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Derive autoritarie: vogliono riaprire i manicomi (fermiamoli)!

Qualche giorno fa a Torino si è celebrato il Mad Pride. Il pride di chi viene definito “folle” da una società che patologizza e discrimina e marginalizza e reprime bisogni, desideri, dissensi, critiche e persone. Il Mad Pride fa parte di una campagna che si oppone al tentativo autoritario di riapertura dei manicomi che si realizza con il prolungamento del TSO, l’obbligo di “cure”, fino ad un massimo di un anno. Un anno in cui persone contro la propria volontà riceverebbero terapie non richieste secondo le proposte di legge che si stanno discutendo in parlamento. C’è una petizione da firmare a cura di Manicomio No Grazie che copio sotto e che invitiamo a firmare.

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Se siamo ancora cittadini di questo paese, non possiamo accettare che lo Stato obblighi terapeuti e pazienti ad effettuare sistematicamente cure contro la propria volontà.

Perché questo prevede la proposta di Legge “Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica”, allungando la possibilità di ricoverare i pazienti in strutture psichiatriche fino ad un anno, anche se non consenzienti e ponendo l’accertamento medico finalizzato al ricovero coatto come prevalente rispetto ai diritti civili dei cittadini.

L’obbligo di trattamento, finora riservato a situazioni eccezionali, urgenti e solo per alcuni giorni, oggi diventa applicabile anche alle situazioni ordinarie, di emergenza e fino a un anno di durata. Agire contro la volontà del paziente non sarà più un caso eccezionale, ma una regola.

Un anno di trattamento senza consenso è un tempo infinito, inutile e sfibrante per tutti: per la persona, per i familiari e per chi presta le proprie cure come medico, psicologo, infermiere o educatore, per le altre persone accolte nella struttura di cura.

Chiunque abbia avuto rapporti di cura con persone ricoverate negli OPG, oggi in via di radicale trasformazione, conosce bene i limiti delle cure obbligatorie e del mescolamento di controllo giudiziario e terapia psichica. Chiunque abbia conosciuto persone costrette al ricovero per periodi protratti più di qualche settimana, sa bene che il danno prodotto è peggiore di qualsiasi beneficio.

L’articolo 4 determina che “Le procedure di intervento sanitario obbligatorio, accertamento sanitario obbligatorio (ASO) e trattamento sanitario obbligatorio, che assume la definizione di trattamento sanitario necessario (TSN), sono attivate quando la garanzia della tutela della salute è ritenuta prevalente sul diritto alla libertà individuale del cittadino”. E che “L’accertamento sanitario obbligatorio è proposto sia da un medico del Servizio sanitario nazionale, sia da un medico del dipartimento di salute mentale per l’effettuazione di un’osservazione clinica”. […]

In sostanza un medico del SSN, anche qualunque, può internare chiunque sulla base di presunte valutazioni diagnostiche (accertamenti) e tali valutazioni sono “prevalenti sul diritto alla libertà”. Nessun incubo orwelliano potrebbe essere espresso in forma migliore. Valutazioni mediche indifferenziate hanno il potere di interdire un cittadino. Questa è sì la follia.

L’articolo 5 prevede una terapia prolungata anche senza il consenso del paziente. Una novità rispetto al trattamento sanitario obbligatorio praticato fino ad oggi, che ha tempi ridotti ed è finalizzato ad ottenere il consenso del paziente alle cure. Il paziente potrà essere trattenuto fino ad un anno continuativamente, e “Il trattamento necessario extraospedaliero prolungato è finalizzato a vincolare il paziente al rispetto di alcuni principi terapeutici”. Il tema del consenso, che implica un lavoro di contrattazione e confronto con il paziente da cui spesso inizia una relazione con i curanti e poi una  cura, qui scompare: lo scopo è vincolare il paziente. Appellarsi alla necessità significa sottrarsi alla possibilità del conflitto e alla pratica della sua risoluzione come principio di terapia. Appellarsi alla necessità significa stare abbastanza alla larga dal paziente da non permettergli repliche.

L’articolo 8 obbliga il medico del Centro di Salute Mentale a svolgere visite domiciliari se i familiari segnalano l’esordio di una psicopatologia. Emerge una concezione ingenua della condizione psichiatrica, in cui i familiari sono depositari di una visione oggettiva sul parente malato ed hanno il potere di imporre all’équipe curante e alla persona un atto terapeutico come la visita domiciliare. La buona pratica di andare in visita occasionale ai pazienti sembra del tutto sconosciuta. La pena per il medico inadempiente è demandata all’area disciplinare, e sottratta allo spazio del rapporto umano con il paziente e la sua famiglia.

L’articolo 9 impone allo psichiatra del DSM di informare i parenti, mentre deve ricorrere al giudice per informare conviventi o persone che si prendono abitualmente cura del paziente. In nessun punto dell’articolo si parla dell’opinione del paziente ricoverato, che mentre è lontano da casa, sofferente e in un luogo estraneo, non ha nemmeno il diritto di decidere delle informazioni che lo riguardano. Divenuto oggetto piuttosto che proprietario delle informazioni sul proprio stato di salute, il paziente diagnosticato perde ogni diritto di obiettare.  Che succederebbe se il paziente imponesse al medico il silenzio, esercitando pienamente il proprio diritto alla riservatezza e appellandosi al segreto professionale?

In tutta questa proposta di legge, il grande assente è il rapporto fiduciario: ciò che ci permette di affidarci alle mani di un dentista, di un avvocato, di un sacerdote, di uno psichiatra. Ciò che ci permette di affrontare anche il dolore delle cure, se necessario, perché riponiamo nella persona che abbiano davanti la fiducia che stia agendo per il nostro interesse. Lo Stato si interpone al rapporto umano e professionale fra curante e paziente e sceglie per loro, ignorando il principio cardine della terapia.

Chiunque abbia mai affrontato l’avventura della cura sa che le persone con disturbi psichiatrici non perdono la propria cittadinanza, la capacità di fidarsi e di scegliere le persone di cui fidarsi. Questo accade nelle realtà eccellenti che pur ci sono in Italia le cui buone pratiche non vengono qui prese in nessun modo ad esempio. Chiunque abbia curato sa bene che la prima cura è la conquista della reciproca fiducia. Chiunque sappia cos’è la fiducia, sa che è qualcosa che nasce nell’animo delle persone, che nessun protocollo può imporre.

Ogni codice deontologico basa l’atto professionale sul rapporto fiduciario. Non c’è atto professionale se non c’è fiducia fra professionista e cittadino. Non c’è fiducia nell’obbligo come fondamento della cura.

Questa Proposta di Legge deve essere bloccata nel proprio iter di approvazione parlamentare. In 12 aberranti articoliil testo non disegna una legge, ma un futuro di persone private degli elementi minimi di cittadinanza. Lo fa con una noncuranza disarmante, che non esprime nemmeno un’ideologia repressiva, quanto la mancanza di ideologia e di pensiero, atti di cura privi di ogni contenuto relazionale.

Per tutto questo ti chiediamo di firmare questa petizione e di fermare questo obbrobrio etico, culturale, civile.

Posted in Anticlero/Antifa, Corpi/Poteri, Omicidi sociali, R-esistenze.