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Unità tra donne? Prima c’è la questione di classe!

http://www.youtube.com/watch?v=IPfZZehieDA

A Livorno, si è parlato di donne, lavoro, precarietà, violenza di genere. E tra gli interventi ecco la proiezione di questo video, Esc-GenerazioniPrecarie di Giada Ciari e Silvia Rosa del Gruppo di Genere dell’Ex Caserma. Sempre a Livorno e all’ex caserma il 24 marzo ci sarà il secondo appuntamento su precarietà a dintorni e parlando di questo vale la pena fare una riflessione aggiornata sulle lotte precarie.

Già da prima dell’avvio del progetto di comunicazione Malafemmina e degli appuntamenti sulla precarietà inconciliabile all’Hackmeeting di Firenze dello scorso anno ci era chiarissimo che la questione di genere doveva essere messa in stretta relazione alla questione di classe riconoscendo in essa anche la questione dell’etnia/cultura delle donne migranti. Le donne delle generazioni che vanno dai 20 ai 50 anni circa hanno seri problemi di precarietà per non aver mai trovato lavoro stabile, per averlo perso, per aver conseguito laurea e tre master e poter aspirare a lavorare solo in un call center salvo poi sentirsi dire dalla ministra Fornero che mostrare la farfalla in tv non è dignitoso perché bisogna fare come sua figlia, ovvero: averci una madre e un padre ben introdotti e poter conseguire titoli di merito per accedere a posizioni di eguale prestigio.

La questione di classe pone una divisione non solo con le donne che hanno un’età superiore ai 50 o che fanno parte di un ceto differente ma mette in discussione il fatto stesso che le lotte precarie debbano essere separatiste perché un welfare tutelare, a tutela delle donne madri, in via di conciliazione, e a tutela dei ruoli di cura delle donne nelle famiglie si ostina ad assegnare agli uomini un ruolo autoritario, da aguzzino, operaio, che realizza la dipendenza economica degli altri membri della famiglia, che non può aspirare ad un ruolo emotivo differente con i propri cari, che lavora per arricchire pochi e dare legittimità e fiato ad un capitalismo ancora più sfrenato.

Se donne e uomini sono consapevoli di questo cambia necessariamente il verso delle alleanze. L’unità tra donne (precarie e ricche?) suona un po’ una beffa così come suona una beffa l’unità tra donne divise tra coloro che considerano ancora necessario restare a pietire tutele dallo Stato e quelle che vogliono disancorarsi e far da se’.  Tra coloro, cioè, che continuano a servire la patria a suon di prole e da lì attendono un premio e quelle che rivendicano un diritto di scelta e di gestione del proprio corpo in ogni senso.

Non si può più restare unite tra coloro che ritengono un dovere aderire al ruolo biologico femminile e quelle altre che invece sanno che donna si diventa e che diventando donna puoi essere ciò che vuoi e come vuoi a partire dalla tua sessualità, etero o lesbica che sia.

Si può stringere invece un’alleanza tra donne e uomini che fanno parte dello stesso ceto e che lottano uguale per realizzare identici obiettivi che risolvano la costrizione dei corpi, tutti, i vincoli sulla sessualità di tutti a partire dalle risoluzioni le quali si potrà eliminare l’alibi ad una società capitalistica e patriarcale di immaginarci tutt* al posto giusto a seconda del ruolo che ci viene assegnato.

In questo senso io spero che il dibattito coinvolga tutti e tutte e che emergano si differenze di genere rispetto alle specifiche peculiarità di ciascun@ ma che in fondo si realizzi un patto che solleciti tutti e tutte a rinunciare a privilegi per chi ne ha e a cercare un metodo comune, per ragionare su soluzioni alle comuni fatiche, per insegnare a tutt* che i corpi non appartengono né allo Stato, né al mercato economico, né ad ogni istituzione autoritaria esistente, né a donne e uomini che esercitano un potere nell’esercizio delle loro funzioni.

Parlarne, magari, suggerire lotte, insistere, resistere. E a tutte le donne e gli uomini che resistono un augurio. Buona lotta!

Posted in Pensatoio, Precarietà, R-esistenze.


4 Responses

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  1. Maria says

    Appartengo alla tipologia di donne cui vi rivolgete: rientro nel range di età 20-50 anni, sono ultraprecaria, percepisco una retribuzione che è eufemistico definire da fame, non ho mai ritenuto un dovere per le donne aderire a un presunto destino biologico. Personalmente, non possiedo alcuna vocazione alla maternità e ho deliberatamente scelto di non aver figli, pur avendo, per la verità, condiviso con mia sorella, ragazza-madre, le gioie e i dolori dell’accudimento e dell’educazione del suo bambino. Inoltre sostengo da tempo che la contraddizione di genere non possa essere disgiunta da quella di classe (che include ovviamente anche i migranti).
    Eppure il vostro post non mi convince del tutto.
    Non vi trovo menzionate anzitutto le donne percettrici di bassi redditi, ma assunte con contratto a tempo indeterminato, un contratto che si configurerà come mera finzione, dopo la ristrutturazione dell’art 18 preannunciata dalla ministra Fornero. La composizione tecnica di classe è più complessa e articolata di quella definita dalla contrapposizione precarie/ricche e comprende quanto meno operaie, insegnanti, impiegate, commesse, addette ai servizi ecc. ecc., insomma, donne che, benché fruiscano di un rapporto di lavoro formalmente stabile, svolgono un’attività scarsamente remunerata. Ad esse affiancherei anche le disoccupate.
    Non mi convince neppure la rigida demarcazione di età da voi proposta. Le donne di età superiore ai 50 anni di ceto non abbiente, di solito, hanno figli e figlie precarie che non riescono a conquistare una propria autonomia economica ed esistenziale e che perciò dipendono dalla famiglia. Pertanto, a mio parere, sono disponibilissime ad essere coinvolte in una dura lotta contro la precarietà!
    Non comprendo neppure perché manifestiate contrarietà alle richieste di estensione del welfare state che, se soddisfatte, comporterebbero, oltretutto, un sensibile incremento del tasso di attività. Ho deciso di non aver figli, ma non stigmatizzo il comportamento di chi ha compiuto scelte diverse dalle mie e comprendo le esigenze delle donne che non vogliono rinunciare né al lavoro né alla maternità e che, per potersi compiutamente realizzare, hanno diritto di usufruire di un adeguato numero di servizi efficienti (asili nido e scuole materne, tempo pieno nella scuola dell’obbligo, assistenza domiciliare agli anziani e ai diversamente abili ecc. ecc). Certo, ritengo anch’io vetusta la filosofia della conciliazione tra famiglia e lavoro se riferita esclusivamente alle donne, quasi che a queste soltanto spettasse assumersi in carico la gestione del lavoro domestico e di cura, che dovrebbe essere svolto invece anche dagli uomini. E’ per questo che sono favorevole all’introduzione del congedo obbligatorio di paternità.
    L’assenza di un articolato sistema di servizi sociali, comunque, confina le donne nello spazio privato, costringendole ad accollarsi la responsabilità esclusiva della cura dei figli e dei genitori anziani. Non è un caso che 800 mila donne ogni anno abbandonino l’attività extradomestica per accudire i figli o dedicarsi alla famiglia e neppure che il 30% di nonne, che avrebbero pur diritto di rilassarsi dopo un’esistenza di fatiche e travagli, si occupi dei nipoti, mentre i genitori sono al lavoro. Ciò crea un circolo vizioso e riduce le possibilità di occupazione delle donne, ingenerando nei padroni la convinzione che assumere una lavoratrice sia una decisione economicamente svantaggiosa.
    Certo, ad un welfare efficiente si potrebbe poi affiancare una rete solidaristica di mutuo aiuto fra donne. Su questo sono assolutamente d’accordo.
    Sono favorevole, inoltre, come molte femministe (Cristina Morini, Graziella Durante ecc) all’introduzione di un reddito di cittadinanza, ma anche questa è una richiesta che è necessariamente rivolta allo Stato.
    Non ho alcuna remora, infine, a combattere la battaglia contro il precariato a fianco degli uomini. L’ho sempre fatto! Vi sono però alcune specificità del lavoro femminile come le persistenti disparità salariali, la segregazione occupazionale delle donne e numerose altre questioni, rispetto alle quali non ho mai avvertito una fortissima sensibilità e solidarietà maschile. Forse sarebbe più proficuo per noi donne affrontare da sole queste problematiche.

  2. albachiara says

    Post troppo ideologico, con tutte le debolezze (e le falsità) che ne conseguono.
    Allora secondo te/voi una donna “privilegiata” come ad esempio Franca Rame, non dovrebbe (come fa), allearsi con le operaie e stare dalla loro parte?
    E la fabbrica dove gli operai hanno detto sì al licenziamento in massa delle donne, ve la siete scordata?
    Perché fingere che il capitalismo e il patriarcato sono voluti dagli uomini e non dalle donne, invece di continuare a dire che il femminismo combatte il patriarcato e non (quasi tutti) i maschi (dato che maschilisti e misogini in diversa misura lo sono quasi tutti?)
    Vi è così difficile riconoscere i meriti, le giuste istanze e i vantaggi (direi forse anche la maggiore onestà) del femminismo separatista?
    Non siete stufe a forza di far partecipare gli uomini, di sentire cazzate come la parificazione tra violenza delle donne e violenza degli uomini? Non siete stufe di farvi tappare la bocca e far portare via i figli?

  3. titti says

    A questo post farei un quadro. Quanto è ben detto!

  4. valentina says

    Son d’accordo su tutto! Solo un dubbio: alla fine non si capisce bene, quando si dice “solleciti tutti e tutte a rinunciare a privilegi per chi ne ha e a cercare un metodo comune”… sembra quasi che si dica che le donne sono privilegiate perchè esiste un welfare che le tutela e le aiuta nella conciliazione, mentre i poveri uomini son costretti a fare la parte del padrone che porta a casa i danè… vorrei ribadire che alle donne spetta il ruolo di cura dei figli e degli spazi comuni, e nello stesso tempo una donna che ha un figlio ha un handicap forte sul lavoro. Mentre la carriera del compagno, alla fin fine, è sempre prioritaria. ma nello stesso tempo la donna deve guadagnare, perchè con un solo stipendio non ce la si fa. Non so se mi son spiegata… a quali privilegi ci si riferiva?