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Quel mito di Eva che assolve tutti gli uomini!

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[Immagine “Donne e Lutto” di Nicola Detto]

Le donne sono considerate soltanto come elemento che rafforza la reputazione di un uomo.

Non sono mai protagoniste. Neanche quando vengono uccise. Come per incanto anche in quell’occasione il protagonista diventa lui, l’assassino, di cui si narrano gesta, dolori, sofferenze, attenuanti, passato, presente, futuro.

La donna, morta, come ricorda Michela Murgia nel suo ultimo libro Ave Mary, semplicemente sparisce. Come fosse uccisa una seconda volta, se mai le sia stato concesso di trascorrere qualche giorno da creatura visibile.

Alla donna che muore non si riconosce alcun eroismo. Non viene presentata mai come soggetto attivo che compiendo una azione, di resistenza, com’era per le partigiane o come è per tutte le donne che resistono alla violenza maschile, può morire. Vengono rimosse quelle che lottano per rivendicare i propri diritti, le tante che sono state sottoposte a tortura e che sono state imprigionate e uccise. Tutti i soggetti attivi, parlo di donne, che realizzano la storia, che la cambiano, che non si arrendono, vengono quasi sempre dipinte in modo negativo, come fanatiche, pazze persino, peccatrici, da mandare al rogo. Agli uomini invece viene attribuito qualunque grande gesto fosse anche per aver incidentalmente partecipato ad una impresa nella quale una donna era la vera protagonista.

Susan Faludi, nel suo Il sesso del terrore, descrive perfettamente come le donne diventino l’elemento di suggestione principale nella narrazione dei fatti che riguardarono l’11 settembre.

Ci furono vittime di ogni sesso ma stranamente si vedevano soltanto immagini di uomini che portavano in salvo donne e di donne che piangevano la morte di qualche uomo. Nell’immaginario collettivo la donna può dunque soltanto essere salvata o piangere la morte di qualcuno.

Lo stesso meccanismo è stato usato nella narrazione del terremoto in Abruzzo, tanto per tornare a casa nostra, con quelle immagini di donne, giovani, anziane, soccorse dai vigili del fuoco, rimuovendo ogni possibile testimonianza del grande lavoro che in quei giorni anche le donne hanno compiuto.

Perfino per gli uomini che sono portatori di guerra, nei vari luoghi in cui l’Italia partecipa all’occupazione, per tutelare interessi economici piuttosto che per obbedire al patto che la lega ad altre nazioni occidentali, vengono dipinti come eroi.

La guerra, lo sappiamo, non è quella cosa per cui un soldato lascia la sua postazione e va a salvare le donne. E’ invece quella circostanza nella quale se metti un soldato a fare la guardia dicendogli che chiunque potrebbe portare in giro delle bombe, quello, vuoi per la tensione, vuoi per il testosterone, vuoi per la paura, è certo che sparerà a uomini, donne e bambini. Le chiamano vittime collaterali. In realtà sono omicidi legalizzati, ed è in un contesto in cui i militari sono investiti di una simile autorità che avviene l’ennesimo delitto di un militare italiano.

Non è una vittima di guerra. La stampa però non perde tempo. Lo descrive come un omicidio di stampo etnico. Seduce i lettori raccontando che anche lui, assieme agli altri militari presenti in Afghanistan, era lì per salvare le donne e poi rivela solo in un breve passaggio che la donna di cui stanno parlando è in quel caso una americana, una collega, con la quale era in vacanza assieme ad un interprete afghano.

Qualche quotidiano racconta infatti che si trovavano in vacanza, la donna scivola in un burrone, un uomo di passaggio la aiuta e il militare italiano pensando di trovarsi di fronte all’aggressione si mette a sparare. Gli amici del ragazzo ferito aggrediscono il militare e lo riempiono di botte. Di come sia morto, Repubblica online, per dirne uno a caso, non fa parola. Tutto è avvolto dal mistero.

Ma, prima ancora che una qualunque indagine chiarisca l’accaduto ecco quella stessa stampa che vende copie fabbricando storie di cronaca in cui le donne sono sempre brutte sporche e cattive e gli uomini dei poveri dementi privi di autonomia, persino quando uccidono, che decide qual è la storia migliore da vendere al pubblico.

Lui, ovviamente, un eroe. Non discutiamo. Non abbiamo intenzione di mancare di rispetto alla sua memoria e alla famiglia che piange la sua morte.

Muore, secondo questi giornali, perchè avrebbe difeso una donna. Tutto bene, dunque, persino in un delitto dai contorni poco chiari e con componenti tanto private il giornalismo di regime italiano riesce a svendere una fiction che andrebbe bene per una delle tante produzioni televisive revisioniste interpretate da un eroico beppe fiorello.

Lei, sempre secondo Repubblica, sarebbe in stato di custodia “protettiva”, non si capisce perchè. Perchè non abbia contatti con la stampa?

Di questa donna non si sa nulla di più se non il fatto che fosse insieme a un militare, che da quest’uomo si immagina sia stata salvata e che sia sopravvissuta, fuggendo, per essere tenuta in custodia. Non è lei il soggetto, non può neppure essere la testimone che racconta quello che le è accaduto. Semplicemente, per la stampa, resta soltanto una macchia, un difetto, colei per la quale un uomo ligio ai propri doveri è morto ammazzato.

Una come tante, tutte discendenti di Eva, a rafforzare la fantasia di quelli che pensano che non fosse per le donne agli uomini spetterebbe il paradiso, non avrebbero mai guai e potrebbero vivere all’infinito. Perchè nella testa di chi racconta questa storia insiste un mito falso, uno tra i tanti, che lascia immaginare che se non fosse per queste figlie di Eva gli uomini ligi al dovere non dovrebbero mai scontrarsi con altri uomini.

E’ sempre lei, la tentatrice, che si ripresenta puntualmente negli articoli di cronaca così come nelle pubblicità, dove una maliziosa prima donna tenta di sedurre un uomo mentalmente fermo all’età di due anni che scambia il reggiseno fatto di foglie per una palla con la quale giocare e si lascia attirare soltanto dalla luminosità dei denti sbiancati da una chewing gum.

Una donna manipolatrice a fronte di un ingenuo essere di sesso maschile che secondo i creatori del mito e coloro che lo tengono in vita o lo rafforzano non potrebbe mai stuprare, mentire, negare i delitti commessi, picchiare, massacrare, perseguitare, uccidere.

Su questo falso mito la stampa misogina e le speculazioni neomaschiliste fondano la difesa di uomini coinvolti in casi di cronaca in cui i delitti irrisolti di donne uccise vengono addebitati ora ad un poco affidabile presunto dna femminile, ora ad una trama più adatta alla fiction che tiene alta l’audience televisiva.

Se ne potrebbero raccontare tanti di casi nei quali il mito viene utilizzato per difendere un uomo colpevole di un delitto. Perchè l’unico momento in cui si riconosce alla donna la capacità di compiere una azione è quello in cui potrebbe fare del male a qualcuno.

Santa o puttana. Vittima o moglie di un eroe.

Responsabile delle proprie azioni, consapevole e protagonista in resistenza di tutta la violenza dalla quale viene investita, mai.

Noi sappiamo che non è così. Bisogna solo raccontarlo più spesso.

Posted in Misoginie, Pensatoio, Scritti critici.