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Uccidi il matador che c’é in te!

A Tafalla, in Spagna, un toro visibilmente in preda al panico ha scavalcato le transenne cercando disperatamente di sfuggire all’unico destino che gli era stato riservato.

Infatti, nonostante la recente abolizione delle corride in Catalogna – letta da più parti, in chiave politica, come manifestazione di distanza dal potere centrale di Madrid – ogni anno in Spagna decine di migliaia di tori vengono sacrificati sulla sabbia delle arene per riempire le tasche di una lobby potente.

L’appello alla “tradizione” che da sempre viene portato avanti in difesa di questo spettacolo barbaro in realtà nasconde enormi interessi economici e politici: la corrida, da un punto vista storico, è un microcosmo della Spagna, una nazione la cui storia è stata scritta più da clan familiari che da individui, nella quale l’uomo forte deriva quella stessa forza dalla debolezza dei suoi sostenitori, e dove i deboli non hanno mai potuto fare a meno di patriarchi, padrini,  capi politici, e altri uomini che elargivano premi e punizioni in base ai propri sbalzi di umore.

Eppure, in qualche modo, questo “appello” – per quanto ambiguo e strumentale – viene accolto ogni anno dalle migliaia di spettatori, uomini e donne, che affollano periodicamente le “plazas de toros”.

Gli ingredienti notoriamente alla base del successo della corrida sono sempre i medesimi, nell’ordine:

1)       Un toro, geneticamente selezionato per la sua supposta “aggressività”.

2)       Un matador (solitamente reclutato tra i giovani delle classi sociali più svantaggiate).

3)       Una folla di persone che idolatrano il matador come un eroe, e ne consacrano l’immagine  – e i valori espressi da tale immagine.

4)       Un numero estremamente ridotto di appassionati, fissati con gli aspetti tecnici e la storia della tauromachia.

5)       Un numero consistente di scrittori e artisti che hanno contribuito alla percezione della corrida come arte, nobilitando l’aspetto estetico e minimizzando quello terribilmente violento e beceramente economico.

Le critiche a questa tradizione violenta non sono mancate, e le dinamiche perverse che si realizzano all’interno dell’arena e sugli spalti sono state variamente interpretate: i diversi aspetti della corrida –  anche quelli meno “nobili” o per meglio dire “nobilitati”  – sono stati messi in luce… ma finora non sono stati sufficientemente efficaci da portare all’abolizione di questa pratica barbara.

L’inutile e cruenta uccisione del toro nell’arena rappresenta non solo la sopraffazione di un animale pacifico e inerme, ma una delle più compiute celebrazioni di uno status quo violento, antropocentrico, patriarcale e maschilista: una celebrazione che coinvolge anche le donne su vari livelli, sempre funzionali al rafforzamento dello stesso radicatissimo mito machista. Grattando via la sottile patina di “eroismo” e “nobiltà”con la quale tale pratica è stata legittimata, religione, conflitto di classe, nazionalismo, corruzione politica, mafia e maschilismo appaiono come i veri ingredienti della corrida.

Dei vari aspetti menzionati, quello machista salta immediatamente agli occhi: quel meccanismo psicologico di compensazione che soddisfa in chi lo attua una fantasia di superiorità e potere, quasi sempre in assenza di un reale potere sociopolitico, diviene realtà nella “virile” figura del matador, dell’uomo – spesso di umili origini – che, non avendo nulla da perdere, rischia la vita per domare ed esercitare il suo potere di morte sulla bestia, sul “mostro”, e che, riuscendo nell’impresa diventa “eroe”(?)

Verrebbe da chiedersi però, quale eroismo è quello di un uomo che “affronta”, spalleggiato da numerose altre figure armate,  un erbivoro domestico (più incline alla fuga che all’attacco, e spinto a reagire solo dal terrore) chiuso senza scampo in un’arena piena di una folla urlante, preventivamente torturato e malmenato per fiaccarlo, attaccato da più lati dai picadores? Un toro è un animale pacifico, naturalmente non incline alla violenza, che non arriva a combattere fino a quando non viene più e più volte trafitto: affrontare un toro con una spada non è un vero e proprio duello, assomiglia piuttosto al gesto di puntare una pistola contro una persona disarmata.Le donne sono vittime della cultura sessista che sostiene e legittima pratiche violente come la tauromachia tanto quanto i tori: quella stessa mentalità che idolatra nell’arena un essere umano di sesso maschile (poche sono le eccezioni, viste più che altro come anomalie), che riafferma la propria virilità attraverso la violenza su un essere inerme, è la stessa che poi finge di non sentire le violenze e gli abusi subiti dalla propria vicina di casa e non riconosce la portata di un fenomeno ormai globale ed endemico quale è oggi il femminicidio.

 La corrida in questo senso non è solo uno “spettacolo tradizionale”, ma una rappresentazione simbolica del potere del più forte sul più debole, potere che decide della vita e della morte in maniera arbitraria. Il potere di vita e di morte che gonfia l’ego del torero è simile a quello che fa sentire onnipotente l’uomo violento: e quel boato che celebra la vittoria del “campione del machismo”  che scende nell’arena, di fatto rinforza quel senso comune che privilegia l’uso della forza su quello della tenerezza, riconosce la validità di tale meccanismo e lo legittima. In quel momento, il pubblico si identifica in tutto e per tutto nel matador, e non nell’essere vivente torturato e sofferente che sta per spirare per placare la nostra sete di sangue. Il momento in cui il toro muore e il torero esulta vittorioso è quello in cui gli spettatori, a livello simbolico,  confermano la loro adesione alla cosidetta “legge del più forte”.

Quando smetteremo di celebrare la violenza e di essere affascinati dal potere? Quando smetteremo di approvare inconsciamente e imitare nella nostra vita quotidiana le gesta del matador, piccolo uomo dall’ego smisurato?

Sebbene ancora poche, alcune donne hanno scelto di fare questo “mestiere”. Questa notizia fa pensare, con lo stesso inesistente entusiasmo, alla crescente presenza femminile nell’esercito… sapranno le donne abbandonare questo gioco perverso? Certo, siamo in grado di fare tutto ciò che fa un uomo: ma ripercorrere quei passi è quello che vogliamo veramente? Siamo noi a scegliere, o continuiamo a giocare una partita in difesa, ribattendo ai colpi dell’avversario senza chiederci se forse, di quella partita non ci importa proprio niente, e magari preferiremmo essere da un’altra parte, libere di sognare altri modi, altre vite, un’altra felicità? La violenza, la sopraffazione, piccola o grande che sia, deve per forza far parte del nostro quotidiano? “Uccidere per sopravvivere” o sostenersi e proteggersi vicendevolmente per vivere… cosa scegliamo? Di cosa abbiamo bisogno per essere felici?

Posted in Animalismo/antispecismo, Ecofemminismo, Pensatoio, Storie violente.

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2 Responses

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  1. feminoska says

    Del resto il pensiero religioso – e lo scientismo – propugnano da sempre il dominio dell’uomo sugli altri esseri viventi (e anche sugli altri uomini, checché se ne dica).
    Condivido pienamente ciò che affermi, che mi ha ricordato la terribile immagine del grattacielo descritta tanti anni fa da Max Horkheimer:
    “Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così: Su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti gli altri, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati. Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione. Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali. …Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.”
    Max Horkheimer, Crepuscolo, 1933

  2. wildsidez says

    Non so se avete visto la fine del famoso video in cui il toro salta sulle gradinate… quando il toro è stato fermato e legato per il collo fino ad essere appeso, letteralmente impiccato… i tg non l’hanno fatto vedere.
    Hanno precisato però che il toro è stato “abbattuto”.
    Un toro giovane e sano, abbattuto per quale crimine? perchè ha osato ferire di striscio qualche umano della stessa razza di quelli che l’hanno messo nell’arena per sollazzarli??
    La logica dell’abbattimento per tutti quegli animali che si ribellano con morsi, zampate o cornate al loro destino esclusivo di “pupazzi da divertimento” degli umani, mi ricorda tanto la logica in base alla quale nel periodo coloniale era lecito ammazzare un nativo perchè “ribelle”, o anche solo perchè aveva osato guardare una donna europea o urtato inavvertitamente un europeo…o anche per nessun motivo.
    Ancora meglio, ciò mi ricorda la logica schiavista.
    E la mentalità schiavista e colonialista è assai ben correlata alla mentalità maschilista e femminicida.
    Il nativo come “Altro”.
    La donna come “Altro”.
    L’animale come “Altro”.
    Tutti soggetti sotto dominio di cui si può disporre a piacimento?
    (e non mancava/manca mai la giustificazione religiosa: “sono esseri privi di anima”…)