Non voglio essere madre, che c’è di male?
Da tantissimo tempo ho deciso che avrei voluto realizzare la mia vita in maniera differente.
E sono italiana solo per mera casualità, per convenzione, non perché mi ci senta.
Il mio paese non ha i confini che sento troppo spesso nominare.
Non per questo la precarietà non mi investe in piena faccia come uno schiaffo.
Riesco a malapena, nonostante lauree, master e stage a destra e manca (leggi bene: lavoro gratuito per tempi indefiniti, leggi meglio: sfruttamento legalizzato) e anni di lavoro, ad arrivare a fine mese.
Ho un lavoro, si… come sempre, precario: mai avuto un contratto che non fosse un progetto, un tempo determinato, un co co co, co co pro. Mai.
Il mio lavoro odierno è l’unico progetto – a breve, brevissimo termine – che posso fare.
La sussistenza, anche se sul filo del rasoio, ancora ce l’ho: ma basta poco, una spesa inaspettata, una cura dentistica, un incidente con la macchina, un elettrodomestico che si rompe,e scatta il panico.
Non c’è nulla qui per me, oltre l’oggi.
E questo oggi risicato, per il quale mi affanno ogni settimana aprendo con angoscia l’estratto conto, mi dice che non c’è domani.
A forza di contratti a termine, cosa succede se arrivi a quarant’anni o più e non hai più un lavoro?
L’instabilità non la pagano i miei eventuali e non voluti figli, la pago io che non dormo la notte appena devo affrontare una spesa imprevista. La pago io, che se mi concedo qualche piccolo piacere – una cena fuori, un cinema, un libro – mi sento in colpa, perché se non risparmio qualcosa, cosa farò quando non avrò più la forza di lavorare?
Ho studiato tanto, mi piaceva studiare… ma a cosa è servito?
Se mi è concesso di dirlo, solo ad una cosa: a capire che questo sistema ci schiaccia tutt* al medesimo modo, e che l’unica cosa che voglio oggi, per me stessa, è saper stare al fianco di quelle persone che come me subiscono gli effetti di politiche che non è esagerazione chiamare omicide….lottare, insieme.
Per questo voglio scendere in piazza con le mie sorelle, che sono migranti, sono lesbiche, sono sex workers, sono trans, sono precarie, sono madri e non lo sono… sono donne, solo donne.
Le voglio tutte, perché saperle vicine mi dà la forza di non soccombere.
Io in un recinto di brave donne italiane, possibilmente madri e perbene non ci voglio stare, e anzi, voglio che loro, quelle che negli alti proclami non vengono mai nominate e di conseguenza perciò sono cancellate nell’esistenza – come anche io lo sono in realtà poiché, benché donna e italiana, non trovo la mia realizzazione di essere umano né nella patria né nella maternità – precedano i miei passi.
Questo è ciò che desidero per un otto marzo di lotta!