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Circa l’uso intimidatorio delle denunce per diffamazione

Vi abbiamo già detto che le nuove mafie usano la litigiosità legale e la denuncia per diffamazione con cospicua richiesta di risarcimento come prassi intimidatoria per fermare chiunque si opponga al loro operato e chiunque interpreti le loro azioni descrivendole in maniera chiara all’opinione pubblica?

La nuova frontiera della intimidazione non è più la lupara. Si tratta invece di una escalation di atteggiamenti minacciosi in cui chi minaccia assume un ruolo vittimista e chi si difende viene tacciato di aggressione.

Normalmente per chi adopera questi metodi è prassi quella di esprimersi in maniera assai lontana dalla “legalità” ove per legalità si intendono tutti quegli assiomi e quelle proposizioni di equilibrio sociale che non necessariamente coincidono con leggi scritte. Perchè le leggi, come sappiamo, sono fatte da chi governa e chi governa plasma le leggi in modo da rendere l’illegalità qualcosa di legale e viceversa.

Il punto è che chi si adopera per mettere in atto forme di resistenza o di controinformazione sui metodi delle mafie più spesso non ha risorse, nè finanziamenti di dubbia provenienza e dunque si limita a usare l’arma più potente che possiede: la parola, la scrittura, l’azione politica, il pensiero logico e analitico.

Accade fin dalla prima metà degli anni novanta, dopo le minacce fisiche la mafia per indurti al silenzio ti richiamava all’ordine con annunci di querele per diffamazione.

Tu dicevi che il tizio era un mafioso e quello ti querelava. Più spesso veniva condannato per mafia prima che la sua querela nei confronti dei cittadini resistenti facesse il suo corso, anzi questo indubbiamente lo costringeva a ritirarla.

Tu dicevi che in quella tale faccenda c’era qualcosa di losco e chi gestiva la faccenda ti querelava.

Perchè una querela, sebbene sveli una modalità aggressiva da parte del querelante, disposto a costringerti al silenzio con tutti i mezzi necessari, comunque ha il “merito” di non renderti “martire”, vittima di un colpo di lupara.

Ogni anno ci troviamo a celebrare uomini e donne che sono state vittime della mafia. Peppino Impastato o solo un paio di giorni fa Pippo Fava. Ebbene, oggi chi li ha uccisi o fatti uccidere non si scomoderebbe a tanto, sarebbe bastata una querela per diffamazione con richiesta di risarcimento milionaria. Perchè, come da sempre sa chi usa gli embarghi per piegare gli Stati non allineati con certi governi, un embargo economico può molto di più di un colpo di lupara.

Il risultato attuale è che abbiamo un bilancio delle vittime di mafia molto ma molto approssimativo perchè tra le vittime dovremmo contare anche quelle che sono state aggredite “legalmente”, querelate, massacrate da chi possiede pool di avvocati strapagati, a fronte della impossibilità di permettersi una difesa altrettanto efficace, che hanno dunque perso le cause per diffamazione e si trovano oggi impoverite per il pagamento di risarcimenti onerosi che hanno compromesso le loro vite.

Di questa lunga lista di persone si saprà forse troppo tardi per spiegare una prassi che oramai è consolidata e che si sviluppa per manifestare si il segno della debolezza della mafia colpita ma allo stesso tempo per qualificare l’aggressione come ultimo atto di un “muoia sansone e tutti i filistei”.

Come dire: la mafia non si fa affondare senza tentare di affondare te anche solo, eventualmente, per prendersi il gusto di portarti giù assieme a chi la gestisce.

Il metodo è prassi anche politica. Non c’è nulla di meglio che limitare la libertà di opinione attraverso l’uso di stratagemmi che fanno finire le opposizioni dietro le sbarre. Ed è in questo senso che si crea una nuova generazione di perseguitati politici, tutti rei di pronunciare nomi e cognomi dei soggetti autoritari.

Una volta li chiamavano partigiani, intellettuali che venivano censurati, mandati al confino, incarcerati a scrivere lettere di indubbio valore storico. Oggi possiamo chiamarli forse allo stesso modo: perchè alla prevaricazione del più forte sul più debole, del più potente sui soggetti che vogliono essere “liberi”, non c’è mai fine.

Perciò, queste persone libere che ancora osano alzare la testa a raccontare la propria voglia di libertà e la propria esigenza di vedere chiaro in tutto ciò che attraversano, sono ancora martiri.

Quando avranno conseguito ufficialmente questo status forse chi usa le denunce per intimidire e zittire saprà che lupara o non lupara una denuncia per diffamazione, con l’uso dei giudici in quanto cecchini in conto terzi, denuncia fatta in tali contesti e con tali metodi assume esattamente lo stesso, identico significato.

A tutte le voci libere: siate sempre r-esistenti!

Posted in Anticlero/Antifa, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.