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#48 – Violenza sulle donne: c’è dibattito anche al maschile!

Se la centratura del discorso si basa sulla violenza sulle donne vedremo sempre chi è pro, chi è contro, chi è ineludibilmente contro, chi è contro ma e però, chi sposta la discussione sulle violenze altrove, chi nega, chi mette in discussione le cifre e le statistiche, chi esaspera il conflitto, chi sragiona di vittimismo, chi in nome di questa violenza si immagina investit@ da una missione, chi vuole castrazioni illogiche, impiccagioni, linciaggi, chi e chi e chi.

Il dibattito è centrato. C’è. Ciascun@ dice la sua. Come sempre accade. Non è più questo il problema. Non lo è nella misura in cui chi ne parla comunque non può più negare. Può al massimo sminuire, può tentare di spostare l’attenzione, ma la centratura resta.

Voglio dire: negli ultimi giorni uno ha ammazzato la moglie nel sonno, una ragazza di 17 anni è stata gravemente ferita perchè accoltellata dal suo ex, un’altro ha sparato e ucciso la moglie, ancora uno ammazza la moglie per strada, e una donna sfigurata dall’acido è stata trovata sotto un ponte. #48 vittime dall’inizio del 2012. Un’enormità. Fossero altrettante le vittime tra gli stranieri per mano di razzisti o di gay e lesbiche per mano di omofobi se ne parlerebbe come di una discriminazione. Quando una fetta della popolazione ammazza l’altra fetta si tratta di discriminazione, controllo, dominio, tirannia, potere, esibizione di un presunto diritto di proprietà sulla vita di un’altra persona. E’ Femminicidio. Non è violenza e basta. Perché agisce sempre sulla base delle stesse dinamiche che di volta in volta godono di differenti legittimazioni sociali a seconda delle epoche.

C’era il tempo in cui si uccidevano le donne perché si ritenevano cattive e streghe. C’era il tempo in cui si esibiva la questione dell’onore offeso. Il tempo in cui si riteneva che le donne stuprate rappresentassero perfino un’offesa contro la morale comune invece che contro la persona. Oggi è il tempo in cui altre forme di legittimazione sociale assumono popolarità. Le separazioni, l’abbandono, il divorzio, tutti temi che vengono esibiti con forza in una guerra d’opinione in cui c’è chi pretende che la centratura del discorso vada altrove: gli uomini, la loro fragilità, il loro diritto al supporto psicologico, in un tentativo di responsabilizzazione delle donne che dovrebbero prendersene cura, ovviare alle carenze strutturali dello Stato per continuare a supplire perfino in forma preventiva nei confronti degli uomini deboli.

Discorso centrale alcuni vorrebbero che fossero i diritti calpestati di alcuni uomini, i padri, e non ci sarebbe nulla di sbagliato se non fosse che questi argomenti diventano di per se’ una ulteriore giustificazione alla violenza sulle donne.

Dire che un uomo rancoroso e assassino sia vittima di una separazione non voluta e che possa godere di comprensione, sul piano morale, e di una giustificazione non è diverso dal dire che l’uomo offeso nell’onore di qualche anno fa aveva il diritto di uccidere. Non è diverso dal dire che un uomo “turbato” alla vista della carne esibita delle donne non può che essere uno stupratore. Si tratta sempre di vittimizzazione del carnefice e di criminalizzazione della vittima. E lo stesso argomento vale anche in senso inverso. Quando è una donna ad agire la violenza su un uomo.

Si può parlare di violenza sulle donne centrando il discorso altrove? Ed è questo il punto. Quello che appare più problematico in termini culturali attualmente non è chi nega un fenomeno visibile ma chi non lo nega e sposta la questione altrove. Lo sapeva il precedente governo che usava la violenza sulle donne per produrre norme (i pacchetti sicurezza) tutte orientate contro gli stranieri. Lo sa chi promuove guerre cosiddette umanitarie (che di umanitario non hanno niente) per “salvare le donne”. Lo sa chi oggi insiste nel dire che le donne muoiono perché i padri separati non godono di più diritti. Ma lo sanno anche quelle persone che usano l’argomento per criminalizzare un intero genere e quelle che usano la violenza sulle donne come principale argomento inibitorio delle libertà femminili, come principale spinta a lasciarci in casa, a chiedere tutele, a esigere l’uomo accanto per stare più tranquille, a sancire l’appartenenza come un fatto necessario, a martirizzare le figlie orientandole necessariamente verso il matrimonio, a esaltare il valore della famiglia, a monitorare la nostra sessualità, a normarla, moraleggiando i nostri costumi, i progressi, le richieste, le rivendicazioni, le esigenze. Lo sa chi promuove politiche per lo “sviluppo” e per il lavoro ché spacciano per un favore (la conciliazione) la nostra totale marginalizzazione. Lo sa chi ci condanna alla dipendenza economica e ci lascia sole a combattere una guerra tra poveri, uomini vs donne, che neppure vogliamo fare. Lo sanno in tanti e in tante. Discutere senza discutere. Cambiare per non cambiare.

Le leggi si possono senz’altro migliorare e se c’è uno schieramento che contrasta la cultura familista e che dice che la famiglia non deve essere per forza e che la separazione deve essere indolore, e che le donne non devono dipendere dagli uomini, e che le donne devono trovare spazio nella società per mantenersi da sole e lavorare, e che il lavoro di cura su figli, parenti, anziani può essere ripartito, e che il divorzio non deve essere una via lastricata di dolore e di problemi, e che le donne non devono per forza restare e sono libere di andare senza essere ripudiate, che problema c’è. E’ quello che – per ragioni diverse – diciamo da sempre e il maggiore impedimento a tutto questo è la cultura cattolica che si è vista piovere il divorzio da una enorme volontà popolare e poi ha immaginato comunque di non facilitarlo in niente. Sempre uniti. Tutti uniti. Fino a che morte non ci separi.

Ma è quello il punto? Davvero? Che serva ad una propaganda per fare passare delle proposte si capisce lontano un miglio, salvo quando questa propaganda tocca spunti e temi usati da chi violento è per davvero e non sa fare altro che personalizzarne la lettura e usarla come difesa personale sentendosi egli costantemente in un’aula di tribunale, a difendersi dalle accuse di percosse, maltrattamenti, violenze, che sostanzialmente dirà comunque e sempre siano false.

Ma, ancora, è questo il punto? Sto leggendo libri, in questi giorni, cercando e ricercando, Le ferite degli uomini, La paura degli uomini, Il silenzio degli uomini, sorprende non trovare in libreria titoli come L’intestino tenue degli uomini, Il cuore degli uomini, Il cervello degli uomini, perché personalmente non riesco a trovare un che di positivo in tutto questo. Non lo trovo perché a me pare, e lo dico da persona che pensa e che non giustifica alcun sessismo quando e se ne colgo la sostanza, che dalla centratura del problema sulla violenza sulle donne stia nascendo un altro mostro: la mistificazione.

Voglio dire che certificare senza ombra di dubbio che esista una “paura”, una “fragilità”, una “ferita” connaturata negli uomini non è diverso dal dire che hanno la violenza inside o che non sarebbero predisposti ai ruoli di cura e dunque non sarebbero adeguati a fare i padri. Non è diverso dal dire che la loro gelosia è più da tenere in considerazione di quella delle donne. Non è diverso dal dire che abbiamo cervelli diversi. Mi sembra uno stereotipo di genere e pure bello grande. Una ulteriore e banale giustificazione spacciata come lettura responsabile e come modalità di autocoscienza. Talvolta parrebbe forse un modo per captare benevolenza ritenendosi superiori, come se le donne fossero inclini a interloquire con toni “concilianti” elargendo sconti. Come se non fossimo pari. Come se noi fossimo così fragili. Ad innescare in un modo o nell’altro un diverso ma in fondo uguale meccanismo tutelare.

Apprezzabile lo sforzo, certamente, se uno si rimette in discussione e dice che non c’è nulla di sentimentale nel massacrare le donne, che c’è una cultura dell’esaltazione dell’uomo che lotta fino allo stremo per tenersi la “sua” donna, perchè l’ama – egli dice – e per lei farebbe tutto e in questo tutto ci sta la morte dell’amata, dei figli per vendetta, la violenza per procura, lo stalking giudiziario nel corso delle separazioni, l’uso della psichiatria autoritaria per opporsi alle accuse di violenza. Il punto è, a mio avviso, che il fatto che emerga in pubblico quello che mia madre mi diceva in privato, ovvero che gli uomini sono fragili (inferiori?), che vanno “capiti” (compatiti? mai considerati alla pari?) e che certe cose non le sanno gestire, grande scusa per deresponsabilizzare e sentirsi “premiata” nel fare sfoggio del “sacrificio”,  nell’essere dunque agnello sacrificale (come quando dici che i bambini sono affare di donne), non implica necessariamente una responsabilizzazione da parte del genere maschile. Implica invece una responsabilizzazione del genere femminile che come nelle peggiori dinamiche di codipendenza da violenza domestica gode di una presunta autoesaltazione e immagina di poter usare questa sua “superiorità” morale in una sorta di esercizio del potere che è fittizio, inesistente, perché una donna dominata, dalla violenza fisica o dal ricatto psicologico ottenuto dall’ammissione di debolezza dell’altro, non ha alcun potere neppure su se stessa. Diventa solo uno strumento, un tramite, di poteri altri che si servono di noi per pianificare e svolgere una economia che è comoda per chi si vuole arricchire sulle nostre spalle. E’ una pacca sulla spalla mentre continuano a toglierci diritti: lavoro, casa, istruzione, sanità, tutto.

Se le dinamiche sociali non sanno fare altro che scimmiottare quelle personali/private/relazionali, morbose perché viziate alla radice, io non lo vedo come un gran progresso. Non so bene quale possa essere la direzione, sono qui a tentare di capirlo assieme a voi, ma so che non mi consola sentire che gli uomini sono fragili, non mi interessa il contentino, non mi sgrava di una eventuale corresponsabilità e non voglio essere ancora io a supplire, a fare da psicofarmaco sociale, immaginando che questo sia per me un riconoscimento perché non lo è.

Sia che ci si dedichi alla questione maschile puntando il dito contro gli uomini, sia che se ne parli in senso maternalistico spogliandoli di qualunque merito salvo riconoscere loro il fatto di aver esibito debolezza, non so quanto questo mi riguardi. Ovvero: forse non mi riguarda affatto. Mi riguarda molto di più la lettura che ne danno i nostri disertori che sono consapevoli di essere strumenti di logiche economiche di dominio e disertano il ruolo di oppressori per non essere più oppressi e combattere assieme a noi. Ma questo atto soggettivo che diventa collettivo si sposa necessariamente ad un altro atto che abbia eguale forza e sostanza da parte nostra, da parte delle donne. Non più oppresse, vittime, e con l’illusione di esercitare un potere negli ambiti che l’economia ci assegna: cura, riproduzione, intrattenimento sessuale, tutto nei recinti stabiliti da altri e non da noi, con l’illusione che come le sappiamo fare bene noi queste cose proprio nessun@.

In un senso e nell’altro non c’è libertà di scelta. Proprio non ce n’è. E se questo discorso, che è in itinere, vi sembra troppo complesso, vi dico che vuole esserlo perché dove vedo risposte troppo lapidarie io ci vedo il losco. Perché le cose sono più semplici di così ma le mistificazioni da qualunque parte abbondano e perché nello sforzo di crescerci attraverso, addosso e di cercare risposte non si può ignorare niente.

Non posso ignorare, per esempio, che in Italia non esiste una ricerca valida sulla violenza delle donne sugli uomini. Che l’unico materiale che si trova, italiano o straniero, è antifemminista e che molte fonti perpetrano un quadro giustificazionista perché non riescono ad emergere neppure loro dalla centratura del discorso. Fingono di parlare di se stessi ma in realtà continuano a parlare di noi. Sanno parlare di violenza sugli uomini solo parlando di violenza sulle donne. Sanno dirsi offesi in un modo revanscista e sanno produrre rivendicazioni in una logica difensiva che non sposta l’asse del discorso. Voglio sapere qualcosa di più sulla violenza delle donne sugli uomini? Non me lo dicono. O me lo dicono con molta difficoltà e spero me ne diranno di più. Al momento vedo che producono il solito materiale che contesta le statistiche sulla violenza sulle donne, la propaganda che nega un fenomeno innegabile, in parte ho letto delle cose avvilenti per la maniera in cui sono poste le questioni laddove viene immaginata come “violenza” qualcosa di molto vecchio appreso dai nonni, argomenti privi di spessore, salvo qualche interessante spunto che sto cercando di approfondire.

Se leggi che violenza delle donne sugli uomini è la minigonna delle ragazzine che te la sbattono in faccia non è una cosa che si può prendere in considerazione. C’è ancora una ammissione di debolezza. C’è una autorappresentazione del maschile che è svilente. Laddove questi uomini si dicono offesi per l’immagine che viene data di loro poi si autocodificano come esseri non senzienti pronti a stuprare qualunque adolescente, giammai capaci di resistere ad una pseudo “natura” del predatore/inseminatore. Sono questi gli uomini? Davvero? Io ne ho un’opinione assai migliore. E di sicuro se nel 2012 dobbiamo parlare ancora di chi non sa contenere i propri istinti e dobbiamo discutere di vari livelli di giustificazione allo stupro il livello di consapevolezza del maschile è veramente basso.

Se leggi che una delle più gravi forme denunciate di violenza delle donne sugli uomini (certificata al 68% da una ricerca condotta credo da persone che compongono la comunità teorica dei padri separati) sarebbe il rifiuto sistematico e prolungato al rapporto sessuale (durante una convivenza) e che questo comporrebbe un presunto quadro di violenze psicologiche ci si rende conto, ancora, che si ritiene una donna “potente” in quanto detentrice di un organo sessuale e dunque si certifica un presunto “abuso di potere” ogni qual volta una donna rifiuta di fare sesso. Di contro, non è scritto ma io arbitrariamente semplifico e deduco, che chi stupra, ovvero chi esige un rapporto non consensuale, possa essere considerato una sorta di eroe nell’atto del compimento di un esproprio proletario, un “debole” ancora una volta, fortemente provato dalla negazione della donna, che nello stupro esibirebbe una sorta di legittima difesa. La legittima difesa del pene – e perdonate l’eufemismo.

L’altra cosa che della stessa ricerca trovo opinabile è quella che chiamano “mobbing giudiziario” che sommerebbe le denunce di una donna contro mariti/padri violenti prima e dopo una separazione. Lo trovo opinabile non perché non lo ritenga possibile ma perché nega sistematicamente che esistano casi, e certamente esistono e sono tanti, in cui  i mariti/padri pratichino violenze e poi forme di stalking (come si può vedere dalle cifre di donne ferite, perseguitate o uccise dopo una separazione), in cui questi mariti e padri siano effettivamente responsabili di violenze. Questa faccenda viene esibita come tesi innocentista contro donne, tribunali, chiunque nei confronti di chiunque e per chiunque, senza fare distinzioni, senza che mai una volta sia detto, bhé, questo si, effettivamente è un violento.

Come se la censura servisse a tutelare l’immagine di tutti gli uomini o di una parte di essi. Come se fosse vissuta come ammissione e come se la negazione della violenza sulle donne fosse la strada maestra da percorrere per fare emergere le violenze compiute dalle donne. Non lo è. Anzi. Questo metodo produce resistenze. E’ un sistema di autocensura e di autocriminalizzazione. Prendere distanza da un uomo violento, smettere di vittimizzare un carnefice, non necessariamente ponendo la lusinga dell’altro genere, da secoli mortificato e schiavizzato, come tramite per acquisire benevolenza, è un fatto sostanziale.

Lo vedo nelle donne: guardare la violenza dell’altro impedisce spesso di vedere la propria. Si assiste, e concordo, alla santificazione di un intero genere, le donne tutte vittime e lo dico da persona alla quale questo ruolo sta stretto perché non me lo sono cercato e perché sulla base di quel ruolo io mi trovo a combattere ogni giorno contro stereotipi che devono essere messi in discussione.

Siete sicuri di non stare facendo lo stesso errore? Siete sicuri che – per esempio – combattere una guerra contro il “femminismo” (quale, quanti, chi, cosa, me, noi?) sia una strada per fare emergere il problema? Siete sicuri che le leggi che mortificano e stritolano pure me siano leggi “femministe”? Siete sicuri che le femministe, ovvero quelle la cui opinione è marginalizzata dalle donne, siano un nemico da abbattere? Siete sicuri che la soluzione resti nella riproposizione di un modello maschile autoritario (l’anti-maschiopentito?), l’eroe epico descritto nel libro (che non mi è piaciuto privo com’è di contenuti critici e appiattito su un posizionamento che non comprendo) di Iaia Caputo? Colui il quale considera una forma di femminilizzazione l’esibizione della paura e che gode e ricerca una esaltazione della figura maschile quando torna in patria una bara di un presunto “eroe” di guerra (morto)? Colui il quale riesce a solidarizzare con i gay solo perchè uomini ma che proprio non concepisce le lesbiche e non concepisce il fatto che la sessualità possa non essere riproduttiva? Colui il quale vuole limitare la libertà di scelta nelle donne per ciò che riguarda la sessualità e l’aborto? Colui il quale, in definitiva, ripropone ancora una volta il controllo dei corpi di altre persone, siano esse donne, lesbiche o che, come forma di restituzione o compensazione a risarcimento della dignità maschile perduta?

E’ un colloquio aperto e mi piacerebbe svolgerlo con tutt*. E no, non rinuncio all’asterisco che viene dalla cultura queer perché i generi, comunque, sono tanti e nel linguaggio il maschile inclusivo li discrimina tutti.

Posted in Anti-Fem/Machism, Comunicazione, Corpi/Poteri, Critica femminista, Pensatoio.


5 Responses

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  1. Tiresia says

    @Serbilla
    Si capisco perfettamente il concetto e simpatizzo anche con i vari “disertori” che leggo volentieri su questo blog. Ho inserito quella piccola precisazione a scopo unicamente personale per chiarire che il fatto che io pur non aderendo al femminismo in toto e non utilizzando alcuni termini come disertore o l’uso dell’asterisco approvo comunque in pieno questo tipo di strumenti per rivendicare dei diritti che chiunque dovrebbe ritenere basilari.
    Quindi la mia non voleva essere una critica ma solo una motivazione personale perchè a mio modo di vedere anche nel patriarcato certi atteggiamenti(anche se si sviluppano quasi istantaneamente) sono comunque contrarie ai valori sociali e quindi i veri disertori, traditori, ecc sono proprio quei maschi che usano l’etica per coprire gli atti peggiori (un esempio su tutti: la violenza sulle donne).
    Si tratta comunque di una piccolezza linguistico-concettuale su cui ammetto di essere un rompipalle io ma i valori alla base sono gli stessi.

  2. Serbilla Serpente says

    @Tiresia
    I “disertori” qui sono intesi come disertori del patriarcato, non di certo della maschilità. Possiamo dire che anche le femministe sono disertrici del patriarcato, solo che la diserzione delle donne ha assunto la forma storica dei femminismi, quella degli uomini, pur avendo dei precursori, sta nascendo in questi anni.

  3. fikasicula says

    Ragioniere ma non trovi un po’ petulante andare in giro di blog in blog a banalizzare gli omicidi di donne? Cioè: ti pagano per fare ‘sta cosa o è di tua sponte?
    Anyway:
    vedo dal tuo commento che non hai letto il post. forse varrebbe che tu lo rileggessi. per bene. è scritto anche svariate volte che non bisogna generalizzare. ma capisco che il tuo copione dice che devi dare la tal battuta e ti viene male cambiare frase.
    La storia del voi “giovani” nati in condizioni di parità anzi in ruoli subordinati sarà che è soggettiva. Sento mille storie al giorno e sono totalmente diverse. cos’è: a te la generalizzazione è permessa?
    le storie che io sento tutti i giorni parlano di donne molestate da professori e datori di lavoro, licenziate se non ci stanno, che raggiungono posizioni decenti dopo aver lottato, poi ci sono tante donne che vengono picchiate, offese, umiliate, uccise, stuprate, fin da ragazzine. ricattate dal compagnetto di scuola che se non gliela danno mette online le foto con lei ripresa a cosce nude, picchiata a casa, fuori, con tanta gente come te che dice che non è vero niente e la mette alla sbarra dicendole che lei ci stava, che è bugiarda, che bla bla bla.
    se leggi in rete o nei quotidiani ci sono tanti pezzi in cui le donne vengono descritte come fossero delle amebe prive di spessore, un pochino inferiori oppure al limite solo da tutelare, e questo che ti piaccia o no fa parte di una mentalità millenaria che cambia per non cambiare e che diventa linguaggio di oppressione. l’oppressione è roba brutta, gretta, senza se e senza ma coinvolge pure te perchè ti usa come tramite mentre sei qui a smentire e negare un fenomeno che non puoi negare. la percentuale “minuscola” di cui parli è orrenda, enorme e di minuscolo qui c’è solo la pochezza che resta nell’insistenza tesa alla banalizzazione. cioé: puoi parlarmi di tutto ma la banalizzazione proprio non la tollero. fosse anche un solo uomo ammazzato io non mi permetterei mai di dire che è “solo” un uomo.

    abbiamo capito che tu non sei “colpevole”, dunque perchè ti difendi? perchè non prendi le distanze? perché non dici semplicemente è grave senza avere il problema di sentirti messo alla sbarra come “uomo” e senza sentirti in obbligo di difendere l’intero tuo genere? cosa c’entri tu con gli assassini, gli stupratori, gli stalkers, i molestatori? c’entri qualcosa? se no, come io credo, allora di che parli?

    Se una mentalità razzista (e il sessismo è puro razzismo) legittima delitti tutti i giorni ad opera di un genere contro l’altro bisogna cambiare linguaggio, tutti quanti, bisogna non offrire sponde, bisogna parlare chiaro.
    Le donne uccise ogni anno, 127 per lo scorso anno e troppe nei primi tre mesi del 2012, vengono ammazzate anche grazie ad una mentalità che giustifica chi ammazza. proprio in virtù del fatto che c’è chi come te sminuisce e parla di “raptus”. un casino di pseudoraptus all’anno, di gente che cerca attenuanti e che miete vittime sulla base del possesso, dell’esercizio di un potere, immaginando che le donne siano una cosa, un oggetto di loro proprietà che se non gli appartiene devono morire. la storia della “follia” la lascio a te che sembri volontariamente dedito alla medicalizzazione dei comportamenti. per me i mali sono sociali e culturali e in termini sociali vanno risolti. pensa che non servirebbe neppure il carcere che è repressivo mentre fuori c’è un sacco di gente che insiste a dire le stesse cose che dicevano a se stessi gli assassini prima di uccidere una donna. la legittimazione sociale è quella che ti fa dire che la “gelosia” possa essere una “ragione” per uccidere. quella che include sempre un “poverino”, povero folle, povero essere, parlando del carnefice, quello che ti fa prendere distanza dalle vittime e te le fa ritenere solo una minaccia a te che sei qui a difendere il tuo “genere”.
    la società per come la vogliamo “noi” (grazie per la pluralia maestatis) è una società in cui le donne non “appartengono” ma semplicemente vivono. e le storie collettive sono fatte da mille storie individuali. e non esiste una società “femminista”. può esistere una società equa in cui tutti ragioniamo di tutto e in cui le relazioni non siano il tramite per un crudele esercizio di potere.
    perchè non rispondi tu alle mie domande?
    il fatto che tu ritieni di essere nato e cresciuto in un gineceo pieno di orribili capesse e donne che si consideravano alla pari ti ha causato qualche trauma? ti ha stimolato un pochino di misoginia? ne hai tratto delle esperienze negative? hai avuto dei problemi?
    dal personale al politico. dimmi che cosa ti è successo e parliamo di quello perchè se esigi una sorta di risarcimento qui per una tua esperienza personale sei tu che stai generalizzando e stai criminalizzando un intero genere, o meglio parte di esso, tutte coloro che per te sono le “femministe”.

  4. Tiresia says

    Il problema della negazione è proprio questo. E’ normale non volersi sentire uno degli “oppressori” ma non per questo si può dire che siamo vissuti in una condizione di parità pretendendo che non vi siano cambiamenti sociali in base a questo assodato.
    Mi permetto allora di fare un altro esempio. Se io avessi piene le palle di trovarmi tra gli oppressori europei che affamano il terzo mondo, sfruttano il lavoro minorile per i loro prodotti e hanno creato il razzismo che ancora è ben lontano dall’essere superato, dovrei pretendere che non se ne parli più e tutto resti come prima?
    Il femminicidio sarebbe solo violenza se la società e la legge non creassero le attenuanti che regolarmente si affollano a giustificare degli atti come “normalmente maschil”. Lo stupro sarebbe una violenza fisica “normale” (se si può usare questo termine per un atto comunque aberrante) se non fosse che la vittima viene colpevolizzata e forzata alla vergogna da una massa di persone che io personalmente considero complici. In una società egalitaria la violenza probabilmente esisterebbe ancora ma non sarebbe indotta nè giustificata. Qui non si tratta di lavaggi del cervello ma di semplici convenzioni sociali che sono ben più forti. La storia individuale esiste solo in base a quello che è la società. Basta guardare chi siamo per vedere ciò che ci si aspetta da noi: sesso/genere/età/classe sociale/ecc.. e ciò che invece non è “normale”.
    Nella nostra società la legge ha solo da poco eliminato reati come il delitto d’onore o il reato contro la morale per lo stupro… queste sono prove evidenti per chiunque cerchi dati sociologici.
    Con questo comunque non voglio dire che il femminismo vada accettato senza discutere. Io non sono nè femminista nè amo il termine “disertore” (perchè a mio modo di vedere sono i maschilisti che scappano dai loro doveri) ma i miei valori coincidono con i loro quando si tratta di ingiustizie sociali senza per questo sentirmi meno maschio o colpevole come chi usa vigliaccamente la violenza.

  5. Il Ragioniere says

    femministe come nemico da abbattere no, ne conosco alcune dal vivo e non mi sembrano così antagoniste nei confronti degli uomini o dei loro diritti. Devo dire che conosco molte persone che hanno idee diametricalmente opposte alla mia ma che sono belle persone con cui avere a che fare.

    Ma ciò non vuol dire che uno debba accettare gli insegnamenti del femminismo senza metterli in discussione… la morte di una donna per mano del partner è orribile, ma non vedo perchè bisogna usarle per teorizzare un oppressione generalizzata ad opera degli uomini.

    Anche perchè noi giovani uomini siamo nati in condizioni di assoluta parità con le nostre coetanee e spesso in ruoli subordinati nei confronti di autorità di sesso femminile: dalle insegnanti nelle scuole alle nostre capesse negli uffici. Come uomo giovane mi cascano semplicemente le palle a sentirmi dire che faccio parte degli oppressori. Poi a voi dà fastidio che faccia i calcoli, ma resta comunque innegabile che una percentuale minuscola di italiani ammazzano la propria compagna; non mi sembra sufficiente quindi a colpevolizzare l’intera popolazione maschile.

    Se un razzista vi dice che una percentuale altissima di stranieri delinque, voi non lo accettate… è esattamente il mio stesso discorso applicato alla violenza di genere. Prendete la violenza di pochissimi per colpevolizzare un intero sesso.

    “E’ Femminicidio. Non è violenza e basta. Perché agisce sempre sulla base delle stesse dinamiche che di volta in volta godono di differenti legittimazioni sociali a seconda delle epoche.”

    Secondo voi ognuna delle 120 donne uccise ogni anno viene uccisa perchè l’assassino è un poverino che ha subito il lavaggio del cervello dalla società malvagia che odia le donne? Come fate a dirlo? Come fate ad escludere che una è morta per un raptus, una per un sentimento di gelosia provocato dalla parte animale dell’essere umano e non da quella logica imbambolata da messaggi misogini, oppure perchè l’assassino è un violento pazzo nato storto? O magari una è morta perchè il compagno la odiava con passione in quanto persona e non in quanto donna? Come fate a dire che ogni singola donna morta è da ricondurre a “legittimazioni sociali”?

    Domanda numero 2: se la società fosse perfettamente egalitaria, secondo voi non morirebbe più nessuno? Immaginate una società come la volete voi, in cui un uomo ammazza la moglie: l’ha ancora fatto perchè “legittimato dalla società” o l’ha fatto per motivi legati alla sua personalità e storia individuale? Oppure credete che in una società perfettamente femminista non ci sarà più nessun omicidio di nessun genere?