http://www.youtube.com/watch?v=40ODhBFGMLA
Belli gli appelli firmati dall’universo mondo, finanche da quelli e quelle che ogni giorno limitano la nostra libertà di scelta attraverso decisioni e provvedimenti di merda. Magari chiedere alle fasciste che ne pensano dell’ingerenza del movimento per la vita nei consultori, della proposta di legge Tarzia, degli obiettori di coscienza che predispongono percorsi lastricati di trappole e di punteruoli pur di non farti arrivare intera ad una maledetta pillola del giorno dopo, magari chiedere loro cosa pensano della nostra sessualità, del nostro modo di abbigliarci, delle ragazzine che sono spigliate e si prendono la vita salvo poi trovare sul loro percorso altre donne, oltreché certi uomini, che le limitano nel modo di agire, fare, dire, pensare, moraleggiando sulla loro esistenza, magari chiedere un minimino, l’abc dell’autodeterminazione femminile, ché altrimenti è facile farsi campagna elettorale, le polverini&co, e tra un saluto romano e un dio/patria/famiglia scaricarsi la coscienza piazzando una firmetta all’appello concepito in maniera non partecipata per poi tornare a fare ciascun@ le proprie cose.
Che quell’appello non sia servito a molto, che non abbia contaminato alcunché, a partire dal Corriere che oggi pubblica una notizia sull’ennesimo delitto ai danni di una donna, si vede dal modo attraverso il quale il cinquantacinquesimo delitto (#55 sono le vittime di violenza maschile inclusi bambini e uomini che stavano in quel raggio d’azione) viene descritto.
Stavolta l’assassino viene motivato dalla di lei “insopportabile” gelosia. E pover’uomo, che vuoi fare se hai la moglie gelosa? La ammazzi, quella rompipalle settantasettenne, perché la donna ha da stare servizievole e muta e se si lamenta basta una martellata in testa e l’hai sfinita.
D’altronde i quotidiani non sono adeguati neppure a trattare le notizie quando parlano di un delitto compiuto da una donna. C’è questa signora che ammazza marito e figlia e le fonti titolano che è stato per disperazione. Anni di esasperazione e rancore accumulati e del fatto di aver ammazzato pure la figlia non si scrive nulla. Resta tutto un po’ confuso.
Alla fine sono stereotipate entrambe le interpretazioni. Se ammazza lui è chiaro che si tratti sempre e solo per questioni inerenti gelosie e affini e libertà di movimento degli uomini. Non si chiarisce che c’è un presupposto secondo cui certi uomini che uccidono le donne le ritengano una proprietà. Se ammazza lei parrebbe essere vittima pure da assassina (perché è importante abbonarle la funzione affinché non si smonti l’approccio fatto di “tutele” – ti salvo a costo di sorvegliarti a vita – che poi scade in una enorme deriva autoritaria) e si parla di reazioni risentite perché le donne per cultura non possono essere gelose, aggressive, e poi sono materne, cribbio, e dunque si lascia il dubbio che lei uccida una figlia per errore, una specie di strascico delittuoso ché prendi due con lo sconto e tutto, e invece a leggere la Badinter (Elisabeth, la femminista) che parla di maternità (“Mamme Cattivissime” ed. Corbaccio) come di una trappola culturale che ci prende e ci lascia in ostaggio schiacciate in un ruolo di “cura” nei confronti dell’intero mondo (con tutta la retorica sulla nostra sempiterna voglia di curare il pianeta, che due palle), si capisce che quando ci considerano “vittime” anche quando agiamo la violenza non ci fanno un favore, proprio per nulla. Ci imprigionano ancora di più in un ruolo che è una trappola. E anche questo, comunque, è un argomento che prima o poi va affrontato.
Insomma, il punto è che hai voglia a spiegare al Corriere che cos’è il femminicidio e come si realizza nella nostra società. Lo puoi spiegare quanto vuoi ma l’inadeguatezza dei media nella maniera di trattare le notizie di cronaca che riguardano la violenza sulle donne (e pure delle donne) è tanta e tale che non si può non pensare alla malafede.
E comunque, buon primo maggio anche a voi!
Ps: Terragni, definire nel suo ultimo post (complimenti per l’atroce immagine coerente con l’estetica della vittima alla ricerca di tutele invece che come persona che è in grado di ricostruire la propria vita) la nostra critica “ansia da protagonismo” è di un infantilismo politico incommentabile. Fa il paio con l’altra sua affermazione a proposito delle invidie nei confronti delle donne che ce la fanno. Distanti anni luce, proprio. Ovvero per Marina Terragni le critiche all’appello di Snoq & Co, alle modalità di imposizione eccetera sarebbero “ansia da protagonismo”. Capito sisters? Se criticate i modelli antidemocratici e non partecipativi di Snoq e le frasi prevaricanti e bipartisan dei loro appelli sarete oggetto di patologizzazione. C’avete la sindrome da “invidiose”. Grazie Terragni per averci dimostrato ancora una volta che avevamo ragione.
P
“leggere la Badinter (Elisabeth, la femminista) che parla di maternità (“Mamme Cattivissime” ed. Corbaccio) come di una trappola culturale che ci prende e ci lascia in ostaggio schiacciate in un ruolo di “cura” nei confronti dell’intero mondo”.
Brave, leggere non solo la Banditer ma tutta la storia del crimine al femminile che riguarda l’unica sfera di influenza delle donne: quella domestica, di cura o ipercura dei bambini, anziani e malati. Bravissime le donne sono esseri umani e da adulte non hanno bisogno di scusanti, tutele e curatele, sono responsabili delle loro azioni.
Consiglio a chi vuole documentarsi N: Zemon Davis – A.Farge ( acura di)Storia delle donne, Bari 1991 e in particolare Castan , Criminale, III ibro dal rinascimento all’età moderna, pp.471.483…che tristezza non abbiamo fatto tanta strada da allora . Da un lato considerate perverse per natura istigatrici di ogni nefandezza e dall’altro incapci anche di commettere reati senon quelli connessi alla “nostra natura” di badanti.
“leggere la Badinter (Elisabeth, la femminista) che parla di maternità (“Mamme Cattivissime” ed. Corbaccio) come di una trappola culturale che ci prende e ci lascia in ostaggio schiacciate in un ruolo di “cura” nei confronti dell’intero mondo”
infatti è bene che la maternità (che come ogni cosa ha luci e ombre) sia vissuta come una scelta e non un destino imposto e ineluttabile