Skip to content


La rottamatrice

Mi capita di vedere esistenze dolorose.

Pelle che si frantuma. Vite truccate che fingono di riempire il vuoto. Rubano calore, attirano attenzione, uccidono parole.

C’era uno. Cercava di sentirsi importante. Era nessuno. Tuttavia non aveva nulla di poetico. Irrimediabilmente stronzo.

Esistono persone così. Parassiti dell’intelligenza altrui.

A schiena curva contemplava il mistero del terreno che spariva sotto i piedi. Leggeva a malapena le sue orme. Voltandosi diceva che erano di qualcun altro.

Apparteneva al grigio. Lavoro, casa e fine. Nudo. Denunciava la puzza altrui ed era fatto di merda.

Sboccato. Una volgarità senza romanticismo. In fondo un conformista.

Uno così l’anima deve avercela nel culo. Oppure no. E’ un luogo troppo nobile. Deve tenerla sigillata da qualche parte, per evitare di esserne contaminato, ché non si senta e non si veda la sua umanità.

L’amore. Imitava le persone autoritarie. Non aveva alcuna autorevolezza.

Quando incontrò quel tale, più vecchio, ricco, più tutto, mostrò le cicatrici. Toccarsi non fu così drammatico. Guidava l’altro e lui pativa d’astinenza di mani addosso.

Al buio, tra le parentesi dell’intimità, senza sfogo esterno. Peccò di un orgasmo. Due. L’altro lo cacciò dopo averlo consumato.

Non è plausibile per uno che si abbassa a tanto e si accontenta, ricevere un rifiuto.

Puzzava, è vero, carezze neanche l’ombra, ma si era dato senza alcun ritegno. Ci vuole educazione in queste cose.

Se prendi paghi. Se illudi che la merda sia profumo poi gli resti accanto ché altrimenti potrebbe ridartela a condimento su un tuo pasto.

Tornò a motivargli l’irrisione. Era ferito.

Ferito come? Come quel tale che vuole il premio dalla maestra perché si è comportato bene.

Aveva immaginato che almeno lui potesse prenderlo con se’. Un vecchio.

Quel frocio osava rifiutarlo.

Il primo colpo fu senza conseguenze. Si udì soltanto un tonfo.

Sembrava chiacchierassero.

Lo vedi? Tu non puoi farmi sentire l’ultimo in terra perché ultimo ero già dopo aver prestato il corpo a te. E’ rosso. Il sangue, dico.

Si inclinò a osservare. Non riconobbe l’orma. Guardala. No. Non sono stato io. E’ stato lui.

Mente distorta. Immagina il male altrove quando invece è in lui.

Dicevo

Mi capita di vedere esistenze dolorose.

Non sono tutte uguali. Alcune valgono un impeto di passione, un regalo di complessità, quella sensualità dei chiaro/scuri. Si chiama vita ed è desiderabile perché non si può ignorare. Quando la vedi e la conosci non puoi più farne a meno.

Alcune sono solo macchie scure che scippano e trattengono colori sulla pelle per recitare respiri inesistenti. Portano morte. La loro. La tua.

Non a caso – per ogni evenienza – io porto sempre nella borsetta il mio disintegratore di particelle molecolari.

La mia ricognizione su Misland è al termine.

Contatto navicella a casa madre. Il corpo informe si è sgretolato e ha fatto puff dopo il delitto. Mi spiace ma era già tardi. Lo dico sempre che questi prodotti difettosi della serie xz577 avrebbero dovuto essere dotati di chip.

Casa madre a navicella. Destinazione Patland. C’è un altro prodotto da rottamare e da riassemblare. Stavolta è femmina…

 

Ps: E’ un racconto di pura invenzione. Ogni riferimento a cose, fatti, persone è puramente casuale.

Posted in Corpi, Narrazioni: Assaggi, Storie violente.