Skip to content


Il Giornale e i suoi “contro natura”!

di Rossella Traversa

Quando ho letto questo articolo tratto da ‘Il Giornale’ mi è venuta immediatamente in mente qualcosa che, forse, mi frullava nella carne da parecchio: quando la battaglia politica diventa sempre più serrata, le argomentazioni più fitte, le categorie economiche non imperano più sulla vita delle persone come prima, ecco che la guerra si sposta sulla ‘natura’.

E quando la guerra si sposta sulla ‘natura’ il campo di battaglia sono le donne. E la politica diventa sempre più religiosa. Se mai non lo sia stata.

Un concetto così altisonante che viene utilizzato per andare a colpire ciò che – indistintamente – ci dovrebbe mettere tutt* d’accordo. E che, quindi, se ti opponi, sei contro ‘natura’. Quindi, ‘contro la vita stessa’, come ricorda quasi a voler essere ‘amorevole’ Stefano Zecchi nel suo articolo.

Quella battaglia contro la sessualizzazione in ‘maschio’ e ‘femmina’ che diventa battaglia contro la ‘natura’ imprime, ancora una volta, tutte le ambivalenze che continuiamo ad accordare a questo concetto: la natura come ciò che minaccia l’uomo, catastrofica, quindi da ‘dominare’. E dall’altra parte, la natura come ciò che prescrive armonia, quell’ordine precostituito da non infrangere e non intaccare. Pena l’esilio dalla comunità dell’esistenza in sé e per sé.

Questa battaglia contro la natura che, evidentemente, non necessita del minimo riferimento alla ricerca scientifica per avvalorare la sua assiomatica verità. E, soprattutto, che si presume a-politica.

Nel 1987 David Page sul n.51 di ‘Cell’ pubblico’ le sue conclusioni sul ‘gene maestro’, cioè ‘quell’interruttore binario su cui si imperniano tutte le caratteristiche sessualmente dimorfiche’. Page e i suoi collaboratori consideravano il ‘gene maestro’ un criterio più affidabile per rendere conto della differenza sessuale rispetto ai precedenti criteri cromosomici. Infatti, sempre secondo questo gruppo di ricerca, le variazioni cromosomiche rintracciate in un buon 10% della popolazione non sono classificabili chiaramente nelle categorie femmina XX e maschio XY.

In seguito, si osservò che il tratto di DNA ritenuto responsabile del sesso maschile (il ‘gene maestro’) si trovava, in realtà, anche sui cromosomi X delle femmine. A fronte di queste osservazioni, Page ritenne di argomentare che forse non era la *presenza* o l’*assenza* del gene maestro ad essere determinante nel dimorfismo sessuale, bensì che questa sequenza di geni fosse *attiva* nei maschi e *passiva* nelle femmine. Con un’evidente neutralità, apoliticità e ‘puramente descrittive’ asserzioni!

Anne Fausto-Sterling nel suo articolo ‘Life in the XY Corral’ aveva puntualizzato che gli individui da cui erano stati prelevati i campioni nello studio di Page erano tutt’altro che inequivocabili nella loro costituzione anatomica e riproduttiva. Infatti, le caratteristiche dei genitali esterni, dei livelli ormonali, delle cellule germinali corrispondenti ai ‘maschi’ XX e alle ‘femmine’ XY non si sommavano fino a formare quell’unità o coerenza riconoscibile che viene solitamente designata come ‘sesso’. Dunque, ciò che era in questione era proprio il nominare come ‘maschio XX’ e ‘femmina XY’ questi individui *sin dall’inizio*, e dal momento che probabilmente lo erano stati sulla base dei genitali esterni, non si capisce perché Page e i suoi collaboratori avessero ritenuto di dover rintracciare nel ‘gene maestro’ il precursore della differenza sessuale!

Dunque, come sottolinea Judith Butler, Page si chiedeva come l’interruttore binario’ venga azionato, E NON se la stessa descrizione dei corpi attraverso schemi binari fosse adeguata!!

Tra l’altro, il ‘sesso’ non è mai una questione di ‘o l’uno-o l’altro’ anche nel mondo degli animali non umani , in cui ci sono diversi esempi di cambio di sesso durante il corso dell’esistenza (Rabin, 1998). La differenziazione umana è un processo. Che non si attua una volta per tutte e in maniera discreta, ma si nutre di inscindibili interazioni fra il potenziale genetico e l’ambiente. E questo è visibile nella percentuale di soggett* intersex (non classificabili come femmine o maschi) nella popolazione mondiale: 1,7%. Questo comporta che ogni 300.000 persone, 5.100 sono intersex. Se si tiene in considerazione che i casi di albinismo occorrono uno ogni 20.000 (0,005%), si comprende quanto siano molto meno frequenti dell’intersessualità (Lips, 2006).

Insomma, la natura è molto altro dai dualismi, dalle armonie impacchettate. E il suo valore è questione etico-politica. Altro da un ordine fisso e prescrittivo in sé.

In mailing list ne abbiamo parlato molto e se ne è discusso in termini di non linearità della ‘natura’. La discussione è stata molto interessante anche perché si è incentrata sul tipo di argomentazioni ed interpretazioni sulla questione del ‘sesso’ e della ‘natura’ da parte di accademici …

La ‘vita stessa’ che evocano questi accademici, e non solo, non si capisce a quale umanità e a quale ‘natura’ si riferiscano: la vita ‘in possibilità’ ..? La vita ‘immaginata’ …? Ecco, la vita senziente, in tutta la sua naturale molteplicità, mi è parso che a noi interessi di più.

Ecco gli interventi.

Anna dice:

*direi che la destra italiota sia come sempre confusa: ha un concetto bizzarro della natura, basti pensare all’omofobia nevrotica, la destra usa la natura in modo distorto e pateticamente strumentale
ilgiornale cmq si rivolge ad un pubblico di “vecchietti” terrorizzati e/o vecchietti vetero fascistoidi, ai primi  per decenni si è raccontato quanto fossero cattivi i “sinistri”, i “froci” le lesbiche le femministe e in generale chiunque appena si discosti dal proprio quartiere e da una introvabile “normalità” una normalità sacro Graal che non esiste e in particolare non esiste proprio in Natura in quanto la natura è davvero caotica e disordinata e campare sulle paure degli altri è facile e comodo. Speriamo che pian piano le persone  si rendano conto del vuoto pneumatico che c’è nelle teste di
certi cretini integrali della disgraziata destra che purtroppo ci governa.*

Agnese dice:

*Non so se l’ho già segnalato (non sarà mai abbastanza): «Farla finita con l’idea di Natura, riallacciarsi all’etica e alla politica» di Yves Bonnardel (http://tahin-party.org/finita-idea-natura.html)

Sulla stessa linea, per chi è interessat* alla questione dello specismo, mi permetto di citare dal mio articolo «L’animale è politico» <http://www.veggiepride.it/index.php/documenti/55-lanimale-e-politico>:*

*… il fattore che più di tutti ostacola l’integrazione teorica degli animali non umani nelle relazioni sociali umane è l’idea della «differenza di specie». Come ho già scritto (v. nota 9), sarebbe bene disfarsi del concetto di «specie». In special modo chi si definisce «antispecista» dovrebbe prestare particolare attenzione al fatto che la critica della discriminazione rispetto alla specie comporta necessariamente lo sprofondamento dell’idea stessa di specie. Le specie (così come le «razze», o i «sessi») sono categorie /fluide/, le cui condizioni di esistenza corrispondono a fattori biologico-ambientali e/o sociopolitici, che variano /storicamente/. Dal punto di vista della biologia evolutiva, una specie è un gruppo di individui capaci di interfecondità; nel modello neo-darwiniano, la
speciazione (ovvero, la comparsa di nuove specie) avviene nel momento in cui cambiano i parametri dell’interfecondità, a causa di un isolamento geografico che si traduce in isolamento genetico. Dal punto di vista politico, invece, la categoria discriminante della «specie» non corrisponde affatto a quella biologica: si tratta di un prestito ideologico il cui scopo è identificare gruppi di individui oppressi /senza far riferimento all’oppressione stessa/! In realtà, gli «animali non umani» di cui parla la filosofia politica animalista non sono per niente definiti da un’appartenenza biologica, bensì dal fatto di essere individui oppressi dagli umani in forme comuni e coinvolti in un medesimo sistema produttivo. Lo stesso discorso vale per le «donne», i «neri», etc., che non sono categorie biologiche né tantomeno ontologiche, ma categorie in tutto e per tutto politiche. Per cui, gli /animali non umani inglobati e sfruttati nei rapporti di produzione umani possono risultare all’analisi politica molto più vicini alle donne umane, inglobate e sfruttate in contesti e modi affini/, /che ad altri animali non umani/, che vivono in stato selvatico e non soffrono dell’azione umana se non in modo accidentale.*

* *

Wildsidez dice:

*E vabbè, d’altro canto io per l’esame di antropologia ho dovuto studiare un testo di una docente cattolica dove lei, anzichè dedicarsi solo e solamente all’insegnamento delle varie correnti della
materia, si spinge fino a dire che le nuove possibilità parentali odierne porterebbero alla messa in discussione dei capisaldi della nostra cultura (sic!) alla confusione dei ruoli (!) e alla contraddizione di ciò a cui siamo abituati, e che la fecondazione assistita “può fare bambini ma non può fare genitori” (come se la maggioranza dei genitori che esistono oggi fossero stati accuratamente fatti, costruiti e addestrati culturalmente al loro ruolo!). E tutto questo pippone conservatore anti-genderstudies ce lo scrive subito dopo aver detto che uno dei grossi errori dell’antropologia moderna è quello di cadere troppo spesso nell’ideologizzazione, nella denuncia e nella rivendicazione politica….ahahahha 🙂 complimenti!!!

P.S.: a me i genitori canadesi sembrano degli sperimentatori intelligenti. Perchè no? mi dico. Anche i miei genitori nell’infanzia non mi hanno dato una spinta educativa esageratamente verso il genere femminile, sono cresciuta piuttosto neutra fino all’adolescenza.*

* *

Insomma, farebbe piacere se qualcun* aggiungesse altri tasselli alle conoscenze condivise da tutt* noi, con la consapevolezza che – come diceva Jeanette Winterson:

‘The alphabet of my DNA shapes certain words, but the story is not told. I have to tell it myself. What is it that I have to tell myself again and again? That there is always a new beginning, a different end. I can change the story. I am the story. Begin.’

‘L’alfabeto del mio DNA dà forma a certe parole, ma la storia non è raccontata. Devo raccontarla io stessa. Cos’è che devo raccontarmi ancora e ancora? Che c’è sempre un nuovo inizio, ed un esito differente. Posso cambiare la storia. Io sono la storia. Iniziamo.’

Le nostre innumerevoli diversità, le nostre innumerevoli storie, non sono in contrasto con la ‘natura’. E noi ne SIAMO tante e degne della nostra natura. E vogliamo che siano ascoltate. Noi abbiamo già iniziato.

Posted in Pensatoio, Scritti critici.