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Storie #precarie: sono disoccupat@ e meridionale. A che serve emigrare?

2012: anno nuovo e precarietà vecchia che si aggrava sempre più. La nostra lotta continua e come abbiamo già fatto e stiamo facendo con il Progetto Malafemmina, contiamo di rendere collettive le storie individuali, quelle precarie, affinché vi sia un passaggio di consapevolezza, dalla comprensione di un disagio alla rabbia nell’esprimerlo e all’analisi nel decostruirlo e dunque alla capacità di far diventare politico e collettivo un disagio che vorrebbero fosse solo personale.

Non accettiamo compromessi sulla nostra pelle. Vogliamo occupare tutto, incluso il web. A partire dalle storie e dalle pratiche di lotta. Vi invitiamo a scriverci su femminismoasud[chiocciola]inventati.org e a mettere in condivisione le vostre storie di vita e di lotta precaria. Perché le vostre solitudini diventino una forza collettiva grande e perché ci si possa confrontare sulle pratiche ché si decida, una volta per tutte, che non ci sono lotte di serie A e lotte di serie B.

La prima storia che condividiamo è quella di K. che ci racconta:

ciao car*
mi date l’opportunità di raccontare un po’ la mia storia e di sfogare la rabbia che ho dentro e per questo vi ringrazio. Non saprei dove cominciare, facciamo che parto dal Febbraio dell’anno 2010, quando perdo il lavoro. Dopo otto anni la mia azienda si avvia verso la chiusura e quindi non c’è più bisogno di rappresentanti o figure tuttofare simili, per cui me ne torno a casa. Facevo anche l’impiegato in uno sportello informagiovani in un piccolo paese, ma il comune è andato in dissesto finanziario ed ha affidato tutto al servizio civile per non pagare più la cooperativa che gestiva il servizio. Per cui 0-2 e palla a centro. In questi giorni leggo delle eventuali proposte di legge sugli ammortizzatori sociali e sul reinserimento, ebbene io ho percepito un sussidio per soli sei mesi dopo il mio licenziamento. In altre aziende e per altri lavoratori si sarebbe arrivati un po’ più avanti, ma per tutti non c’è nessun aiuto per quanto riguarda il ri-collocamento nel mercato del lavoro.Nessun tipo di aiuto, ci tengo a sottolineare, perchè il Centro per l’impiego non serve assolutamente a nulla, se non a certificare che hai perso il lavoro, e non c’è nessun tipo di reinserimento possibile. Io sono meridionale e da queste parti vedo quasi tutti gli amici emigrare. Vi dico la verità, non me la sento di seguire questa strada perchè non vedo al nord grandi possibilità rispetto a qui e ho paura di barattare per qualche lavoro precario quel sistema di affetti e protezioni che bene o male (a volte anche nel male, per quanto riguarda la famiglia…) stando nella città in cui sei nato ti aiuta. E adesso, sono “giovane” o sono “vecchio” per rimettermi a fare qualcosa? Non so rispondere a questa domanda, so soltanto che non c’è NESSUN tipo di aiuto da parte di nessuno, pubblico o privato che esso sia. Io ho una laurea e due master, ho fatto parecchi lavori, pubblicazioni, insomma ho pure un curriculum abbastanza buono, ma intorno a me vedo solo una palude nella quale agitarsi serve solo ad andare più a fondo. Negli altri paesi europei, che per tutte le altre questioni siamo obbligati a seguire, c’è un aiuto per i disoccupati : sia in termini monetari di sussidio che di servizi agevolati che di aiuto a re-inserirsi nel mercato del lavoro. Qui invece sono tutti d’accordo che dobbiamo morire, letteralmente. Io ricordo che questo sistema di precarietà è stato voluto da tutto l’arco parlamentare e dai sindacati confederali tutti : la stessa CGIL ha aperto delle sedi del lavoro interinale! Questo non lo dice nessuno! Non mi sembra che si stia immaginando qualcosa di nuovo per il prossimo futuro, per cui nutro poche speranze. Voglio concludere questo lungo sfogo, sapendo che lo affido a voi che siete un collettivo che stimo profondissimamente, facendo quest’ultima riflessione. Quando avevo un lavoro (anzi, quando sommavo più piccoli lavori) riuscivo a fare anche militanza politica. Ora mi riesce quasi impossibile, se non sporadicamente. Un po’ perchè mi sento in colpa a farlo invece che cercare di trovare una via d’uscita da questa situazione, un po’ anche per la rabbia di aver visto in questi anni nei partiti e movimenti di sinistra che ho frequentato la grande ipocrisia del carrierismo degli altri giovani e lo strafottente cinismo dei vecchi con lavori garantiti. Solo una cosa mi ha sempre colpito, e ci tengo a dirlo a voi, è la grandissima differenza che fanno le donne nei movimenti alternativi, una differenza qualitativamente incalcolabile. Per tutto il resto io rimango in attesa, consapevole che muoversi può essere anche controproducente in questa realtà. Meglio non sprecare fiato ed energie in questa palude. Almeno io così la vedo.
Un abbraccio,
K.

—>>>Leggi di precarietà e di storie precarie nelle categorie omonime.

Posted in Personale/Politico, Precarietà, R-esistenze, Storie Precarie.


4 Responses

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  1. babbudoju says

    ciao mi potete spiegare bene cosa sono l’eterosessismo e l’eteronormatività? sono capitato in una conferenza, si parlava di teoria queer, eterosessismo, eteronormatività, sessismo, antisessismo, maschilismo, femminismo, patriarcato, matriarcato, gilanismo… ho preso appunti, non c’ho capito niente, sono più confuso di prima… anche perchè la conferenza era indirizzata ad un pubblico LGBT e sottointendeva che si sapessero già le definizioni dei termini… io non c’ho capito niente, c’è un glossario da qualche parte che spieghi cosa vogliono dire sti termini?

  2. stefano says

    attraverso un altro sito sono giunto qui e da qualche tempo vi seguo. Che dire,voi siete preziose. vi voglio bene Stefano

  3. laura says

    e come le capisco queste parole car@ K. Io che a sud ci sono nata e ho deciso di restarci, contro i “consigli” di tutti e contro la rassegnazione di chi mi ha guardato con gli occhi di chi non capisce e non vuole capire il perchè di certe scelte. Di amici che dopo la laurea, il dottorato e mille altri lavori… sono andati via, “emigrati al nord” come si suol dire, ne ho molti. La mia più cara amica esce di casa alle 7.30 di mattina e ci torna alle 20.30 giusto il tempo di togliersi le scarpe e addormentarsi sfinita dopo un’intera giornata di lavoro. E allora? La vita dov’è? A me le lacrime di coccodrillo e i discorsi vuoti sulla necessaria concertazione… bè, mi fanno sorridere… che le lacrime vere mi rigano il viso se penso a lei, amica mia, sola in una bella città del nord con un unico ammortizzatore sociale: le provviste che le manda la madre, che vive sola, qua a sud. E per quanto riguarda me … bè, voglio lavorare, non voglio lacrime, pietà nè stronzate transitorie. Voglio lavorare e lo voglio fare qua: a sud.

  4. Paolo84 says

    per combattere il precariato femminile, un importante segnale sarebbe il ripristino delle norme che vietavano le cosiddette “dimissioni in bianco” pratica spesso utilizzata dai datori di lavoro per cacciar via le lavoratrici precarie se restavano incinte, di ciò andrebbe chiesto conto a Fornero