L’intervento di Just Laurè sulla giornata del 15 ottobre. Buona lettura!
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Ieri eravamo a Roma e domani saremo ovunque
Perché io abbia deciso di andare a manifestare a Roma il 15 ottobre l’ho già spiegato.
Perché oggi io sia ancora più convinta d’aver fatto la cosa giusta cercherò di spiegarlo ora.
15 ottobre 2011
La sveglia suona un po’ prima delle 4 di mattina. Gli occhi, a differenza di altre volte, non fanno fatica ad aprirsi. In pochi minuti sono pronta. Mi sento felice e agitata come per il primo giorno di scuola. Il mio bagaglio è praticamente inesistente, solo uno zainetto un po’ sbiadito con dentro una felpa, una penna e qualche foglietto, pochi soldi e il burro cacao (strumento offensivo d’altri tempi per manifestanti d’epoca contemporanea!!!).
Avrei voluto preparare i panini con la frittata, ma Angela mi aspetta, infreddolita e un po’ assonnata. La sua sveglia è suonata ancora prima della mia e lei è in viaggio già da mezz’ora. Raggiungiamo gli altri. L’autobus è pieno. Gente allegra, di ogni età, sorridente e sveglia nonostante fuori sia ancora buio. Non chiudo occhio. Ho sempre quella adrenalinica sensazione di gioia che tiene le mie pupille sbarrate e lucide. Si parla di tutto ma, soprattutto, ci si prende in giro: il viaggio è un lungo racconto ironico di lotte passate, di assemblee e riunioni durante le quali sbagliare un termine poteva costare l’epurazione dal partito o l’indignazione delle femministe. Alla fine, si raggiunge l’obiettivo: la ricomposizione di tutte le settemila anime del partito comunista e la nascita di un unico partito comunista unificato interplanetario.
Le soste in autogrill sono il momento dell’incontro con gli altri, con chi, come noi, s’è svegliato all’alba e riesce a mantenere quella sana, gioiosa freschezza che solo la cura e la devozione ad un’idea possono dare.
Il pullman ci lascia vicino Cinecittà. In metropolitana siamo così tanti che per respirare guardo costantemente il tetto del vagone nella speranza che, dall’alto, arrivi più aria. Non ho mai amato la metropolitana, l’idea di avere una città sopra la testa, di trovarmi il più delle volte nell’abbraccio mortale di qualche ascella puzzolente. Ma ieri no.
Ieri ero avvinghiata ad un amico più alto di me che mi permetteva di rimanere salda al pavimento durante le oscillazioni della metro e quei piccoli, brevi respiri che in quel modo riuscivo a conquistare, mi bastavano. Ieri ero parte di un caos collettivo di dialetti, di colori e di facce che mi restituivano uno strano senso di quiete, anche se avevo i piedi in frantumi, i capelli stirati da destra a sinistra, le mani appiccicose e sporche.
Arriviamo a Termini e la prima cosa che penso è che voglio letteralmente tuffarmi in quell’arcobaleno di umanità.
Ci sono i precari, gli studenti, i draghi colorati, gli operai, gli occupanti del teatro Valle. Ci sono i pacifisti, le femministe, alcuni sindacati, le associazioni, i migranti, i lavoratori dimenticati di Eutelia. Ci sono i disoccupati, le famiglie, gli anziani e i disabili. Ci sono queste persone e molte altre ancora.
C’è tutta l’Italia davanti ai miei occhi. C’è chi da sempre è abbandonato e chi spera ancora in qualcosa. Ci siamo anche noi, pezzi di un Sud in frantumi, strozzato dalla fame e dalla politica delle clientele.
Ritroviamo alcuni amici, cosentini anche loro, ma prestati ad un Nord che ha saputo dar loro una possibilità, quella possibilità che, forse, avrebbero voluto avere nella loro terra d’origine.
Il corteo inizia a muoversi, lento, cullato da migliaia di canti e da una gioia generalizzata che si amplifica, passo dopo passo, sotto il sole infuocato, disturbato solo dal rumore degli elicotteri sulle nostre teste.
Poi.
Poi, un rivolo di nero macchia quell’arcobaleno di umanità.
Poi, un gruppo di ragazzi armati ci si affianca. Hanno lo sguardo di chi non ha un’idea, di chi sa parlare solo col bastone in mano e con le spalle coperte dal suo branco di picchiatori. Il casco in testa, le divise nere, tanti piccoli scarafaggi, inconsapevolmente umiliati dal vuoto della violenza esprimono, piccoli scarafaggi senza volto che strisciano per insinuarsi fra chi, invece, li butta fuori gridandogli: “Via!”.
Spaccano il corteo, incendiano auto, distruggono vetrine. Si accaniscono contro i vetri della banca Carim, la cassa di risparmio di Rimini, simbolo per eccellenza dello strapotere della finanza globale!!!
Il cielo è nero, il sole ostaggio del fumo degli incendi.
Tutto intorno le sirene delle camionette che corrono verso San Giovanni dove i manifestanti sono accerchiati, rincorsi, picchiati.
Se ho cambiato idea? No.
Tornerei a manifestare per le strade di Roma anche oggi. Ci tornerei insieme a tutto il movimento che c’era ieri, quel movimento di gente che rifiutano la violenza, che hanno delle idee in testa, che sono consapevolmente in grado di esprimere un’alternativa al degrado politico di questi tempi, gente che sa protestare a volto scoperto e che sa, soprattutto, avanzare delle proposte. Gente che sa ascoltare e che sa accogliere. Questo è il movimento. Di questo dovremmo parlare oggi. Di questo dovremmo parlare anche domani e nei giorni a venire, delle idee, delle proposte, della voglia di costruire, di sperare in qualcosa che non sia solo il giogo della finanza e la corruzione del potere.
E chi pensa il contrario non ha mai parlato con noi, non ci ha mai ascoltati, ma si è soltanto fidato delle immagini che, a tamburo battente, le tv e i cronisti “illuminati” hanno sputano fuori, accompagnandole da giudizi sterili ed affrettati.
Ieri, come sempre, s’è deciso consapevolmente di consegnarci alla violenza. In Italia il giochetto della guerriglia piace a molti e molti creano le condizioni perché questo si verifichi ad ogni occasione utile.
In Italia, da sempre, si preferisce classificare un intero movimento come l’espressione della violenza radicale di generazioni senza idee, nella stolta incoscienza che si possa, così, mettere a tacere il senso delle nostre proposte. Ma non sarà così. Ieri eravamo a Roma. Domani saremo ovunque.
E ovunque diremo che vogliamo un futuro e che vogliamo essere noi a deciderne lo sviluppo. Ovunque diremo che la politica è la cura del bene comune e che il bene comune è prioritario rispetto ai privilegi di pochi. Ovunque diremo che la politica non è la svendita dei diritti del 99% dell’umanità.
Ieri eravamo a Roma. Domani saremo ovunque.
Laura Lombardo