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Storie di un padre NON separato #6 (parte prima: Deconstructing Giacomo)

Niente di personale, Giacomo, ma hai scritto una roba veramente troppo piena di stereotipi.  Ho capito che forse volevi far ridere, ma questo fine non autorizza tutti i mezzi. E non è una battuta. In corsivo [e tra parentesi quadre] i miei commenti a questo testo apparso su La Stampa.

Fare il papà non è facile, ci si sente strani, in imbarazzo. E poi i figli fanno domande difficili. È più facile fare lo zio e il nonno. È più facile fare il premier che fare il papà. Anche l’astronauta è più facile da fare, arrivo persino a dire che è più facile fare l’amico che fare il papà! [non è che fanno domande difficili, Giacomo, è che – al contrario degli elettori – non puoi fregartene delle risposte; le conseguenze le paghi lo stesso. Lo ricordo io, dato che hai dimenticato una premessa: fare i padri non è obbligatorio. Certo se proprio l’avete deciso, assumetevene le responsabilità senza vantarvene troppo, grazie.]

I papà moderni e quelli di una volta sono molto diversi tra di loro, ma in una cosa si assomigliano: nel non voler togliere spazio al ruolo delle madri, consapevoli che certe cose, quali sostituzione di pannolini, preparazioni di pappe, tattiche e procedure per arginare le colichette, siano meglio svolte dalle mamme; loro, i papà, si mettono umilmente da parte [ma parla per te! E poi non si chiama “non voler togliere spazio”, si chiama non voler affrontare le proprie responsabilità e rifugiarsi nei luoghi comuni]. Quando nasce un figlio, in genere, per i primi anni di vita il papà non si fa molto vedere [complimenti vivissimi, ma sì, scriviamolo sul giornale, tanto è per ridere], non è molto coinvolto nel processo di crescita e di educazione dei pargoli [peccato che loro, i pargoli, vorrebbero esserne coinvolti, e che magari passeranno la vita a cercare di essere coinvolti nelle cose del padre, ma tanto stiamo ridendo, no?]; nei primi due anni di vita o forse anche tre, i papà si dedicano al loro lavoro dalle 7 del mattino fino alle 21-21,30. Quando rientrano vanno a dormire fino alle 6,58 del giorno dopo [e chissà chi ci sta, con loro. Non fa ridere, Giacomì, soprattutto in Italia, dove lavorare ed assistere i propri figli piccoli sono due diritti o negati o resi impossibili da esercitare nei fatti].

Alcuni padri vedono il loro figlio per la prima volta quando lo portano a scuola il primo giorno delle elementari [aridàje].

Io ho avuto un papà di una volta, di quelli antichi [gonfiava di botte tutti, in casa? Piantava corna alla consorte? Era la personificazione della punizione suprema? Quelli antichi erano così – quelli antichi eh, adesso non ce ne sono più così, proprio spariti tutti].

Io ho avuto un solo papà, ai figli moderni ne possono capitare anche 2 o 3 [no, il papà è e rimane uno solo, anche suo malgrado, ed è una cosa con la quale non è facile fare i conti, soprattutto se non c’è. Serve un po’ meno faciloneria, grazie].

I papà di adesso sono diversi da quelli di una volta, intanto quelli moderni giocano a tennis, sanno sciare, vanno in mountain bike, di mestiere fanno l’interior designer, collezionano Rolex degli Anni 50, fingono di sapere come investire il loro patrimonio, alla domenica portano la famiglia al ristorante 2 stelle Michelin dove lo chef cucina le lasagne molecolari; il pasto finisce con la nonna che si lamenta e dice che sono più buone le sue [sì, certo: ma le altre fasce di reddito che fanno? O non leggono La Stampa, e per questo non frequentano i campi da sci e i ristoranti? Accidenti, che peccato, bisognerebbe informare tutti quanto è facile e bello collezionare Rolex degli Anni 50].

I papà di una volta giocavano a briscola, quasi tutti lavoravano in fabbrica, dove andavano con bicicletta, e se per caso si bucava una ruota la aggiustavano loro; di soldi non ne avevano, così non sbagliavano investimenti, la domenica si mangiavano le lasagne cucinate dalla mamma e la nonna si lamentava sotto voce dicendo che le sue erano più buone [quelli di una volta, certo, come no. Adesso le fabbriche non esistono più, non esistono più i pranzi della domenica, non esistono più le nonne, non esistono le biciclette, soprattutto adesso che la benzina costa un niente, soprattutto in Italia].

I papà moderni ti portano in vacanza due settimane in Patagonia e due settimane in barca ai Caraibi, perché ai bambini bisogna fargli fare un po’ di mare e un po’ di montagna [mai conosciuto uno del genere, si vede che io non faccio tendenza. Infatti, io non leggo La Stampa].

I papà moderni devono lavorare 12-14 ore al giorno per 11 mesi l’anno perché devono pagare lo skipper del catamarano e le tute anti-assideramento usate in Patagonia, perché loro, i papà moderni, in Patagonia ti portano in bassa stagione per risparmiare, solo che lì è inverno polare [no, la maggior parte dei papà moderni deve lavorare solamente per campare, tutto qui. Come le mamme moderne, ma non è la festa loro, quindi non ne parliamo, no?].

I papà di una volta il mare lo vedevano solo quando andavano a trovare i figli alla colonia marina di Pietra Ligure: due domeniche al mese; la nonna si lamentava sempre e diceva che secondo lei il mare di Pinarella di Cervia, che aveva visto in cartolina, era più bello [in effetti in Italia è raro andare al mare, l’hanno scoperto solo le ultime generazioni. Ah, scusa, era per ridere].

Il mio papà il resto della vacanza lo usava per imbiancare la casa, riparare le tapparelle e giocare a carte alla bocciofila Combattenti e Reduci; la nonna diceva che il nonno era più bravo del papà a giocare a briscola [no, quelli erano i weekend – e comunque, altri ricordi condivisibilissimi, soprattutto la bocciofila].

I papà moderni lavorano tanto e regalano ai figli l’iPhone. Se i figli dei papà moderni non telefonano quattro volte al giorno, non mandano una mail, non inviano un filmato della lezione di judo e non twittano al papi prima e dopo i pasti, i papà moderni si preoccupano e vanno dallo psicologo perché non riescono ad avere un buon rapporto con i loro figli [altra bella immagine molto salutare e tanto tanto divertente. L’importante è farsi una risata e non vedere cosa c’è che non va proprio, in questi luoghi comuni].

I papà di una volta, se arrivava il vicino a dirgli che era arrivata una telefonata per loro, chiedevano preoccupati se era morta la nonna. Ai papà di una volta se gli arrivavano due telefonate in un anno erano autorizzati a vantarsi un pochino, e in mensa gli facevano un brindisi. Alla terza telefonata la nonna si lamentava e diceva che si era persa la virtù del silenzio [quindi una volta non si comunicava senza un perché – l’importante era stare zitti, adesso non si comunica malgrado i mezzi e i papà “vanno dallo psicologo”. Dire che da un padre arido ne viene uno insensibile no, eh? Non sia mai si facesse anche riflettere, mentre si ride].

Quando i papà moderni accompagnano i figli alla partita di calcio del sabato pomeriggio, riescono a litigare con l’arbitro, con l’allenatore e con i papà della squadra avversaria; i sabati che il figlio perde litigano anche con il magazziniere, con il posteggiatore, con il figlio stesso e con la moglie e la nonna poi a casa [ovviamente, sempre e solo quelli che possono permettersi di far fare sport al figlio. Per gli altri? Non si sa].

Un sabato la mia squadra ha perso il derby contro il Busto Garolfo, mio papà è stato zitto fino a casa, poi ha trangugiato un Fernet Branca, ha acceso una nazionale senza filtro e mi ha detto: «Allenati a palleggiare e a tirare le punizioni, storia e matematica li farai la settimana prossima» [Professori e maestri, che già non è che se la passano benissimo, ringraziano sentitamente. Giacomo, scusa, ma allora invece di scrivere su La Stampa dài una mano a Ranieri, è per questo che ti sei impegnato, no? Grazie].

I papà moderni quando un figlio torna da scuola con un 4, denunciano il professore per mobbing [molto educativo, bravo; ma c’è di meglio…].

I papà di una volta, se tornavi a casa con una nota da firmare, loro scrivevano sul diario «bravo prof, raddrizzi la schiena a questi invertebrati» […eccolo. Allora come oggi, l’importante è che ci pensi qualcun altro].

I papà moderni portano i figli a fare magic jumping buttandosi dai ponti dell’autostrada per 250 metri, ma se devono fare le condoglianze alla vicina a cui è morto il marito si cagano sotto [chissà perché, vero? Anche se a questo punto dovrebbe essere chiaro che non c’è un cacchio da ridere].

I papà moderni ti spiegano come si usano le applicazioni su iPhone tipo Shazam o iTorcia, ma non sanno che differenza c’è tra un uovo per fare la carbonara e uno da cui nasce un pulcino [tranquillo, anche queste sono cose “meglio svolte dalle mamme”, che invece sono bandite dall’uso della tecnologia, evidentemente].

I papà moderni ti spiegano la differenza tra musica lounge, tecno e ambient, ma non sanno cantarti «Che gelida manina se la lasci riscaldar…» della Bohème [quale dei due generi costa meno? Quale è più diffuso? E a chi si deve tutto ciò, al papà? Da una generazione all’altra, sono stati tagliati più finanziamenti al teatro e all’opera o alla tecno? Dico sempre per ridere, eh, sarà mica una questione sociale quella della cultura?]. Mio papà, quando andava alla cena dei coscritti, tornava alticcio, come tutti i coscritti [e ci andava senza famiglia, come tutti i coscritti], apriva la porta di casa e attaccava l’aria del tenore. La mamma, trattenendo il riso [ma una volta le mamme non legnavano pesantemente i papà ubriachi? Ma valgono solo alcuni dei luoghi comuni? Oppure s’incazzava perché il divertimento c’era solo per uno della famiglia? E gli altri?], fingeva di essere la Mimì dell’opera [chissà quando c’era mai andata, lei, all’opera, ma vabbè] e lasciava paziente che il suo Rodolfo si smarrisse tra le ottave e gli accordi irraggiungibili e si addormentasse vestito. Io e mia sorella eravamo convinti che nostro papà fosse più bravo di Mario Del Monaco [lo aggiungo io: i papà di oggi non sanno manco chi è, Mario Del Monaco, chissà per colpa di chi. Ah già, per colpa della tecno].

Quando poi un figlio moderno compie 16 anni, i loro papà li accompagnano in discoteca alle 23 e li vanno a prendere alle 4 del mattino con il Suv [i lettori de La Stampa il Suv l’hanno trovato nel giornale, un euro in più al giorno in trentacinquemila comodi blister quotidiani con il quale costruirselo da soli].

I papà di una volta piuttosto che mandarti in discoteca si mettevano a studiare con te i verbi irregolari e il genitivo sassone [dopo palleggi e punizioni, però].

Fare i compiti insieme al papà moderno è molto istruttivo: è probabile che ti aiuti a comprendere le equazioni, che sappia i fiumi, i monti e la capitale delle Maldive, e che conosca la differenza tra Valentino e Dolce & Gabbana [tutte cose che la maggior parte dei papà ha visto solo stampate – ops, meglio non farlo notare ai lettori de La Stampa].

Se facevi i compiti con i papà di una volta eri bocciato di sicuro [a parte che ti sarebbe venuto un colpo per aver visto tuo padre dividere con te un po’ di tempo].

I papà moderni vogliono vestirsi come i loro figli, parlare come loro e vogliono diventare loro amici su Facebook [fiducia, Giacomo, le alternative ci sono, se leggi cose un pochino meno conformiste e stereotipate].

I papà moderni sono contenti quando i loro figli accettano di essergli amici su Facebook. Ho sentito la nonna borbottare e diceva che o si fa il papà o si fa l’amico [‘sta nonna dev’essere comunista].

Se i figli moderni chiedono: «Papà, cosa preferisci: la pasta o il riso?», loro rispondono: dipende… [rimangono esterrefatti da una domanda, cosa che a loro non era mai capitato di fare, come letto sopra]

Papà, ma tu voti a destra o a sinistra? Dipende… [no, non dipende. Sempre molto educativo – ah, già, è per ridere, AHAHAHAH che risate, ma sì vota chi te pare tanto è tutto un magna magna]

Se i figli domandano se bisogna sempre dire la verità, i papà moderni rispondono: dipende… [salvo poi prendersela con le falsità e la corruzione de “la casta”, noto gruppo di non nati da un padre]

Ma papà bisogna fermarsi per far passare i pedoni sulle strisce? Dipende… [vedi sopra – domanda difficilissima, perché capita anche a qualche lettore de La Stampa di essere un pedone, a volte]

Ma papi, è vero che fa male farsi uno spinello? Dipende… [poteva mancare questa, in un’acuta riflessione sulle “domande difficili”?]

Papà, ma a te piacciono le donne vero? Dipende… [eh, noi de La Stampa non ci facciamo mancare niente, in quanto a banalità diseducative, conservatrici e sessiste]

Mio papà, a cui è sempre piaciuto il risotto, mi ha insegnato cose meravigliose: a fare il presepe, a tifare per l’Inter, a fare il nodo della cravatta, a fare la barba con la lametta, ad andare in bicicletta, a bere un bicchiere di vino tutto d’un fiato, a vestirsi bene la domenica, a essere bravo nel lavoro, a cercare di avere sempre un amico, a portare un mazzo di fiori ogni tanto a tua moglie, a ricordarsi dei nonni e dei nostri morti, perché noi senza di loro non ci saremmo, perché Giacomo è figlio di Albino il fresatore, che era figlio di Domenico il mezzadro, figlio di Adriano il ciabattino che era figlio di Giuseppe il falegname figlio di Giosuè lo stalliere… [si vede infatti che l’obiettività è tutto merito tuo, lui è il caso di tenerlo fuori da tutto questo]

Dalla prima elementare alle terza media si fa di tutto per assomigliare e imitare il papà, dai 15 anni ai 22 non lo puoi vedere, fino ai 36 ti è abbastanza indifferente, verso i 40 ti fa incazzare da morire perché nel frattempo lui ha superato i settanta e se in gioventù aveva il suo bel carattere adesso è ostinato come tutti gli anziani, dai 42 in avanti riesci a capire quanto sforzo abbia fatto a studiare l’inglese con te e ne provi una tenerezza struggente [psicologia spiegata al popolo, ma dopo tutta la serie di banalità ci sta quasi bene questa summa edipea].

Ho cercato tutta la vita di non assomigliare a mio papà e ora invece mi accorgo di essere uguale: me ne sono accorto quando mio figlio l’altro giorno mi ha chiesto come si dice centravanti in inglese [t’ha detto bene Giacomo, non è che è andata così proprio a tutti. Ah, scusa una cosa: il tuo non cerca su Internet, e non te lo twitta? Te lo chiede, addirittura? Ma guarda un po’. E di chi hai parlato allora, fino adesso?].

Giacomì, immagino che te l’abbiano chiesto di scrivere ‘sta roba. Fa’ ‘na grossa cortesia, la prossima volta fai vedere a tuo figlio un papà che sa dire di no.

Posted in Disertori, Satira.


11 Responses

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  1. mancina says

    sinceramente secondo me Giacomo era molto ironico, sono perplessa da questa lettura così intransigente, anzi penso che sia stato paradossale proprio per rimarcare come non dovrebbe essere un padre, poi boh! sarò io pure infarcita di stereotipi ah cmq non leggo La Stampa.

  2. Mary says

    Fare il genitore è difficile, certo, ma è ancora più difficile quando si perde tempo ad affastellare scemenze simili.
    Mio marito ha cambiato pannolini, fatto bagnetti e preparato pappe.
    Certo: non può fare la madre, ma neanche vuole. Forse perché è troppo impegnato a fare il padre.
    E se una sera aiuta mio figlio a studiare inglese, non se la mena come se fosse un supereroe, perchè crede di aver fatto il suo dovere e gli fa anche piacere.
    @Massimo, che meschinità augurare la propria stessa triste solitudine al prossimo.

  3. Caterpillar says

    “Pensi che facendo il “bravo maschietto” rispettoso e ubbidiente
    con la propria consorte e soprattutto disposto a condividere i lavori domestici ti rispamierai
    un simile destino?” Massimo, sei tu che stai dicendo queste cose e portando avanti gli stessi pregiudizi che vorresti mettere in discussione…

  4. Caterpillar says

    non sono riuscita ad andare oltre al primo paragrafo, la lettera di questo Giacomo mi sta facendo salire i conati. peccato perché invece i tuoi commenti meritano!
    sorry!

    C.

  5. Marco says

    lorenzo seguo il tuo tumblr con molto interesse, approfitto di quest’occasione per farti i complimenti

  6. fikasicula says

    @Massimo,
    perchè contrariamente a quello che dici tu esistono anche i padri NON separati e sei tu che hai deciso che lui sia ubbidiente e bla bla bla come un cocker ammaestrato perchè sei pieno di pregiudizi fino alla cima dei capelli. esiste anche un modo di stare nella coppia e di fare i padri che non è come dici tu o esiste un modo di considerare le donne paritariamente e senza addebitare loro nessuna caratteristica negativa che guarda un po’ non sortisce conseguenze apocalittiche come quelle che con questo po’ po’ di terrorismo psicologico paventi tu perchè si assuma una difesa o uno scetticismo preventivo. deve essere difficile tutti i giorni pensare che le donne siano cattive e che ti porteranno sempre guai. vita grama, per davvero. e le sue riflessioni, credo, da padre, ha diritto a farle quando gli pare perché è anche la sua festa, oggi, e il suo modo di vivere la paternità non è inferiore a quella di nessun altro. non sono solo i padri separati a detenere l’esclusiva su questo argomento. giusto?

  7. Serbilla Serpente says

    *Che poi definirli stucchevoli, questi stereotipi, è davvero un complimento, per il male che arrecano a tutt*.

  8. frapa says

    Semplicemente geniale [le parentesi quadre naturalmente ] 😀

  9. Serbilla Serpente says

    A me invece sembra proprio questo il giorno adatto per interrogarsi sulla paternità contemporanea, e superare questi stucchevoli stereotipi che Lorenzo ha messo in evidenza. Padri separati o non separati.

  10. frantic says

    …dàje lorè! 😉

  11. Massimo says

    Perchè la precisazione di NON essere un padre separato, dico io? Pensi che una simile
    jattura non ti capiterà mai? Pensi che facendo il “bravo maschietto” rispettoso e ubbidiente
    con la propria consorte e soprattutto disposto a condividere i lavori domestici ti rispamierai
    un simile destino? Ti faccio i miei migliori auguri di buone e magnifiche illusioni!
    P.S.: queste “riflessioni” potevi farle in un altro momento, senza necessariamente dover
    scomodare una festa che molti padri separati sono costretti a trascorrere da soli!