[nella foto: Giulia Blasi, Cristina Zagaria, Rosalba Sciarrone]
di Elisabetta P.
Ieri, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, si è svolta presso la libreria Feltrinelli di Roma la presentazione del libro Malanova, di Anna Maria Scarfò (che ne è anche la protagonista) e di Cristina Zagaria, giornalista di Repubblica e scrittrice, a cui hanno partecipato la stessa Zagaria, l’avvocatessa di Anna Maria, Rosalba Sciarrone, e la blogger Giulia Blasi.
Mi sono chiesta più volte se assistere o meno a questo incontro, come persona e come donna è emotivamente impegnativo e doloroso confrontarsi così da vicino con la violenza sessuale e psicologica, ascoltare altre donne coinvolte direttamente, apprendere particolari che rimangono impressi nell’anima e che in qualche modo necessitano di una elaborazione personale.
Posso dire oggi che era doveroso e necessario accogliere questa storia di grave violenza, di connivenza e di omertà, di riscatto e di coraggio.
Anna Maria Scarfò aveva solo 13 anni quando subì la prima violenza di gruppo, nel paesino calabrese di San Martino di Taurianova, dove attualmente vive sotto scorta in quanto testimone di giustizia.
Pensavo ingenuamente di trovarla alla presentazione, ma l’avvocatessa Sciarrone ha spiegato che non può partecipare agli incontri proprio perché costantemente sotto scorta.
E’ sconcertante pensare che oltre le violenze e le minacce, proseguite per ben due anni, Anna Maria abbia subito anche la rappresaglia di una buona parte del suo paese, arrivata ad un tale livello di pericolosità da rendere necessario blindare l’esistenza di questa ragazza, adesso ventiquattrenne.
Ma l’inaudito in questa vicenda non sembra avere limite.
Apprendiamo dalle parole di Cristina Zagaria, che Anna Maria dopo la prima violenza si rivolse al parroco in cerca di protezione. Ma costui invece di denunciare l’accaduto e mettere al riparo Anna Maria dal gruppo di stupratori, affida la ragazzina ad una suora, che a sua volta pensa bene di relegarla in un collegio.
E’ disarmante l’ingenuità di questa tredicenne, che addirittura arriva a trovare bello il collegio, con tutti quei letti con accanto il comodino, e con quella ragazza più grande che ha intravisto, e che forse potrebbe diventarle amica.
Ma la violenza prosegue, assumendo nuove forme, stavolta da parte della suora dell’istituto, che si rifiuta di accogliere Anna Maria, perché ormai non più vergine e in qualche modo in grado di mettere in pericolo la reputazione delle ragazze presenti.
Una beffa atroce. Anna Maria è costretta a tornare a casa, a Taurianova, dai suoi aguzzini.
Troverà la forza interiore e il coraggio di denunciare dopo ben due anni, quando il gruppo pretende di poter usare violenza anche sulla sorellina di Anna Maria. E’ a questo punto che l’amore e l’istinto di protezione per la sorella, la inducono a denunciare.
Ha inizio così un altro calvario; i racconti alle forze dell’ordine, ai medici, gli accertamenti e le perizie.
Ma soprattutto le accuse della comunità, che decide di non crederle, che la etichetta come “puttana che se l’è cercata”, come “malanova” (portatrice di cattive notizie), che la colpevolizza, assolvendo e giustificando parallelamente i suoi carnefici.
Un meccanismo di emarginazione e discriminazione della vittima che ben conosciamo, attuato nel caso specifico in modo alquanto strutturato e complesso.
Allo stesso tempo ha inizio una nuova fase nella vita di Anna Maria, che la vede protagonista di una faticosa ricerca di se stessa, di riappropriazione di un corpo a lungo abusato e negato, di difesa della verità e di perseguimento della giustizia, giuridica e sociale.
Nonostante si sia arrivati oggi ad una sentenza definitiva di colpevolezza degli imputati, a San Martino di Taurianova molti ancora parlano di Anna Maria come della reale responsabile di quanto accaduto, in una sorta di ipnosi collettiva.
In questa vicenda si riconoscono delle responsabilità gravissime, ravvisabili nell’omertà di chi avrebbe dovuto aiutare Anna Maria, innanzitutto le figure religiose a cui lei si era rivolta, e nella mentalità patriarcale e maschilista degli uomini e delle donne che hanno protetto i violentatori e che hanno permesso loro di continuare a trascinare Anna Maria in una spirale di sopraffazione e disumanizzazione sempre più profonda.
Vi lascio alle parole di Anna Maria, che ha pubblicato questa lettera ieri, sul blog di Cristina Zagaria.
Sembra una storia ambientata nel 1000 a.c. Invece è più contemporaneo che mai…è triste l’arretrattezza di alcune realtà italiane..che fanno parte di un Paese che si reputa molto civile e avanzato per quanto riguarda l’uguaglianza tra i sessi. Si è pronti a criticare il mondo arabo però poi siamo molto più simili che mai.
Vorrei tanto leggerlo..missà proprio lo comprerò senza sè e ma!