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La fragilità del “maschio” e l’ingovernabilità dell’altr@

Nella nostra mailing list c’è una discussione che continua a proposito di un articolo di Repubblica sulla fragilità del maschio. Una prima analisi l’aveva postata Lafra e questo è un intervento di Federico. Buona lettura!

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QUEL MASCHIO FRAGILE CHE NON ACCETTA LIMITI

Questo titolo mi disturba nel contesto di un articolo di Repubblica, è un titolo che rientra in una campagna di deresponsabilizzazione dello stupratore, prima era “la donna l’ha provocato, è puttana” adesso che Repubblica sta facendo la campagna elettorale a SNOQ, bisogna fare piu’ attenzione alle donne quindi è: l’uomo che non accetta limiti perché “è fragile”. Ma la fragilità non è una colpa, non sono responsabile di essere fragile, lo sono e basta.
Bene… allora dico io: se l’uomo è fragile, perché è fragile? E soprattutto com’è che tanti uomini fragili NON stuprano?

La violenza sulle donne è una forma insopportabile di violenza perché distrugge la parola come condizione fondamentale del rapporto tra i sessi. Notiamo una cosa: gli stupri, le sevizie, i femminicidi, i maltrattamenti di ogni genere che molte donne subiscono, aboliscono la legge della parola, si consumano nel silenzio acefalo e brutale della spinta della pulsione o nell’ umiliazione dell’ insulto e dell’ aggressione verbale. La legge della parola come legge che unisce gli umani in un riconoscimento reciproco è infranta. Questa legge non è scritta, non appare sui libri di diritto, non è una norma giuridica. Ma questa legge è il comandamento etico di ogni Civiltà. Essa afferma che l’ umano non può godere di tutto, non può sapere tutto, non può avere tutto, non può essere tutto. Afferma che ciò che costituisce l’ umano è l’ esperienza del limite. E che quando questo limite viene valicato c’ è distruzione, odio, rabbia, dissipazione, annientamento di sé e dell’ altro.

Sono totalmente d’accordo, qui quando Recalcati parla della legge della parola infranta, non si riferisce al parlare concreto di tutti i giorni ma ad un parlare di tipo simbolico (un parlare che può passare per i linguaggi prossemici quanto per quelli verbali) che si fonda sul riconoscimento dell’altro, sulla ritenzione dell’impulso alla scarica immediata, un’attesa in vista di un godimento di natura diversa che è la conoscenza dell’altro. Un limitare se stessi, trattenersi affinché questo altro abbia lo spazio per apparire nel mio orizzonte, poterlo riconoscere e farmi riconoscere da lui.
Pensate ai bambini piccoli: dopo qualche mese dalla nascita sviluppano una reazione fisiologica di disagio quando il volto di un adulto supera improvvisamente una distanza di circa 30 cm dal loro senza che loro lo abbiano “invitato” con qualche gesto.
La violenza è proprio questo: annullare lo spazio dell’altro riempiendolo di me, delle mie evacuazioni. Posso evacuare con un gesto o anche con una parola il punto è che non sto parlando, sto evacuando sull’altro e lo sto annullando e inglobando.

Non bisogna però limitarsi a condannare la bestialità di questa violenza. C’ è qui qualcosa di scabroso che tocca il fantasma sessuale maschile come tale. Una donna per un uomo non è solo l’ incarnazione del limite, ma è anche l’ incarnazione di tutto ciò che non si può mai disciplinare, sottomettere, possedere integralmente

Ecco, qui entriamo nell’intrapsichico, nel fantasma sessuale maschile, cose che la psicoanalisi ha ampiamente discusso per un secolo senza però ancora fare una chiara disanima degli intrecci culturali.

Per questa ragione Lacan distingueva i modi del godimento sessuale maschile e femminile. Mentre il primo è centrato sull’ avere, sulla misura, sul controllo, sul principio di prestazione, sull’ appropriazione dell’ oggetto, sulla sua moltiplicazione seriale, sull’ “idiozia del fallo”, quello femminile appare senza misura, irriducibile ad un organo, molteplice, invisibile, infinito, non sottomesso all’ ingombro fallico. In questo senso il godimento femminile sarebbe radicalmente “etero”

Ecco una vecchia questione… ci sono anche queste donne che hanno una sessualita’ incommensurabile che ci fa paura e non possiamo farci niente perché è una condizione intrinseca del loro essere donne ed essere al di fuori e al di la’ (etero) della norma simbolica (che è solo quella del fallo a quanto pare).
Gia’ Luce Irigaray venne cacciata dalla società lacaniana perché aveva tentato di istituire un soggetto donna molteplice E portatrice di un logos simbolico alternativo a quello maschile. E queste sono questioni vecchiotte degli anni ’70 eh!

E’ chiaro per lo psicoanalista che questa violenza – anche quando viene esercitata da uomini potenti – non esprime solo l’ arroganza dei forti nei confronti dei deboli, ma è generato da una angoscia profonda, da un veroe proprio terrore verso ciò che non si può governare, verso quel limite insuperabile che sempre una donna rappresenta per un uomo.

Non dubito che per un uomo la donna sia una potenza ingovernabile ma… non è tale in quanto donna… è tale in quanto altr@.
Per un gay il proprio compagno (o cmq il proprio amore) non è meno indomabile di una donna per un uomo o per un’altra donna o un transessuale o chiunque altro. Cambiano certamente alcuni dettagli ma in sostanza è l’alterità che spaventa e questo ce lo descrivono bene Hegel e Sartre da punti di vista diversi.
No, questo altro per antonomasia è donna perché il Sé è maschio (etero, occidentale, borghese…?)

Questo non è forse un dato culturale che può aiutarci a capire meglio i fenomeni di violenza attuale di questa società? Ed essendo un dato culturale, non dovremmo assumercene la responsabilità come collettività?

Posted in Disertori, Omicidi sociali, Pensatoio.


One Response

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  1. Catalano Nicola Vincenzo says

    “Sono totalmente d’accordo, qui quando Recalcati parla della legge della parola infranta, non si riferisce al parlare concreto di tutti i giorni ma ad un parlare di tipo simbolico (un parlare che può passare per i linguaggi prossemici quanto per quelli verbali) che si fonda sul riconoscimento dell’altro, sulla ritenzione dell’impulso alla scarica immediata, un’attesa in vista di un godimento di natura diversa che è la conoscenza dell’altro. Un limitare se stessi, trattenersi affinché questo altro abbia lo spazio per apparire nel mio orizzonte, poterlo riconoscere e farmi riconoscere da lui.
    Pensate ai bambini piccoli: dopo qualche mese dalla nascita sviluppano una reazione fisiologica di disagio quando il volto di un adulto supera improvvisamente una distanza di circa 30 cm dal loro senza che loro lo abbiano “invitato” con qualche gesto.
    La violenza è proprio questo: annullare lo spazio dell’altro riempiendolo di me, delle mie evacuazioni. Posso evacuare con un gesto o anche con una parola il punto è che non sto parlando, sto evacuando sull’altro e lo sto annullando e inglobando.”

    Sono terribilmente colpito da questo periodo delle tue osservazioni……mi inquieta profondamente perché, magari è vero che fraintendo, come dice la mia ex amica del cuore, ma mi mette in crisi…..

    la mia emotività, il periodo negativo per via di mia madre anziana, la salute, tutte le cose del mondo a scusa…
    ma si, ho sbagliato qualcosa, con lei…….
    E’ terribilmente difficile cercare di decostruirsi maschilisticamente……. e questo adesso mi ha messo un pensiero in testa… devo pensare!!!!!

    Un abbraccio, e grazie degli spunti continui per il mio “viaggio”…..
    😉