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Le prigioni delle donne

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[Opera di Frida Khalo]

La storia di oggi comincia con uomo che si sveglia presto al mattino. I suoi vestiti sono già pronti, ripiegati sulla sedia.

Ama fare colazione con calma. Poi torna in camera da letto. Bacia la sua compagna. Sta attento a non fare rumore per non svegliarla. Esce dopo aver lasciato un messaggio affettuoso sul tavolo da cucina.

E’ un uomo gentile, adora quella donna con la quale vive, non c’è un solo momento della sua giornata che non sia dedicato ad un progetto di vita comune.

La storia di uomini così sembra tanto banale che in mille casi nessuno sceglie di raccontarla. Invece è proprio di un uomo così che voglio parlarvi perché il suo mondo è una meravigliosa poesia. Perché la sua presenza dà senso ad una casa che altrimenti sarebbe priva di magia.

Melino, questo il suo nome, non è sempre stato così. Un tempo era una persona diversa, irascibile, aggressiva. Era un uomo davvero insicuro e quell’insicurezza si rifletteva nel suo rapporto con lei, sempre la stessa donna da tanti anni.

Un giorno la sua ira la fece cadere da un balcone. Un balconcino al primo piano che a lei costò una paralisi dal bacino in giù.

Da quel momento Melino è diventato un altro. La sua insicurezza sparita. La sua aggressività finita.

Tutto quello che voleva era averla tutta per se’ e in quelle condizioni certo lei non poteva più andare da nessuna parte.

Oggi Melino è diventato indispensabile e lei non può fare a meno delle sue attenzioni e della sua assistenza. D’altronde lei non ha nessuno che può badare a lei e non è prevista una alternativa di nessun tipo per una donna nelle sue condizioni, totalmente dipendente, non in grado di andare da qualche altra parte a ricominciare da capo.

L’amore di Melino è infinito, dovrebbe bastare a soddisfare il mondo intero ma lei è insoddisfatta. La luce dei suoi occhi è spenta. I suoi capelli, la sua pelle, hanno perso lucentezza.

Lui la bacia e lei resta ferma, impassibile. Non una reazione. Solo un vago sospiro di rassegnazione.

Alzarsi dal letto la mattina è già una fatica. Trasportarsi sulla sedia a rotelle, cercare di fare il necessario per sopravvivere in quella casa piena di trappole, arrabbiarsi perché quel rubinetto è troppo lontano per lei.

Il problema è che realizzare una casa che possa consentirle di vivere in autonomia costa davvero tanto e a lei non resta che accontentarsi. Accontentarsi di sopravvivere.

L’unica cosa che le è permesso fare è di leggere ed è nella lettura che lei trova un po’ di sollievo.

L’ho conosciuta così, tra un libro e l’altro, perché Melino, tanto gentile, sapendo della mia passione per i libri, venne una volta a chiedermene qualcuno.

Per lei… ama tanto leggere…” – disse. E io cominciai a frequentare quella casa per guardare in faccia una donna che a tratti mostrava ancora i segni delle speranze che aveva rimosso dalla sua mente.

Vado a trovarla frequentemente. Trovo stimolante parlare con lei. Ha una visione profonda e distaccata sulle cose, perché lei, come dice sempre, è fuori dal mondo e le è più semplice giudicarlo senza sentirsene coinvolta.

Quando le chiedo di venire a prendere un caffè da me, o la invito per mangiare qualcosa, un dolce, una cosa buona, dato che sto sul pianerottolo, proprio di fronte a lei, mi riesce difficile capire perché non voglia varcare quella soglia.

Mi parla sempre della vita intera, perché la sua non la giudica neppure una vita a metà. Ne parla come una non vita. Attraversare la soglia per fingere una socializzazione fuori dalla sua schiavitù non le piace. Quelle quattro mura le raccontano la sua condizione ed è lì che lei si sente quella che è.

Non ha voglia di illudersi, di mistificare. Qualcuno potrebbe dire che è una pessimista. Lei ritiene di essere semplicemente consapevole della realtà e non vuole droghe sociali di nessun genere che la illudano di un destino differente a lei destinato.

Melino non è ancora tornato dal lavoro e lei in fondo gli vuole bene perchè la prigioniera finisce sempre per amare il suo carceriere. Non si tratta neppure di totale dipendenza economica perché lei prende un po’ di pensione di invalidità e con quella ci si paga le medicine. Ma per il resto effettivamente se non ci fosse lui non saprebbe proprio come fare.

Decide d’un tratto di varcare la soglia. Bussa alla mia porta. Mi dice che ha lasciato un biglietto sul tavolo della cucina, proprio come fa lui ogni mattina.

Saluta Melino e lo ringrazia di tutto. Ma proprio di tutto. Noto dopo un po’ che lei si porta appresso una specie di zaino dal quale vedo uscire fuori i tubi dei cateteri. Immagino che il bagaglio di una donna nelle sue condizioni sia fatto anche di quelle cose.

Mi dice che sta aspettando un taxi. Mi abbraccia più forte che può. Prende l’ascensore, la vedo dalla finestra salire con fatica nell’auto. Se ne va. Non posso crederci ma quell’essere mitologico metà donna e metà sedia se ne va e lascia Melino.

Quando lui torna comincia ininterrottamente a bussare alla mia porta. Gli apro. Lo vedo perquisire l’appartamento. “Se non è da te, dov’è?”. Urla, sbatte i pugni, quasi frantuma una mia finestra. Gli dico di calmarsi e e mettersi a sedere.

Entro in casa sua, prendo il biglietto che lei gli ha lasciato sul tavolo e glielo mostro.

Grazie di tutto. Me ne vado. Non mi cercare.

Melino è furioso. Dice che nelle sue condizioni lei non può andare da nessuna parte. Dice che la sua mente avrà vacillato. Gli dico che è paralizzata alle gambe ma il cervello le funziona benissimo. Mi lancia uno sguardo arrabbiato e dopo un “non finisce qui” sbatte la porta e va via.

Lo vedo tornare il giorno dopo con due militari perché a quanto pare vuole denunciarmi per circonvenzione di incapace o per sequestro o non so cosa. Come se fossi stata io a costringerla ad andare via.

Veramente io volevo solo invitarla a bere un caffè… Tutto il resto l’ha fatto da sola!

Non possono imputarmi niente. Sento Melino che mi urla contro qualcosa come “se le succede qualcosa… nelle sue condizioni… è colpa tua… sei tu che l’hai riempita di idee strane…

Gli ricordo che è finita nella sedia a rotelle non propriamente per un incidente di percorso… Altro sguardo perfido. Sbatte ancora la porta. Va via.

Dopo qualche giorno lo sento piangere in una trasmissione televisiva dove fa la vittima, dice che la ama tanto, le manda un messaggio per dirle che è tanto preoccupato e che qualunque cosa sia successa lei può tornare da lui. La aspetterà a braccia aperte.

Mi viene in mente, nel caso in cui tornasse, che stavolta per assicurarsi che lei non possa più muovere un muscolo potrebbe spezzarle l’osso del collo.

Dopo ben tre settimane lei mi chiama al telefono. Mi dice che è in un posto lontano, lontanissimo, con una sua parente. Non tornerà mai più. Ha già diffidato chiunque dal violare la sua privacy. La sua parente le ha procurato un bravo avvocato.

Sai qual è la beffa più grande? – mi dice – che Melino credeva che io non avessi davvero nessuno che potesse prendersi cura di me… invece sto bene, sono in grado di fare tante cose da sola e tra qualche settimana mi iscrivo al corso per prendere la patente…

Sono felice per lei. Mi dispiace solo di aver perso una compagna di letture e di discussioni così appassionante.

Melino è tornato quello che era. Sparita la sua espressione conciliante con il mondo. Tutto quello che ora sa è che quando una donna ha voglia di vivere riesce a fuggire da qualunque posto. Perfino dall’inferno.

Posted in Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Storie violente.


2 Responses

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  1. Camilla says

    Gran donna, “quell’essere mitologico”! L’ammiro molto per aver avuto la forza di andarsene e di rifarsi una vita!

  2. Rachel says

    bellissimo post!!!
    mi stava venendo da piangere leggendo la storia.