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La resistenza, nel cuore!

Ce l’aveva nel cuore. La resistenza, dico. L’opposizione alle ingiustizie. La reazione contro la violenza.

Lei c’era quando sua madre fu colpita per la prima volta. La vide accasciarsi e restare immobile per terra.

Hai sempre paura di non vederla tornare in vita. La vedi morire un pochino, ogni volta un po’ di più. E muori anche tu.

Perché trattieni il fiato fino a che a lei non torna il fiato. Mentre quell’uomo che sta ancora con il pugno chiuso ti guarda minaccioso e poi la sua espressione cambia, come per dire che non poteva farne a meno.

Perché un uomo violento dice sempre ai suoi figli che picchia la madre perché non può farne a meno. È lei la cattiva. Non importa che stia morendo ogni giorno di più. Quella bestia che resta in piedi davanti al cadavere della donna ha la sfrontatezza di dire che è lui che soffre.

Lei c’era quando la madre si risvegliò per la prima volta e fu così che quasi si abituò – gran brutta cosa abituarsi alle violenze.

La vedeva morire e poi tornare in vita. L’ansia si placava. E anche lui, con il suo ghigno indecifrabile, pretendeva che quel corpo senza vita si risollevasse.

E non fare la scena… che non ti ho fatto niente… guarda tua madre… Lo vedi come fa? Neanche si preoccupa per te… e tirati su, stronza, che fai spaventare la bambina… smettila di fare la vittima…

Lei tornava in vita. E quella figlia si convinse, come si convincono in tanti, che dalla violenza si può resuscitare. Perché la maggioranza della gente pensa che le donne siano fatte di gomma, rimbalzano, quando le colpisci torna tutto uguale.

Invece una mattina la vita la lasciò del tutto e quell’uomo che esigeva di essere chiamato “padre” infierì su quel corpo.

I medici non capirono perché così tanti lividi. Vecchi, nuovi, blu, viola, rosa. Sembrava la tavolozza di un pittore, povera donna. Sembrava un rigo musicale con delle note mancanti, quelle dei suoi respiri andati, fermi, impediti.

Ce l’aveva nel cuore. La resistenza, dico. L’opposizione alle ingiustizie. La reazione contro la violenza.

Quella figlia cresciuta tra decessi e resurrezioni aveva in mano la rabbia custodita per trent’anni. E quando lui le si avvicinò per prenderle un pezzo di fiato finì schiantato contro il muro.

Perché una donna morta ammazzata in famiglia è più che sufficiente.

Perché un assassino nella sua vita era stato già troppo.

Si liberò dell’ansia, dell’attesa per il corpo di sua madre che non si sarebbe rialzato mai più. Si liberò della morte che l’avvolgeva sin da quando era una minuscola creatura che in casa avrebbe soltanto voluto giocare e vedere sorrisi e speranze.

Si liberò dello squallore distorto di quel padre che a distanza di anni pensava ancora di essere vittima di chissà quale complotto.

Si liberò della violenza che era stata la cornice di tutta la sua vita e che l’aveva costretta ad una apnea feroce, quella di chi ha il timore di farsi sentire, perché se temi di morire puoi solo fingere di non esistere.

Si liberò di tutto. E finalmente, stavolta, fu lei che tornò a respirare.

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Posted in Corpi, Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, R-esistenze, Storie violente.


2 Responses

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  1. cate says

    anche da me

  2. skybia says

    grazie