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#63 – L’assassino italiano è più disoccupato dello straniero?

Tra stragi, terremoti ed elezioni deve essere sfuggito che un uomo, dopo aver litigato con la moglie, di lui si dice che è disoccupato, come se questo fosse un buon motivo, come se le donne, disoccupate in maggior numero, trascorressero il tempo a sterminare le famiglie, quest’uomo, dicevamo, considerando tutta la famiglia come una proprietà, decide di ammazzare una figlia e poi quell’altro, di tentare di lanciare lei, la moglie, dal balcone e, trovando una maggiore resistenza, per far prima molla l’osso e si butta per mettere fine anche alla sua vita.

I due bambini portano il conto dei delitti compiuti da uomini, ai danni di donne, altri uomini, vittime trasversali, e bambini, nel capitolo delle stragi familiari, a #63 per il 2012, da quello che riporta Bollettino di Guerra che in assenza di un Osservatorio Nazionale raccoglie articoli dalla stampa ed evidentemente trascura ogni notizia che la stampa nazionale non riporta.

I vicini dicono che fosse una gran bella famiglia, qualche testata riporta il fatto che lei tentando di farlo calmare gli abbia detto “se volevi spaventarmi ci sei riuscito, ma adesso dai metti giù la bambina“. 14 mesi la piccola e 4 anni il bambino. Lei non riteneva che lui facesse sul serio. Di lui si sa solo che il padre si è impiccato un anno fa. La moglie, sopravvissuta e sotto shock, aveva comunque chiamato i soccorsi e per i bambini non c’è stato nulla da fare. Qualunque fosse la ragione distruttiva, odiosa, atroce, di quest’uomo è comunque riuscito ad attuare la sua vendetta.

Immagino la scenase non fai questo o quest’altro la butto di sotto… guarda che la butto…” e così i figli in mano a uomini come lui diventano uno strumento per ferire lei, l’altra, per vendicarsi, per uccidere, ferire a morte, per toglierle tutto, per compiere quel disegno di riappropriazione di corpi semmai i corpi siano in grado di dare un segno di qualche forma di autonomia. Di fronte ad un uomo del genere non può esserci alcun dissenso, nessuna indipendenza, nessun conflitto agito in modo civile. Uomini così ammazzano con le proprie mani chiunque dica no, o chiunque rappresenti un valore enorme per quella donna che hanno voglia di punire.

Così fa la mafia quando uccide i parenti della persona che vuole punire. Ed è Iaia Caputo che nel suo libro Il silenzio degli uomini (non eccezionale a dir la verità) parla di medeizzazione. Lo dice regalando pagine e pagine a uomini, padri, mentre giustificano le uccisioni di donne e bambini, tutte compiute in nome di un presunto torto subito dagli assassini. Lo dice ignorando il fatto che i padri che oggi agiscono così hanno sempre agito il terrore nelle famiglie, prima come padri padroni e oggi, impotenti rispetto alla maggiore autonomia delle donne, in special modo se economicamente indipendenti (la moglie dell’assassino lavorava e quindi manteneva tutta la famiglia, lui compreso), si vendicano attraverso i figli e attraverso essi esercitano un potere sulla vita delle donne.

Non sono mostri, non sono individui anormali. Sono uomini fragili che non trovano alcun ruolo a parte quello che la società destina loro, uomini la cui fragilità ci viene restituita tutta per responsabilizzare le donne e costringerci, ancora, a prenderci cura di loro. Le donne dovrebbero essere palliativo, tranquillante, e sono oggetto d’odio, inclusi i loro figli, a svolgere anche così il ruolo di ammortizzatore sociale mentre la crisi economica devasta ancor di più le relazioni e mentre il governo decide un welfare che istiga alle discriminazioni.

Lui, gli altri, non sono mostri. Sono assassini e in quanto tali deboli ed esserne consapevoli non significa perdonarli e neppure giustificarli ma significa immaginare quali siano i pretesti dei quali approfittano forze conservatrici e reazionarie per rinsaldare vecchi poteri e per rimettere in discussione libertà acquisite e diritti che non possono essere violati.

Non è un ragionamento che serve a prestare il fianco a un certo modo di intendere la maternità, come unica, inviolabile, sacra e priva di difetti, ché di madri che non tutelano i propri figli ce ne sono di sicuro, ne vuole essere un modo per immaginare nuove e diverse soluzioni autoritarie per realizzare una intimidazione sociale che tenga sotto scacco tutti gli uomini.

Per dirne una a me non piace l’aggravante per femminicidio. Eppure leggo nel fenomeno qualcosa di gravissimo che è conseguenza di una cultura, patriarcale, che usa i corpi e li costringe, attribuendo a ciascuno un ruolo preciso, incluso quello dell’assassino. Ed è per questo, credo, che Bollettino di Guerra conta le stragi, tutte intere e non solo le vittime in quanto donne.

La soluzione è culturale ed economica e sta a monte dell’organizzazione della società, del welfare, del ripartire le responsabilità alle vite umane togliendo agli uomini l’impiccio del sentirsi inutili se non si è produttivi e se non si può portare il pane in casa e togliendo alle donne l’impiccio dei lavori di cura a favore di tutta la famiglia inclusi i doveri riproduttivi cui richiamerebbero i reazionari antiabortisti.

Serve equilibrio, non tutele, serve intelligenza ed è necessario rispondere ai punti interrogativi senza aver paura delle risposte, anche fossero negative, perché tanto, sappiatelo, sappiamolo, siamo noi a dover prevenire i delitti perché di assistere ai linciaggi successivi non abbiamo voglia.

Al solito un capitolo a parte andrebbe sviluppato sulla maniera di comunicare sui media questa notizia. L’assassino, nei titoli, diventa un disoccupato. Se ad ammazzare è un rumeno è semplicemente rom e possiamo mettere la mano sul fuoco che è perfino più disoccupato dell’italiano che comunque sta in casa, con famiglia, al caldo e con moglie che lo mantiene.

La comprensione dei fenomeni sociali diventa mistificazione se non riconosce un ruolo ad ogni persona e la lettura delle complessità diventa ulteriore escamotage per creare fratture tra etnie, generi e culture se i giornalisti continuano a fare un pessimo lavoro.

Disoccupati sono alcuni uomini, di qualunque etnia, lo sono ancor di più le donne, e la disoccupazione è causa, in questo momento di suicidi ma non può essere considerata una attenuante morale, un ulteriore motivo di legittimazione sociale per dare il via ad altri e numerosi stermini familiari.

E ancora non sappiamo quale sia il movente della strage di Brindisi…

Prudenza, giornalisti, prudenza, perché in tutto ciò i veri mostri, alla fine, siete voi.

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


3 Responses

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  1. Paolo84 says

    che poi sarò ingenuo ma mi meraviglio di come un padre non avverta il bisogno, la voglia di contribuire ad occuparsi dei pargoli (anche se non ne trova il tempo) se li ha desiderati anche lui come la madre. Scusate se mi dilungo

  2. Paolo84 says

    e se ci fosse bisogno di dirlo: nessuna situazione di disoccupazione e difficoltà economiche ed esistenziali giustifica un padre che uccide i propri figli tanto più se l’ha fatto come una sorta di “vendetta” verso di lei (una sorta di Medea al maschile)

  3. Paolo84 says

    sentirsi inutili se non si può più portare lo stipendio a casa (che poi oggi il problema non è tanto che perdi il lavoro ma che se lo perdi non ne trovi un altro) non è un “impiccio”, è un malessere un po’ più serio…fermo restando che ci sono uomini che vivono questo malessere e non uccidono i familiari, al massimo si suicidano (a dimostrare che ogni situazione ha le sue peculiarità).
    Non dubito che in certi casi badare ai propri familiari (figli piccoli, sopratutto) sia un “impiccio” ma è anche perchè viene vissuto come tale che è difficile convincere i mariti a farsene carico. poi anche per alcune donne non è facile “delegare” (fermo restando poi che ogni coppia si organizza come vuole e come può). Sui reazionari antiabortisti concordo con voi