “sei bona” o “che ti farei” o “vieni qui che ti ingroppo” o cose così, salvo quando la persona che ti segue per comunicarti questi pensierini pieni di bon ton non diventa molesta, in che senso è multabile?

Davvero siamo così protese a delegare la difesa della nostra benedetta “dignità” a chiunque purché sia legittimando contenitori e contenuti paternalistici e facendo arricchire altri sulla nostra pelle?

Le prostitute hanno un prezziario per questo. Ed è un meccanismo che scardina molto più che il resto. Se vuoi insultarmi mi paghi. Non lo puoi fare gratis. E’ un servizio sessuale extra, giacché ti ecciti così.

Se dite loro che un uomo, un sindaco, un ente, una amministrazione, incassa i soldi al posto loro chiamerebbero costui, costoro, magnaccia. E dunque invece che farsi proteggere da gente che incassa denari per tutelare le soavi e candide fanciulle dagli insulti ricevuti per strada perché non capovolgere e sovvertire questi meccanismi con provocazioni culturali?

Perché non inventarsi una maglietta in cui si scriva “se vuoi insultarmi paghi” o “non mi faccio insultare gratis” o “per il servizio insulti rivolgiti alla collega” o che ne so? La sto buttando lì perché dovessi riassumervi i modi attraverso i quali ho imparato a difendermi a Palermo tutto assumerebbe toni molto più simpaticamente scurrili. Ma gli anticorpi non possono mai venire da una situazione in cui c’è uno che protegge le donne stabilendo, lui/loro, quali sono le parole da multare e quali no.

Non so. Voi che ne pensate?

Posted in Critica femminista, Pensatoio, Sessismo.