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Pisa: rom buttata fuori di casa perché imputata. La punta di un iceberg

Riceviamo e condividiamo questo comunicato della Associazione Africa Insieme di Pisa.

Buona lettura!

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Il 31 gennaio, poco prima che inizi a nevicare, e nel periodo più freddo degli ultimi 27 anni, a Pisa viene buttata fuori di casa una donna kosovara, rifugiata politica e rom, con i suoi cinque figli, tutti minorenni (l’ultima arrivata otto mesi fa).

Lo sgombero avviene la mattina, dopo che i figli che dovevano andare a scuola erano già partiti. L’area intorno alla casa viene circondata e viene interdetto l’accesso ad un giornalista free-lance e a chiunque si voglia avvicinare.

La notizia dello sgombero viene pubblicata sui giornali locali nella stessa pagina in cui compare un’altra notizia di cronaca, relativa ad un’altra donna rom che si dichiarava nullatenente ed aveva invece intestate alcune auto di lusso. A contribuire alla confusione nell’articolo venivano date una serie di notizie false sul conto della donna e della sua famiglia.

Fin qui saremmo di fronte ad un “normale” caso di disinformazione se non fosse che questa faccenda si colloca all’interno di una politica discriminatoria e illegale che da ormai tre anni viene attuata a Pisa con sempre più violenza.

La signora in questione è imputata in un processo relativo al matrimonio di due ragazzi minorenni. La prima udienza avrà luogo il 20 febbraio e di sicuro sarà un processo molto difficile per la delicatezza del suo contenuto e per le contraddizioni nella tesi dell’accusa emerse durante le indagini; tuttavia sui giornali lei e tutta la sua famiglia sono indicati già come colpevoli di tutti i capi di imputazione.

Da parte sua la Società della Salute, l’ente pubblico che gestisce per conto dell’amministrazione comunale il progetto di inserimento sociale di cui fa(ceva) parte la donna, non ha rinnovato il contratto di casa a quest’ultima. Il “contratto” (che non è un normale affitto, ma una “concessione onerosa”, con clausole molto meno favorevoli agli inquilini) deve essere rinnovato di sei mesi in sei mesi, e può essere interrotto o non rinnovato per “violazioni del regolamento” come ad esempio essere imputati in un processo.

Di fronte alle domande sulla legittimità e sul valore di un atto in aperto contrasto con norme superiori quali la Costituzione ma anche la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, il Comune di Pisa ha risposto indicando come legittimo il regolamento, in quanto basato su un ordine del giorno approvato anni prima dal Consiglio Comunale e affermando che chi non “rispettava i patti” ed era “illegale” era la famiglia rom.

L’amministrazione comunale si è spinta ancora più in là. Alle polemiche seguite all’aver buttato fuori di casa una famiglia il giorno della nevicata è stato risposto che è stata la donna ad aver voluto il peggio per i suoi figli, non avendo accettato gli aiuti offerti. Aiuti che consistevano nell’ospitalità temporanea dei figli suddivisi per età in diverse strutture protette separati dalla madre. Il tutto per 72 ore. Ciò che sarebbe successo dopo, se sarebbero stati ridati i figli alla madre e dove sarebbero potuti andare non è dato saperlo. È un comunicato dello stesso PD, partito al governo a Pisa, ad indicare nell’affido temporaneo (senza sapere quanto temporaneo) la soluzione idonea in questo tipo di situazioni, come se l’unica “salvezza” dei figli consistesse nel levarli alle madri!

Nel frattempo la donna per non restare fuori al freddo e non avendo altri posti dove andare ha forzato la porta ed è rientrata in casa. Ne è seguito un altro violentissimo articolo sulla stampa locale in cui si raccontava della famiglia del marito della donna come di una famiglia dedita ad attività poco lecite, sotto processo per queste attività, lasciando intendere che anche loro avessero commesso tutto ciò di cui erano imputati e che la donna, facendo parte della stessa famiglia, non poteva essere molto diversa (cosa, questa, doppiamente falsa, perché alcuni capi di imputazione a carico della famiglia erano già stati stralciati dalla magistratura…).

Quando si parla di rom a Pisa infatti si parla sempre di famiglie, gruppi, mai di persone con dei bisogni e una volontà individuale. E in questo gioco mediatico le donne e i bambini e i ragazzi sono coloro che ne hanno sempre il maggior danno. È impossibile per loro emergere e costruire la propria vita: qualsiasi cosa facciano o chiedano prima di tutto sono rom e fanno parte di qualche famiglia.

Sono molti a Pisa i ragazzi e le ragazze rom nati in Italia che ormai hanno 16, 17, 18 o anche 20 anni. Di fronte ad un sempre crescente numero di persone in grado di partecipare attivamente alla vita cittadina, anziché aprire le porte Pisa si chiude e li tiene fuori, al margine.

E la situazione è tanto più grave in quanto la chiusura è iniziata in questi termini e con questa durezza non decenni fa ma tre anni fa, in corrispondenza di un’altra chiusura, quella del programma di inserimento sociale “Città Sottili”.

Nel 2009 termina infatti ufficialmente il programma “Città sottili”. Rivolto a centinaia di persone rom della zona pisana il programma mirava a superare il campo inserendo le famiglie in appartamenti. A sostegno di tali politiche uno stanziamento economico assai robusto, soprattutto se comparato a quanto solitamente viene destinato a politiche di questo tipo.

Il programma dura ufficialmente sei anni: tre anni, dal 2003 al 2006, più tre anni, dal 2006 al 2009, alla fine dei quali non viene chiesto il rinnovo del programma stesso. Nel 2009 la crisi morde. Si potrebbe sostenere che le risorse per rinnovare un progetto di tal genere non ci sono più, o che devono essere destinate ad altro, oppure che fino a quel momento le risorse erano state spese in modo poco efficiente e bisognava rivedere l’intero impianto del programma. A Pisa invece parte una campagna di delegittimazione e spersonalizzazione di ogni cittadino rom presente sul territorio.

Il primo gruppo ad essere colpito è quello dei rom rumeni. Nell’impossibilità di trovare un’abitazione in affitto per gli alti costi dovuti alle speculazioni uniti alla non gestione del mercato immobiliare pisano e alla scarsa efficienza delle politiche sociali per l’accesso alla casa, intere famiglie o gruppi di persone variamente imparentati si vedevano costretti a sistemarsi in piccoli insediamenti “abusivi”. Gli insediamenti più grandi di rom rumeni arrivavano al massimo a contare sessanta persone, delle quali più della metà era costituita da bimbi piccoli o comunque minorenni, gruppi quindi molto fragili, per sgomberare i quali bastavano due o tre ruspe e qualche volante dei vigili urbani, unite ad una campagna pressante della stampa locale sulla sicurezza e sul numero eccessivo (?!?) delle presenze rom a Pisa.

Per tutto il 2010, con un picco nei mesi estivi, si registrano a Pisa decine di sgomberi. Al posto dei finanziamenti per il programma di inserimento socio-abitativo vengono chiesti fondi per il “rimpatrio volontario” . Così, poco tempo prima dello sgombero, nei campi dei rom rumeni, si presenta qualche operatore della Società della Salute o qualche agente della polizia municipale e propone alle famiglie la firma di un “patto d’onore” che le impegna a tornare in Romania e a non fare più ritorno in Italia. Per rispettare questo “patto” viene data ad ogni famiglia una somma di denaro che variava a seconda della composizione familiare. Tutto questo accade mesi prima lo scandalo dei rimpatri francesi, per i quali la Francia viene pubblicamente condannata dagli organi dell’Unione Europea per la violazione del trattato Schengen e i più elementari diritti umani.
Se le famiglie non accettano di tornare “volontariamente” nel paese d’origine, magari perché i figli vanno a scuola a Pisa, iniziano gli sgomberi. A ripetizione. E se la famiglia non si allontana definitivamente dal comune pisano viene letteralmente cercata e ri-sgomberata.

Sgombero significa che la mattina presto si presentano davanti a casa tua, alla tua baracca, due o tre volanti della polizia municipale e altrettante ruspe. Gruppi di uomini in divisa ti dicono di uscire, che devono buttare giù la tua casa. A fatica contratti un po’ di tempo in più per portare fuori con te i tuoi effetti personali, ma non è detto che tu riesca a portare fuori tutto. I genitori perdono la giornata di lavoro, i figli non possono certo andare a scuola, e avranno difficoltà ad andare anche nei giorni successivi, non essendo più certo il loro luogo di dimora.

Non è detto nemmeno che vengano mandate delle persone ragionevoli ad eseguire lo sgombero. Abbiamo visto donne incinta all’ottavo mese strattonate e quasi fatte cadere per terra, vigili che parlavano coi bambini e dicevano loro che non dovevano piangere perché era tutta colpa dei loro genitori. Ci sono stati esposti, ci sono state registrazioni di intimidazioni, ma gli sgomberi sono continuati.

Per questi avvenimenti Pisa è stata citata in rapporti di organizzazioni per i diritti umani a livello europeo e internazionale quali il Consiglio d’Europa. Tuttavia la campagna di diffamazione sulla stampa locale è continuata: il problema sono i rom stessi, che sono troppi, che non rispettano le regole, non rispettano i patti. Ma quali patti e quali regole?

Con la pratica del “Patto d’onore” Pisa inaugurava un lungo elenco di atti e di decisioni dell’amministrazione comunale in pieno contrasto con le leggi nazionali e internazionali che hanno avuto il culmine (per ora) nella vicenda raccontata all’inizio.

In tutto questo chi ci rimette non sono solo le persone che di volta in volta entrano nel vortice della discriminazione ma tutti noi: marginalizzare gruppi e persone significa mettere una “frontiera” al mondo delle “persone normali” (dove di frontiere ce ne sono già troppe), significa impedire o classificare come pericolosa la conoscenza di ciò che sta intorno a noi. Significa ridurre la cultura di tutti noi. E si vede.

Associazione Africa Insieme di Pisa
www.africainsieme.net

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