Skip to content


La solidarietà scritta sulla carta igienica

Non ti ci vedo a raccattare elemosine in giro per la città. Sei troppo orgoglioso, tu. E invece si, credici, mi dice lui, ché non ho altro da fare se non questo. Ma questo cosa? Raccatto scatole e rifiuti davanti ai negozi e ai supermercati, superando la concorrenza con altri disgraziati di qualunque nazionalità, poi mi presento e chiedo una mancia, un euro, forse due, e alla fine della giornata ho guadagnato forse dieci, venti euro. Non sono quasi niente, ma il niente è peggio.

E fare tipo altri lavori? Quali, chiede lui, come se non lo sapessi ché a fare il cameriere non mi prendono perché non ho il corpo di una donna e a fare altro vogliono esperienza e poi, davvero, non è semplice. Ho cercato, sto cercando, non trovo un cazzo.

Vorrai prendetela con me perché nei pub e ristoranti usano le donne di “bella presenza” per ammiccare ai clienti? Lo sai, si, che è una cosa perfida? Si che lo sa e non voleva dire quello e non voleva dire neppure altro ma è che la miseria è tanta e tale che tutti e tutte diventano nemici. Guerra tra poveri, denigrazione tra povere, disperazione amplificata nell’incapacità totale di farsi una carezza.

Abbracciami, amico mio, non puoi vivere nel rancore, non puoi guardarmi come se il nemico fossi io, non puoi liberarti di me neanche volendo perché io non ti abbandono. Non puoi dirmi nulla che io non sappia già e l’unica sorpresa sta nell’alleanza perché a dividerci ci provano tutti, per dominarci, per quietarci, per farti guardare ad un nemico più vicino invece che a quello che è reale. Stranieri, donne, persone, e dillo tu a mio padre che il problema non è la scelta di amicizie, che se invece che al centro sociale andavo all’opus day possibilmente un posto ce l’avrei ma allora è sbagliata tutta la vita dal suo inizio, dai miei genitori, dalla loro coerenza.

E no, non ho fazzolettini per soffiarti il naso, che fuori è freddo, pare tornato il gelo, e io posso darti solo carta igienica e guai ad usarne troppa perché per risparmiare devo misurarmi anche le cagate.

Sappiamo fare cose umane, noi. Sappiamo anche toccarci. Possiamo respirare pelle su pelle e ci fidiamo della miseria altrui ché quando sono ricchi gli si immiseriscono gli animi, a bilanciare, perché qualcosa di miserando e miserevole bisogna pur avercelo, e allora facciamo che ci prendiamo solo per oggi questa magra consolazione, quella dei vinti che si sentono nobili e giusti mentre i vincitori se ne fottono e ci rincoglioniscono con una morale che ci educa a non rubare. Non rubare a loro, mica a noi, perché a noi ci hanno fottuto tutto.

Facciamo finta che tra noi siamo perfetti, tutti umani, tutti gentili. Gentili un cazzo. Come per la teoria che tutto ciò che compone l’universo dei diseredati sia poetico e solo io, forse, non ci vedo nulla di poetico in uno straniero che sta nel movimento a favore dei diritti dei migranti che quando giri il capo picchia sua moglie o molesta la ragazzina nella casa occupata.

Non è gentile la vecchina che sta all’appartamento vicino al mio che come se non bastasse già la mia precarietà ci si mette pure lei a contarmi gli orgasmi, scambiando ogni lamento per orge sataniche “perché da quella casa entra ed esce il mondo”. Fortuna a me che c’entra il mondo, e magari ce l’avessi un mondo di persone che mi passassero per casa, e dato che a te nessuno ti viene mai a trovare perché sei di una antipatia unica allora ti porto un dolce, lo cucino io, e mi offri pure un thé, un caffé, quello che vuoi, purché la smetti di evocare la mia presenza sul pianerottolo e così mi parli guardandomi negli occhi.

Ma in ogni caso, a parte la scarsa poetica di certe persone, i diritti sono diritti, cosa che pare sfuggire a molti, e ci sono i miei, quelli di tanta gente, i tuoi, si, anche i tuoi, che è inutile che guardi quel punto fisso sulla parete perché tanto non si sposta, non compare una scritta al neon e dovrai definire uno sguardo multidirezionabile e compatibile con qualcosa di diverso che non sia un desktop su cui troppo spesso rifletti l’ego alla ricerca di una risposta che un qualunque canale di ricerca non ti darà mai.

Diciamolo, a parte tutto, laurea, valore personale, tentativi fatti, spesi, opportunità sprecate o colte, nessuno dà a te la colpa di quello che non ti è venuto bene, ma le relazioni personali, quelle si, le scegli e scegli anche il modo in cui gestirle e io non sono un cuscinetto, non sono quella da convincere, non mi devi usare a specchio per rifletterti in una immagine di te che non sembri quella di un fallito.

Io lo so che tu vali. Lo so che ci provi. Lo so perché ti conosco, ti annuso, ti vedo. So chi sei. E so che ti sei perso. So che ti stanno convincendo a pensare che non vali un cazzo. So che stai perdendo fiducia, autostima, equilibrio. Perciò ora smettila di bere, smetti di fumare, smetti di fare tutto ciò che fai e abbracciami.

E si, smetti di chiedermi se puoi usare un altro po’ di carta igienica. Tieni… ti regalo tutto il rotolo.

Posted in Narrazioni: Assaggi, Precarietà, Storie violente.