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La solitudine del dolore (quanto fa male)

Provo ad ignorarla. “Perché non mi dici niente? Perché non parli? Dimmi qualcosa.

Parole. Come massi che rotolano giù da una montagna. Cumuli di neve che diventano slavina.

C’è lei che ha un labbro rotto. Un po’ di sangue e l’aria di sfida.

Lasciami stare, le dico. Non mi provocare.

Lei è decisaferiscimi, colpisci, dai, che aspetti? E’ l’unica cosa che sai fare…“.

L’unica? La vedo. Veste da angelo. A me tocca l’abito da mostro.

La porta. Lei passa oltre. Sbatte. Rumore sordo. La blocco con la mano. E fa male.

Sei pazza…” pochi mesi fa schiudeva le labbra, carne su carne tra le lenzuola. La pelle non odiava ancora.

Ho sempre pensato che nei litigi servirebbe qualcuno a salvaguardia degli oggetti. O dei mobili, o delle vite. Sembra tutto in bilico.

Ho detto che devi lasciarmi stare...” e un vetro si frantuma.

I litigi li valuti dall’inventario delle cose rotte. Quelle visibili. Le anime spaccate a metà non le vedi. Al più assisti a tentativi di saldature improbabili.

Guarda che mi hai fatto… guardami!” ed è vicina. Troppo. Spingerla. Farla cadere. Un’altra ferita. Ancora una.

Qual era stata la causa del litigio? Non lo so più. Nessuno lo ricorda mai. Quello che resta sono i lividi. Cose rotte. Anime che vagano perse come pezzi di niente.

Basta. E’ vento. La mano si muove come in una danza. Alta, plana, poggia, spinge. In fondo è un’arte. Colpire, colorare di rosso quel volto, impedirle di parlare. Piangere. Lo so, colpisco e sono morto. E tu infierisci.

Povero illuso. Volevo una vita. Tu non ti accontenti.

Ed è lei.

C’è uno spazio sul pavimento tra il mobile e la sedia. Sono ripiegata su me stessa. E posso piangere perché a questo punto del copione è permesso. Mi spetta una chiamata. E’ mio diritto. La fa il vicino ché a quest’ora, d’estate, con le finestre aperte, vuole dormire.

Ed è lui.

Sono a volto asciutto. Rughe distese. Mani ferme lungo i fianchi. La porta apre al precipizio.

Sono in quattro. La guardo e un po’ la odio. Perché mi hai fatto questo?

Ed è lei.

Lacrime fresche. Il sangue vivo. Lo tengono in quattro. Fermo. Mi guarda con odio. Non capisce. Poteva aggiustarsi tutto. Forse. Poteva anche ferirmi un po’ di più. Ma lo vedo lì, braccato, con quelle guardie che lo mordono per salvarmi, bruciandogli l’orgoglio, piegandogli la dignità, mortificando quella schiena che inevitabilmente si piega, gli occhi spaventati, è lui che ha paura e chiede aiuto.

Lasciatelo andare. Non fategli male.

E si perde. Un sorriso che è una smorfia incattivita. Se tu l’ami lui non se l’aspetta. Se ti amo io non me l’aspetto.

Ma poi.

La cosa più comune nelle situazioni di violenza è la sorpresa.

Ché lei decida di difendersi.

Ché di lui e di quello che gli fanno quelli là mi importi ancora.

Lasciatelo.

Non è cattivo. Sanguino prima che colpisca.

E siamo noi.

La prossima volta mi ucciderai. La prossima volta ti ucciderò.

Silenzio. Stanotte teniamoci la mano.

Domattina. Lividi e cose rotte.

Dicevo…

Il mondo a volte legge la violenza attraverso le ferite visibili come una ciarlatana i fondi del caffè.

La verità è che nessuno capisce niente. Si accontentano di una vittima ed un colpevole. Nessuno sa perché quel marchio sulla carne li lascia soli, entrambi.

Dovrebbero elaborare il lutto. Insieme.

Perché il dolore può essere compreso soltanto da altro dolore. E se non abbracci l’altro non comprendi neppure il tuo.

 

NB: E’ una storia di pura invenzione. Ogni riferimento a cose, fatti e persone, è puramente casuale. 

 

 

Posted in Corpi, Narrazioni: Assaggi, Storie violente.


5 Responses

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  1. marco says

    ciao ragazze/i stasera vi scrivo, perché è successa una cosa e non so a chi dirla. Voi probabilmente siete i più giusti, le più giuste
    Vengo a scrivere a distanza di oltre un mese sotto questo post perché fortunatamente me ne ricordavo

    Torno da una giornata in cui cerco d’agganciare lavorativamente un’azienda in mezzo al precariato. Non so quel che ne verrà fuori e in parte almeno adesso non me frega nulla, più o meno
    Dopo una tornata di formazione di quelle lunghe … stacco alle 21:30 perché a breve inizia una fase più operativa, aspetto 40 minuti uno dei bus che dovrò prendere per tornare a casa, poi passa, poi una fermata di metro, poi 15 minuti attendo un treno, poi dalle 22.39 circa 40 minuti di treno…poi dovrò fare un pezzo a piedi

    treno… alle mie spalle, qualche sedile dietro schiacciati in fondo al vagone si siedono 2 ragazze e un ragazzo sotto i 25 anni, centro americani credo, forse sudamericani, così a naso per me son colombiani, potrei sbagliare, forse cubani, boh… non so, parlano spagnolo cmq e lo mischiano ad italiano

    fanno caciara, una caciara apparentemente gioiosa o forse frivola ma è una caciara che suona un po’ malata, non so il perché, posso ipotizzare mille motivi per una vita storta ovviamente, so che è una goliardia superficiale questo sì. Come molte si potrebbe dire …e forse anche per questo continuo a guardare un pdf sul pc

    ore 22:45 un controllore sale, il vagone, piccola borghesia e ceti modesti si irrigidiscono quasi tutti, parlottano, mah sì alla fine ce l’hanno il biglietto e si tranquillizzano

    il controllore si ferma davanti ai 3 stranieri, loro credo non lo abbiano e alla richiesta di documento il ragazzo mostra la fotocopia di qualcosa che al controllore non basta. E’ l’ultima corsa e i 3 – lo capisco – devono andare sufficientemente lontano da non volersi permettere di scendere … non arriverebbero a casa. Il controllore gli intima di scendere, il ragazzo risponde al controllore che è razzista e poi aggiunge parecchie panzane, il controllore stava dicendo solo quel che andava detto in realtà e non è stato arrogante

    cmq il controllore deve aver paura del ragazzo, non lo riesce a far scendere né lo multa (anche perché – non lo so, non capisco – loro non danno documenti, cmq non validi)

    il controllore si allontana

    passano i minuti, 22:55 … sono quasi arrivato alla mia fermata
    la caciara dei tre è solo superficiale ma non ha quasi più nulla di bonario
    passano i minuti
    il ragazzo inizia a diventare strafottente verso le due ragazze, in particolare una, la prende in giro, le tira il telefono per terra, lei protesta, lui la deride, lei protesta … il clima non mi piace per nulla e anche se ce l’ho alle spalle ormai sono girato
    … passano una manciata di secondi, lui le tira un destro con le nocche a mano semiaperta sul volto non violentissimo, ma sufficiente a farla sanguinare parecchio, lei piange ed è piegata in due, il ragazzo sembra quasi volerla rimproverare ancora

    mi alzo, gli sono alle spalle e gli dico “a ragazzi’ ma che stai a fa’?”
    vedo che il ragazzo ha una birra… mi dico ora me la impugna contro … non sono aggressivo, voglio solo distrarlo dalla ragazza, lascia perdere la birra e mi viene contro a mani nude, ha bevuto non è più grosso di me, ma è molto più fuori di sé di me, indietreggio, mi dice qualcosa che oscilla tra “fatti i cazzi tuoi” “vuoi fare a botte?”

    indietreggio, gli dico “le hai dato un pugno in faccia”, forse si inizia a vergognare, mi lascia perdere, torna sui suoi passi e inizia a scendere le scale per uscire dal treno, le due ragazze stanno ancora al piano con me, lei piange ed è coperta sul volto di sangue, la mano pure perché se l’è passata sul volto, bestemmio, domando alle ragazze se vogliono che faccia qualcosa per loro, la ragazza integra mi fa capire considerandomi poco che c’è poco da fare secondo lei, l’altra piange e sanguina, iniziano a fare le scale, io bestemmio di nuovo e cerco un po’ di solidarietà in mezzo al vagone ormai abitato da autoctoni, la ottengo vaga
    E’ anche la fermata mia, scendo, una terza ragazza offre un fazzoletto alla ragazza, ma il succo è evidente … è una storia privata e le due straniere stesse hanno paura a farla diventare altro, cioè camminano ovviamente fuori dalla stazione dove – conosco la tratta – troveranno la corriera per andare verso casa
    non cercano aiuto, né protestano, lui va avanti come un lemming sulla banchina staccato da loro … finalmente un autoctono mi si avvicina e dice … chiamiamo il 113? dico, sì, ok, cazzo

    lui mi da fastidio per come si comporta … cammina come nulla fosse, gli dico “bello, chiamiamo i carabinieri, non picchi le donne e finisce così”
    ricominciamo il balletto, mi viene incontro aggressivo, poggio la mia roba (il pc me lo scassa sennò) e mi preparo, ma non ce l’ho con lui, mi fa pena, gli domando “ma non ti fai schifo?”
    buona parte delle persone si stanno allontanando e anche le due ragazze straniere

    “fatti i cazzi tuoi, è la donna mia, si era comportata male, so io come va trattata”
    “meglio mi sento, ma non lo vedi che con un braccio tuo la sposti se vuoi, ma ti pare che la picchi?”
    va beh, la cosa va avanti per un po’, lui si calma, mi dice che la vita sua è difficile, che lei non ascolta mai, che lui non sa come fare, dice tu non sai io questa l’ho presa da in mezzo a una strada praticamente, la mia vita non è bella ok? non sono come te
    … a suo modo sembra sincero, fuori di testa ma sincero, gli dico che non deve bere, dice lo so, non l’ho fatto apposta, m’è partita la mano, mi dispiace per lei, ora le vado a chiedere scusa
    Io non ho più voglia di chiamare la polizia, penso che per il ragazzo sarebbe peggio e poi infierirebbe su di lei – “abita con me” mi aveva detto poco prima – e non so che fare
    stiamo uscendo dalla stazione, io e il ragazzo, siamo rimasti praticamente solo io e lui, nessuno di noi due è aggressivo

    ci sono due uomini fuori, uno è quello che mi aveva detto di chiamare il 113, guarda davanti a sé e non parla col ragazzo, il ragazzo si sta allontanando … anzi ormai è lontano un centinaio di metri e sta raggiungendo la ragazza integra (l’altra non si vede) … arriva una volante … i due uomini dicono “finalmente” …evidentemente l’hanno chiamata mentre io parlavo col ragazzo ancora dentro la stazione …

    dall’altra parte della stazione vedo arrivare un paio di uomini che corrono, uno dei due ha una pistola bella grossa in mano, sono poliziotti in borghese, domandano dov’è il ragazzo … gli dico che il ragazzo ora è calmo, non serve la pistola … il poliziotto non mi insulta per poco
    più tardi capirò che il poliziotto a pistola spianata era convinto di stare intervenendo su uno stupro da parte di un uomo verso una donna che non conosceva… non pensava cioè si conoscessero o addirittura fossero una sorta di “coppia” … poi dice “ah beh, allora sappiamo come va, le ragazze non sporgeranno denuncia… forse è meglio così”

    io gli dico che non sono tanto convinto che è meglio così, il ragazzo non ci sta con la testa, ha problemi, gli dico

    la ragazza colpita in tutto questo è sparita, nessuno la vede, probabilmente si è nascosta anche perché pensa di far peggio a farsi vedere nel senso che la polizia avrebbe più strumenti contro di lui

    non so

    stringo la mano al poliziotto in borghese, saluto l’uomo che ha chiamato il 113, vedo in lontananza gli uomini della prima volante che stanno parlando in una situazione ormai almeno nella forma pacificata con il ragazzo

    sono le 23:40 e in senso stretto non servo più a nulla. Mi incammino verso casa e penso che la polizia probabilmente farà peggio che se non fosse venuta, che ora il ragazzo forse avrà anche la fedina penale sporca e probabilmente la ragazza colpita sempre cmq a casa sua si appoggerà

    non so che fare, penso, cammino verso casa e mi è venuto in mente il post di fikasicula
    forse se lo scrivo è un po’ meno un’arancia meccanica? io non so come si inceppa questo fottuto meccanismo
    però so che quando avevo urlato e poi parlato al ragazzo, il ragazzo mi ha odiato ma probabilmente ero il primo italiano che si era preoccupato sia per lui che per la sua “ragazza”. E probabilmente per quello si era calmato e non aveva proseguito nella rissa

    mi ha detto “sei un uomo che intervieni per queste cose”
    gli ho risposto “tu no, che picchi la tua donna”
    aveva chinato la testa e non aveva più detto nulla

    in quel momento eravamo solo io e lui, non so quanto gli sarebbe riuscito ma se avesse voluto farmi qualche cosa, probabilmente era il momento migliore. Non lo ha fatto

    ore 1.04 sto per fare “post comment”

    è stato un secondo pomeriggio precario

  2. giovanni says

    bellissimo, quanto vero, grazie

  3. Laura says

    Seppur brutale racchiude in sè la dolcezza espressiva emozionante di una poesia, brava davvero

  4. marco says

    nella tristezza del raccontato, molto dolce
    I media sulla violenza producono in parte altra violenza, la lettura esterna banalizza, rende solo “mostro” chi forse non è solo “mostro”. La lettura esterna (anche se poi l’intervento esterno resterà talvolta necessario) sarà un ostacolo in più per il recupero sociale a posteriori del violento stesso

    Un legittimo e utile processo intorno ad una violenza domestica è anche sempre aggiuntivo, indebito e problematico processo mediatico