Leggiamo e copincolliamo questo intervento di Gianmaria che ringraziamo molto per questo contributo. Buona lettura!
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Di Gianmaria
E’ in corso un’assemblea antifascista, presenti molti compagni di realtà politiche cittadine. Prende la parola una compagna. Il suo intervento è disturbato, denigrato, accompagnato da fastidiose risa. Dopotutto è una donna e qui si parla di antifascismo militante.
Le straordinarie compagne e sorelle di Femminismo a Sud, come tappa della loro campagna contro la violenza sulle donne hanno chiamato tutti quanti ad esprimersi su questo tema, con una frase che rappresenti questa infamità. Una presa di posizione collettiva contro un fenomeno drammaticamente diffuso e pericolosamente taciuto.
Riflettendo su questa iniziativa, pensavo a quanto il problema di genere sia spesso assente nelle nostre discussioni politiche, nelle nostre iniziative e a quanto sia, al contrario, strettamente intrecciato con l’antifascismo, la società che vorremmo e il mondo nuovo che auspichiamo. E all’interno di tutto questo, quanto la violenza sulle donne sia un tema cui gli uomini, anche i compagni, non considerino proprio terreno di mobilitazione e lotta politica.
Parto da una considerazione. La violenza sulle donne riguarda anche gli uomini e li riguarda in maniera feroce, pervasiva, piena. Ci costringe a farci domande, a interrogarci, su ciò che siamo come soggetti politici e sociali, sui contesti a cui apparteniamo, sulla nostra cultura di riferimento. E ci porta alla necessità di operare una denuncia forte: quella contro il modello culturale di maschio italiano, per il quale il soggetto femminile perde la propria soggettività e diviene oggetto di cui disporre a proprio piacimento.
Discutendo con un compagno antropologo, emergeva come nella nostra visione occidentale di culture altre come quella Afghana o Somala, facciamo presto a definire le loro pratiche aberranti contro la donna, come fenomeni culturali. Ma una riflessione simile sulla violenza di genere in Italia ci porta a liquidarla come devianza patologica individuale. Ebbene, un omicidio ogni tre giorni non è follia o patologia, è allarme sociale e culturale da affrontare con la massima urgenza e con tutta la dirompenza di cui siamo capaci.
Occorre una presa di coscienza collettiva anche fra noi uomini, soprattutto fra noi uomini. Perchè fino ad ora, escludendo qualche caso particolare, non siamo stati capaci di inserire questa tema nella nostra agenda di mobilitazione politica. E soprattutto non siamo stati capaci di evidenziare come l’atto violento in sè è parte (ovviamente la parte più grave e evidente) di un fenomeno complessivo nel quale, la figura femminile è colpita e denigrata in tutti i suoi aspetti. Nelle vicende di carnefici e vittime è immediato combattere per le vittime, meno immediato è interrogarsi sulla nostra vicinanza o meno con i carnefici.
Troppo spesso nelle realtà politiche in cui militiamo, i ruoli di potere decisionale, di autorevolezza culturale sono esclusivamente maschili. Troppo spesso il linguaggio di cui ci dotiamo è fortemente maschilista: Troppe volte riteniamo la questione di genere un elemento sovrastrutturale per il quale la mobilitazione è meno importante e meno affascinante. Ma non capiamo che anche questi sono elementi gravissimi di violenza, strettamente legati alla violenza fisica.
Dobbiamo spazzar via tutto questo. Dobbiamo farlo noi uomini e debbono farlo le donne. Insieme, operando strategie di rotture culturali con l’esistente, costruendo spazi di sperimentazione, provando ad incidere a tutti i livelli, da quello sociale a quello legislativo, da quello culturale a quello comunitario.
E’ un tema che ci riguarda, compagni, più forte che mai.
Io sono una ragazza vegana, sono vegana da anni,
e ho conosciuto parecchie altre persone, femine e maschi, o , uomini e donne, di svariata estrazione sociale e sessuale, ma posso garantire perchè ne porto i segni sulla mia pelle, e dentro, che persino nelle frange più “libertarie”, o liberanti, persino tra i cari vegani che vogliono rivoluzionare il mondo con l’antispecismo e l’antifascismo, le femmine, o in generale le appendici delle loro biografie, non sono degne di attenzioni e metodiche sociali rivoluzionarie.
Persino chi pubblicamente è acclamato come un liberatore a casa RIEMPIE DI BOTTE la “sua ” donna, la deruba, la calunnia, la umilia, per vezzi suoi che probabilmente non ha modo di frenare.
dubitate sempre;
io l’ho vissuto sulla mia pelle;
il segreto per cambiare le cose lo detengono le donne stesse; sono i deboli che devono opporsi a gli oppressori; perchè se si aspetta di essere salvati si marcisce in gabbia!
nessun compromesso;
nessuna giustificazione, nessuna vergogna!
il vecchio motto delle femministe dice il vero : “il personale è politico” e dunque, palesate i maltrattamenti e i torti , opponetevi e non incassate! non serve sperare che le cose cambieranno lentamente! il martirio non porta ad alcuna risoluzione del problema.
Se non sono le vittime stesse ad opporsi strenuamente, che senso ha rivendicare la violenza subita?
io a mio tempo ho tentato varie vie,
ho tentato il dialogo e mi è stato negato ed impedito,
ho tentato il tempo , ma lentamente mi stava distruggendo;
ho tentato il confronto di gruppo, ma sono stata attaccata e umiliata;
sono stata minacciata, allontanata, privata dei miei spazi e dei miei oggetti e dei miei affetti.
Donne, e chi vive una condizione di degenza sociale invalicabile; dovete opporvi, per voi stess*.
Non fate come me, che dopo tutte le violenze, gli abusi, le minacce ho saputo andare via senza fargliela pagare; ho lasciato in giro illeso uno schiavista, col terrore di poterlo riincontrare , a lui e ai suoi sgagnozzi; nessuno mi è stato d’aiuto, nessuno , e mi sono portata dentro per mesi, anni, il peso della vergogna per quello che avevo vissuto e per come il mio dolore era stato ridicolizzato e manomesso.
in italia, da occidentali benvestiti e ben parlanti, vegani, antispecisti, patrioti della libertà. della libertà di fare del male e far tacere.
e comunque, tutti cresciamo in una certa cultura, non tutti uccidono la propria compagna, la colpa della violenza è in linea di principio, di chi la commette, a prescindere dai problemi psicologici che possa avere (che comunque non rendono sempre incapaci di distinguere la realtà)
la cultura conta (e quella che c’è in Afghanistan non è identica a quella europea, così come non lo è quella nordamericana, e quella dell’Europa del nord non è uguale a quella del sud) e contano anche le condizioni psicologiche ed eventuali patologie dell’individuo, bisogna vedere se e come interagiscono
Scusate vi prego gli orrori di correzione venuta male come “ha ripudiare” …non avevo rigetto prima di pubblicare …che orrore ! Ragazze potreste correggere vi prego vi prego
sacrosante parole!
(e lo dice un compagno che si scontra da sempre contro le logiche machiste che emergono soprattutto nelle mobilitazioni antifasciste, in cui bisogna fare sempre a chi ce l’ha più lungo…)
mi piacerebbe che quest’articolo girasse e fosse ripostato: anche negli ambiti di movimento c’è bisogno di porre l’antisessismo come prioritario!
Grazie Gianmaria, non molti compagni sono capaci di fare queste riflessioni, quasi tutti esitano aguardarsi dentro e ha ripudiare dei modelli interiorizzati con l’educazione famiaire e perché no? con la disciplina di partito,
Perché dciamolo esistono delle esperienz eche credo abbiano vissuto moltedi noi :
1)i compagni a chiacchierare di massimi sistemi a tavola e le compagne a sparecchiare alle cene sociali e di autofinanziamento.
2)”Voi state bene, non siete sfruttate come nei paesi del sud del mondo”
3)non è il momento , compagne di rompere il fronte della lotta di classe.
4) ” i ruoli bisogna mantenerli
E via di questo passo, in pratica la rivoluzione si fa e voi compagne…. tenete lo striscione.
Beh felice di smentirti!!
Concordo pienamente su quanto su scritto e almeno per quanto mi riguarda ho sempre avuto un atteggiamento evasivo e scontroso nelle situazioni in cui si creano situazioni in cui una donna o un omosessuale viene denigrato/a, offeso/a, umiliato/a, o nei casi in cui il sesso viene usato e abusato per scopi di solo mettersi in mostra o buttarla in piazza. Adesso che sono adulto (anche troppo…) e che ho fatto molti conti con me stesso non solo ho un atteggiamento evasivo e scontroso, ma impedisco fisicamente che la discussione continui su certa china pena il mio allontanamento. Diciamo che così facendo mi sono inimicato moltissimi amici e compagni, che spesso mi evitano o fanno in modo che passi da effeminato o da scocciatore e ostracizzandomi dalle situazioni conviviali, diciamo così. Cosa che mi dispiace il giusto….. visto che la mia scelta di disertare il patriarcato mi ha reso il genere maschile fastidioso da sopportare.
Ma è una cosa dura vivere da disertore, anche perché non ne conosco un’ altro che mi si dichiari vis’ a ‘ vis tale anche lui, insomma soffro un po di solitudine….
perché tolto il patriarcalismo che contraddistingue il mio genere (maschie etero….) c’è poi quello inculcato in testa alla donne, che se vogliamo è forse per un disertore ancora più duro da sopportare…
sic…
Nik’66
Perfetto..Hai colto il segno! Quante volte ho detto queste cose ai miei compagni uomini e quante volte ho visto il mio interlocutore sorridere con aria di sufficienza. Come per dire: Ma che vuoi che siano questi problemi….Noi dobbiamo fare la rivoluzione!” Senza capire che la vera “rivoluzione” passa dalla mente, dai pensieri, dai concetti. Mi piace ciò che hai scritto. Grazie! Detto da un uomo conta sempre un po’ di più che se detto da una donna!