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La doppia vita de L’Unità

[Il ritratto di Dorian Gray]

di Elisabetta P.

Si dice che a certe cose ci si faccia l’abitudine: per me il sessismo e la misoginia che veicolano i media nostrani sono sempre fonte di stupore. Stupore: un attimo di assenza di reazione, di pausa del pensiero, forse necessario a raccogliere l’energia per riflettere su cosa c’è dietro le righe di un articolo, ad approfondire e cercare di comprendere come sia possibile che nella redazione di un importante quotidiano di sinistra vengano concepite e poi date in pasto alla stampa (per essere precisi ad internet, poiché l’articolo è online, ignoro se sia comparso sulla versione cartacea), con il placet del direttore, esternazioni profondamente sessiste.
Il caso è quello di Sarah Tressler, reporter per il giornale Houston Chronicle, che viene licenziata dopo che un quotidiano locale rivela che la giornalista svolge un secondo lavoro di spogliarellista. La versione ufficiale del noto giornale texano è che Tressler è stata licenziata poiché nei documenti necessari all’assunzione non aveva fatto menzione di avere un secondo lavoro, informazione ritenuta invece obbligatoria.

L’ avvocata di Tressler, Gloria Allred, dichiara che il secondo lavoro della sua cliente era in qualità di libera professionista presso un club, senza alcun regolare contratto da dipendente, e che quindi non avrebbe avuto l’obbligo di darne comunicazione al momento dell’assunzione presso Houston Chronicle.

Tressler reputa il licenziamento non solo ingiustificato ma anche che alla base della decisione vi sia una discriminazione di genere dovuta alla peculiarità del suo lavoro. Dice inoltre: “Sono molto dispiaciuta per l’accaduto in quanto mi è stato detto da molti editori che stavo facendo un buon lavoro… Sul questionario che ho compilato non c’erano domande sulla mia attività di ballerina. Ho risposto a quelle domande onestamente“.

Questi sono i fatti, così come riportati dall’Huffington Post in un loro articolo dedicato alla vicenda.
Personalmente, da quel che sono le informazioni che ho reperito in rete, ho buoni motivi per ritenere la causa del licenziamento pretestuosa, e immaginare che se il secondo lavoro di Tressler fosse stato quello di baby-sitter, regolarmente assunta con contratto dipendente, non sarebbe stata licenziata.

Chiaramente non è l’Huffington Post, che anzi produce un articolo adeguato, di “cronaca” e non inframezzato da opinioni meramente personali, ad usare le proprie colonne per diffondere sessismo, ma l’Unità.

Nella sezione ‘culture’ (ci sarà finito per sbaglio? Lo spero) troviamo il reportage di Pippo Russo, che dovrebbe darci conto del caso Tressler-Houston Chronicle.

Il titolo, innanzitutto: “La doppia vita di Sarah, meglio spogliarellista che giornalista“.

Viene omesso il cognome della persona di cui tratta l’articolo, per il giornalista si tratta semplicemente e confidenzialmente di ‘Sarah’. In realtà la giornalista ha, anzi aveva, un doppio lavoro a quanto risulta, il che non equivale a condurre una doppia esistenza. La considerazione ” meglio spogliarellista che giornalista” credo sia pensiero attribuibile a chi ha scritto il pezzo o scelto il titolo (forse dopo aver visto una performance di Tressler, dubito qualcuno si sia preso la briga di leggere gli articoli a sua firma); infatti Tressler non si è trovata a scegliere se fare un mestiere o l’altro, ma le è stato impedito di svolgere la professione di giornalista poiché lavorava in un night.

Leggiamo: ” La sua carriera allo Houston Chronicles si è fermata dopo soltanto due mesi e otto giorni in carica. A occhio e croce un record. E certo c’è da capire il disappunto della testata, dovuto a almeno tre motivi: aver preso un buco dalla concorrenza; averlo preso per un fatto di casa propria; e aver rimediato una figura grottesca per non aver sospettato quale fosse il secondo lavoro della propria redattrice. Ma la testata rischia adesso di pagare in modo pesante la scelta di licenziare la giornalista.

Quindi il “disappunto” (che si è concretizzato in un licenziamento) della testata proviene da tre motivi che nulla hanno a che vedere con la qualità del lavoro svolto da Tressler, e il giornalista si premura di precedere l’esposizione di questi motivi con la frase, un invito alla comprensione, “E certo c’è da capire il disappunto della testata“.

Poi: ” Sulle prime Sarah ha cercato di giustificare la propria doppia vita“. Di nuovo, per il cronista, Sarah Tressler ha una doppia vita. Conosco precar* che hanno due o tre lavori sottopagati e in nero, quindi suppongo condurranno una tripla vita; devo consigliare loro di recarsi da una psicologa prima che sviluppino qualche disturbo di tripla personalità?

Dicevamo: ” Sulle prime Sarah ha cercato di giustificare la propria doppia vita. Dichiarando che il secondo lavoro da spogliarellista le serve per estinguere il debito da 100.000 dollari, contratto per laurearsi presso la New York University; e che la mancata menzione del lavoro da spogliarellista nel curriculum è dovuto al fatto che si tratti di un’occupazione informale, non contrattualizzata. Giustificazioni deboli, a esser generosi.

Per Pippo Russo le “giustificazioni” (“spiegazioni” sarebbe stato termine più appropriato) sono deboli. A esser generosi. E perché mai sono deboli se effettivamente come dice l’avvocata Allred non esisteva un contratto di cui rendere conto?

Purtroppo la cronaca peggiora di rigo in rigo, e arriviamo al punto in cui Russo ci informa che Tressler si è rivolta ad un’avvocata: ” Gloria Allred, specialista in cause riguardanti i diritti delle donne. A guardarla in fotografia, o nel video della conferenza stampa tenuta a fianco di Sarah, sembra uscita da Kramer contro Kramer.”

E’ un complimento sembrare usciti da Kramer contro Kramer? Non ho idea, ma suppongo di no considerato il tenore generale.

” Fossimo al posto di chi regge le sorti dello Houston Chronicles, cominceremmo a preoccuparci sul serio. Pareva trattarsi soltanto di una questione di diritto del lavoro, e invece si è trasformata in una spinosa controversia nel campo dei diritti civili. Comunque vada, l’immagine della testata ne è già uscita gravemente danneggiata sotto ogni punto di vista.”

Ecco. Se sia o meno una questione di discriminazioni di genere verrà stabilito in sede giudiziaria, ma lascia perplesse la preoccupazione del cronista, che sembra più in pena per il grave d’anno d’immagine della testata piuttosto che per l’eventuale discriminazione di genere nei confronti di una giornalista.

Veniamo anche informati del fatto che Tressler, secondo il Las Vegas Review Journal, ” inizierà uno «strip tour» che la porterà coast to coast per gli Usa a rivendicare il proprio diritto a essere giornalista e spogliarellista.”.  Non vedo però come ciò possa essere determinante in merito al fulcro della questione, cioè l’eventuale licenziamento di Tressler, che dovrebbe, ma lo è solo in parte, essere argomento dell’articolo.

La chiusa è illuminante circa il taglio sessista del pezzo: “E poi c’è il prezziario per le foto di Sarah in intimo: 5,99 per la sola immagine, 6,98 se la si vuole autografata, 8,99 per chi la desidera personalizzata. Perché va bene la protezione dei diritti civili, ma se la si associa allo sfruttamento dei diritti commerciali è anche meglio. E con questo il processo mediatico verso Tressler viene concluso; la sentenza, neanche troppo velatamente, emessa.

Da quando non si possono vendere le proprie foto? Da quando chi è stata privata del suo lavoro principale e adesso vive utilizzando il proprio corpo e la propria immagine deve essere stigmatizzata? Come può questo interferire con la denuncia di un licenziamento illegittimo su base discriminatoria?

P.s. il titolo del post è ovviamente sarcastico

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Pensatoio.


2 Responses

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  1. Mary says

    Di che ci stupiamo? siamo il paese che divide le donne in sante e puttane, sempre e solo noi italiani.

  2. Elisabetta P. says

    “Non vedo però come ciò possa essere determinante in merito al fulcro della questione, cioè l’eventuale licenziamento di Tressler” : “eventuale” è da considerarsi un refuso.