All’incirca dopo la decima richiesta su “com’è stato il Feminist Blog Camp?” anch’io decido di fare il mio report. Anzi farò un non-report: non posso riassumere 3 giorni così belli e intensi in un piccolo post, soprattutto a livello emozionale non ci riesco e allora faccio prima a scrivere tutto quello che il Feminist Blog Camp non è stato.
Tanto per cominciare non si è verificata la cosa che si temeva maggiormente: la famosa frattura generazionale (paura eh?) “le vecchie di qua e le gggiovani di là”, questo proprio no. Mi è stato chiesto più e più volte qualche indicazione su questo tipo di argomento, per la serie: “ma in questo blog ci scrivono persone con più di 50 anni?” oppure “ma alla festa di sabato c’era gente della mia età?” e questo perché spesso e volentieri ci siamo abituate ad uno spettacolo a dir poco desolante e degradante del femminismo italiano, qualcosa che a ben vedere in rete non esiste, così come non è esistito al Camp.
Al FBC non c’è stata la stupida garetta al “io sò più femminista di te” come neanche quella al “io c’ho il blog più figo del tuo” detta anche la gara del “piscio più lontano”: davvero non ho assistito a nessuna scena di questo tipo (ma fortunatamente) così come non ho notato particolari invidie o tentativi di frasi le scarpe a vicenda smentendo per l’ennesima volta quel pregiudizio del cazzo per cui non sapremmo fare rete.
Il Camp non è stato asettico, non ci siamo messi i guanti di lattice per toccarci e non contaminarci. Ci siamo abbracciate con trasporto, ci siamo sbaciucchiate e ci siamo odorate di brutto. Abbiamo dormito insieme, fatto la pipì nello stesso bagno e mangiato le stesse cose. Abbiamo conosciuto di persona tanta gente con cui abbiamo scambiato impressioni per lunghi mesi solo virtualmente quindi è stata anche un esperienza volutamente tattile e sensibile, come in pieno recupero di un grosso vuoto, quello fisico e della presenza, che la rete ci costringe a vivere.
Il FBC non è stato separatista. Spiacente (ma anche no) per quante invece si auguravano un’esperienza di questo genere, non è andata affatto in questo senso: fondamentali quanto le donne sono stati tutti gli uomini che hanno attraversato questa 3 giorni, le voci e i percorsi dei disertori del patriarcato allo stesso modo e in egual misura delle esperienze e delle testimonianze femminili.
Il Camp non è stato perfetto, è stata la prima volta e va aggiustato il tiro di qua, e pure di là, anzi ora che ci penso pure da quell’altra parte ma piano piano miglioreremo: la cosa più importante è che si cerchi di costruire e non di distruggere. Ci sono tante troppe differenze che ci separano e che finora ci hanno tenuto un po’ a distanza, bisogna continuare a confrontarsi e continuare a credere che qualcosa possiamo cambiare, partendo da noi innanzitutto.
Poi ci sono altre cose che non vi posso dire, io ad esempio non ho visto Lorella Zanardo mettere la tovaglia all’Askatasuna come mia mamma e non sono stata un’ora in cucina con Sandrone Dazieri ad affettare le melanzane, non ho scorto gente sbaciucchiarsi negli angoli bui e scene di panico generale, non ho sorriso osservando persone diversissime incontrarsi e stimarsi e non ho sentito scambi anche accesi di opinioni, non ho visto né pianti né abbracci, non ho visto praticamente niente.
Mi sa che la prossima volta vi toccherà partecipare per sapere qualcosa.
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